La donazione dell’urna e della reliquia della Madre Sant’Anna
In attesa del centenario dell’asta del 10 aprile 1920 che vide il comune di Castelbuono aggiudicatario del Castello, ricorrendo domani, 28 febbraio, l’anniversario della donazione dell’urna e della reliquia della madre SANT’ANNA da parte del Barone Fraccia, (ri)pubblichiamo il pezzo che uscì su CastelbuonoStorie in occasione del Centenario di quell’altrettanto importante avvenimento rimanendo intesi che ci vediamo su queste stesse colonne (e dove, se no?) il 10 aprile per il centenario dell’asta per un’altra indimenticabile puntata di CastelbuonoStorie
Non si può fare passare questo significativo 28 febbraio 2013 senza accennare ai fatti che, esattamente cento anni fa, avrebbero determinato la donazione dell’urna e della reliquia di sant’Anna da parte del barone Luigi Fraccia di Favarotta al Comune di Castelbuono.
Per capire chi era questo carneade bisogna tenere presente che l’ultimo dei Ventimiglia ad avere avuto eredi fu il Marchese Francesco, vissuto a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo. Dal suo matrimonio con Vincenza Camerone nacquero, infatti, Giovan Luigi, Maria Rosa, Giovanna e Corrada. Quest’ultima, il 14 febbraio 1848, sposò il facoltoso possidente Pietro Mancuso che, perciò, acquisì il titolo di Conte di Geraci.
I Ventimiglia, già da parecchio tempo, appartenevano – come si dice scherzosamente – alla categoria dei verbi difettivi. Del tracollo finanziario dei Ventimiglia si è diffusamente occupato Orazio Cancila e dello stato di totale abbandono in cui versava il Castello già all’inizio dell’Ottocento ha scritto in maniera assai circostanziata Eugenio Magnano di san Lio.
Successivamente, i terremoti del 1818 e 1819 avrebbero determinato la demolizione dell’ultimo piano del Castello e le finanze sempre più dissestate dei Ventimiglia avrebbero progressivamente causato lo stato di totale abbandono di tutta l’area castellana, trasformata in un agglomerato di mandrie (foto 1 e 2), del vecchio e glorioso piano della palla, u chianâ bbaddra, e del Castello stesso.
Testimonianza dell’estrema decadenza dei luoghi sono le due struggenti fotografie di fine Ottocento dovute, agli scatti del fotografo fiorentino Giacomo Brogi (foto 3) e del palermitano Eugenio Interguglielmi (foto 4).
I locali del Castello, nel tempo, ospitarono scuole (foto 5), archivi del Comune (dai quali, in tempi a noi vicini, sparì tutta la corrispondenza del periodo borbonico e post-unitario), magazzini di formaggio di commercianti locali, offrirono rifugio a sfollati durante la seconda guerra mondiale e anche dopo. Una di queste famiglie palermitane si chiamava Accomando e uno dei figli frequentava la classe del maestro Gino Carollo. Il maestro, sapendo che in quel ricetto non si nuotava certo nelle pulizie, ogni mattina, sistematicamente, chiedeva al suo alunno, non potendo chiedergli gran che altro: – Accomando, tâ lavasti a facci? – Mû scuiddavu! Ma pua picchì m’a llavari a facci ca s’alluiddìa arrìa.
Su piazza Castello è opportuna una precisazione toponomastica. La sua denominazione popolare, u chian’a bbaddra, non trae origine, come si crede, dalle innumerevoli partite di calcio che vi si disputarono (foto 6) ma dal fatto che nel periodo in cui i Ventimiglia descrivevano la loro parabola ascendente, in ambienti attigui al lato nord della piazza sorgevano dei campi dove si praticavano gli antichi giochi del pallamaglio e della pallacorda.
Ritornando alle desolate vicende finanziarie dei Ventimiglia, già all’indomani del matrimonio della contessa Corrada Ventimiglia con il possidente Pietro Mancuso, quest’ultimo comincia a venire in aiuto economico della famiglia della moglie acquistando, nel corso degli anni, feudi su feudi e beni su beni. In particolare, “il castello in Castelbuono con altri corpi urbani, compresa la proprietà del palco di centro nel teatro di Castelbuono, la Cappella di Sant’Anna cogli arredi sacri, teschio di sant’Anna, reliquia ed altro dentro il Castello di Castelbuono, unitamente alle rendite, diritti e provenienze e cogli obblighi ed oneri relativi”. Un continuo flusso di denari (non moltissimi, come sempre accade in questi casi) dal Mancuso ai Ventimiglia a fronte di uno spaventevole passaggio di proprietà dai Ventimiglia al Mancuso, che non conoscerà soluzione di continuità, se non con la morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1885.
Poiché dal matrimonio con Corrada Ventimiglia non nacquero figli, erede universale del patrimonio del Conte Pietro Mancuso di Geraci, risultò il nipote Barone Luigi Fraccia di Favarotta. Qui non interessa prendere in esame le inevitabili, lunghe e intricate contese legali fra le due sorelle Ventimiglia rimaste in vita e il Barone Fraccia che videro, per la parte che ci riguarda più da vicino, prevalere quest’ultimo. Benché fosse estraneo al patrimonio dei Ventimiglia e libero da legami con Castelbuono, il Barone Fraccia, nei confronti dei castelbuonesi, avrebbe dimostrato tutt’altra sensibilità rispetto ai Ventimiglia.
Nel 1907, infatti, significativamente all’indomani della morte dell’ultima discendente dei Marchesi di Geraci, l’ultranovantenne principessa Giovanna, avvenuta a Palermo il 19 gennaio 1905, il barone Fraccia, benché anch’egli in declino finanziario, grazie soprattutto alla intercessione dell’avvocato castelbuonese Antonio Cardella, decise di donare “alla Comune” di Castelbuono “le chiavi del cancello che custodisce l’urna e tutti gli arredi e paramenti sacri” che si trovano nella Cappella di sant’Anna.
Il 28 febbraio 1913 nella casa del Barone Luigi Fraccia in via Olivuzza, a Palermo, davanti ai testimoni, al sindaco di Castelbuono Mariano Raimondi e allo stesso Barone, il notaio Giuseppe La Placa rogava l’atto di donazione “dell’insigne e preziosa reliquia del teschio di Sant’Anna, nonché dell’urna che la contiene, compreso il mezzobusto argenteo”.
Non è superfluo ricordare che la reliquia del Sacro teschio di sant’Anna, che per duecento anni fu onore e vanto del Castello di Geraci, per volere del Marchese Giovanni I Ventimiglia, il 4 maggio 1454, fu traslata nella cappella palatina del Castello di Castelbuono. Il mezzobusto in argento di sant’Anna, commissionato da Isabella Moncada, moglie di Simone I, per ringraziare la santa del buon esito del parto di una sua figlia femmina, e non del suo primogenito (come da più parti si ritiene), fu realizzato nel 1521. Il 25 luglio 1605, i cappellani di corte si accorsero che la sacra reliquia era stata trafugata. Sarebbe stata ritrovata il 22 gennaio 1615 nell’orto del convento di santa Lucia del Borgo a Palermo. Nel settembre dello stesso anno la reliquia fece ritorno nella dimora dei Principi al Castello e da allora è custodita nella nicchia appositamente costruita dietro l’altare maggiore, protetta da un robusto cancello in ferro chiuso con tre chiavi. Più d’uno, fra il popolo, ebbe a osservare che tali misure di sicurezza si sarebbero potute adottare prima onde prevenire il furto, constatando: prima s’arrubbaru a sant’Anna e ppua cci mìsir’i gradi. Ma i castelbuonesi, si sa, sono incontentabili e anche se il detto si è tramandato fino ai giorni nostri con una buona vitalità per dire che il provvedimento preso è stato tardivo, la saggezza popolare, in questo caso, si è rivelata meno sagace che in altre circostanze. Nel corso di quella sontuosa cerimonia, sant’Anna fu proclamata patrona di Castelbuono. Infine, nel 1669, Giovanni IV Ventimiglia commissionò presso i maestri argentieri di Palermo l’urna dove è custodito il sacro teschio.
L’atto di donazione, sfrondato delle formule di rito, così recita: Premesso “che nel Castello dei Marchesi di Geraci, comunemente inteso castello di Sant’Anna, nell’abitato di Castelbuono esiste da parecchi secoli una cappella dedicata alla Patrona principale di quel paese: Sant’Anna. Che in essa Cappella si ritrova un’urna di argento, in cui si leggono incise le seguenti parole COMES JOANNES VIGINTIMILIUS ET NORTMANNUS XXV COMES ET XI MARCHIO HIERACIS PRINCEPS SCALETTAE ed alla quale fa capo un mezzo busto pure di argento, raffigurante Sant’Anna. Dentro la detta urna che trovasi collocata in una nicchia sopra l’altare maggiore, chiuso da un cancello in ferro con tre chiavi, si conserva la insigne e preziosa reliquia del Teschio di Sant’Anna. Che a beneficio di essa trovansi destinate da tempo immemorabile, varie rendite, le quali sono state fin dal 1800 continuamente amministrate e direttamente godute da sei Cappellani, fra cui uno maggiore, senza ingerenza di sorta di Casa Geraci. Che i signori di Geraci prima e il Signor Barone Fraccia dopo hanno esercitato sulla anzidetta Cappella il dritto di patronato colla nomina dei Cappellani beneficiari. Che volendo oggi il signor Barone Luigi Fraccia generosamente completare l’opera magnifica fatta al 1907 […], è oggi venuto alla determinazione di donare e trasferire alla Comune di Castelbuono, oggi rappresentata dal signor Mariano Raimondi, quale Sindaco, la suddetta reliquia di Sant’Anna e l’urna che la contiene, compreso il mezzo busto argenteo […]. Il sindaco signor Mariano Raimondi accetta con animo grato la detta donazione, e ne porge le più sentite azioni di grazie all’illustre Barone Fraccia, che coll’odierna liberalità acquista sempre più diritto alla riconoscenza e gratitudine della cittadinanza castelbuonese”.
Il culto di sant’Anna, che per molto tempo rimase sostanzialmente privato, essendo riservato alla Casa Geraci, andò propagandosi rapidamente nella popolazione, specialmente dopo il furto e il ritrovamento della reliquia. Tuttavia, fino alla donazione del barone Fraccia, la solenne processione del Sacro Teschio del 27 luglio avveniva con periodicità settennale, mentre dal 1913, si svolge ogni anno. Inoltre, fino agli anni ’50, la processione si svolgeva nel tardo pomeriggio o, al massimo, in prima serata.