Alcuni mobili liberty, un quadro di Paolo Cicero e la sezione Socialista di Castelbuono
|Domanda all’ex sindaco Romeo|
(Di Massimo Genchi) – Questa non è una storia come quelle che ho scritto e che scriverò. In questa di oggi mi tocca parlare, mio malgrado, di questioni in parte quasi del tutto private e in parte pubbliche, in qualche modo. Ho temporeggiato più di vent’anni sperando di potere arrivare a una soluzione senza l’odierno passo ma così non è stato.
Questa storia ha inizio all’indomani del delitto Matteotti, quindi cento anni fa, possiamo dire. Una vicenda che, nella sua drammaticità, svelava il volto criminale del fascismo lasciando impietriti anche i più granitici socialisti. A Castelbuono, per la storia, l’antifascismo fu esclusivamente di matrice socialista, data l’assenza pressoché totale di comunisti e di anarchici.
Rosario Antonio Genchi, mio nonno, socialista fin dai tempi mitici di Vincenzo Runca, cioè dai tempi delle prime lotte per l’emancipazione delle classi lavoratrici, con il fratello Vincenzo, conferiva continuità a una plurisecolare tradizione familiare di ebanisteria che, nel corso dell’Ottocento, aveva espresso, a parte tanti mobili in diverse case aristocratiche di Castelbuono, anche il coro della chiesa di Pollina, il monumentale portone d’ingresso della Matrice Nuova, il grande lampadario posto sull’arco che separa la navata dal transetto della stessa Matrice. A partire dal secondo decennio del Novecento, i due fratelli nella loro bottega artigiana della Strata longa producevano mobili in stile art nouveau.
Paolo Cicero (1885-1932) era già un affermato pittore anche fuori di Castelbuono e, nel corso di quel 1924, subito dopo il suo matrimonio con Rosina Speciale, commissionò al nostro ebanista un salotto e un étagère entrambi in stile liberty. Quando nel 1995, prima dell’allestimento della mostra “Paolo Cicero in provincia fra due secoli”, si procedette a ordinare le carte del fondo Cicero-Speciale, venne fuori un documento in cui si parlava di questa committenza. Di questo foglio, che non ho mai visto, mi parlò Giovanni Sottile, che con Roberto Di Liberti curò la sistemazione del fondo e l’allestimento della mostra.
Rosario Genchi, nel quadro della fornitura, all’indomani dell’omicidio Matteotti chiese a Paolo Cicero di fare un ritratto del leader socialista. Una volta che il quadro fu pronto, lo incorniciò e lo espose nel salotto di casa. Ovviamente quel quadro gli procurò non pochi ulteriori problemi, essendo già noto alle forze dell’ordine per essere stato “segretario politico della sezione del partito Socialista Unitario” e per avere “esplic[ato] intensa attività sovversiva” contro il regime. Anche per tale ragione subì diverse visite dei carabinieri che gli ingiunsero a più riprese di togliere quel quadro ma lui si rifiutò sempre dicendo che si trattava di un suo cugino morto. Bisogna dire che il maresciallo dell’epoca fu anche bonario con lui facendo finta di credergli, anche se puntualmente tornava all’attacco. Ma il quadro di Matteotti rimase bene in vista al suo posto fino alla caduta del fascismo.
A questo punto, poiché il quadro aveva finito di procurargli noie e soprattutto di mettere a repentaglio la normale attività cardiaca della moglie, pensò bene di donarlo alla sezione del Partito Socialista che allora aveva sede in Piazzetta. Ciò è confermato in una serie di appunti redatti nel 1956 da tale “Nebrodo” che scrive di un “Ritratto di Giacomo Matteotti esistente nella sede del Partito Socialista Italiano, sito nella piazza Minà Palumbo di Castelbuono”. Così com’è confermato che il quadro seguì tutti gli spostamenti della sezione socialista fino alla sua ultima sede in via Turrisi, dopo lo scioglimento di Lotta Continua. Qui il quadro fece bella mostra di sé, come è stato confermato da diversi attivisti socialisti che vi bazzicavano, fino alla messa in liquidazione del partito dopo i noti fatti di tangentopoli. Da quel momento il quadro è sparito dalla circolazione. Beffardamente, quasi in contemporanea con la mostra di Paolo Cicero tanto che non risulta schedato nel repertorio delle opere di Cicero posto in appendice al catalogo della mostra.
Da allora mi sono messo sulle sue tracce ma con scarsi risultati. A distanza di anni i compagni socialisti mi assicurarono che quando sbaraccarono la sede di via Turrisi, tutti i documenti e i diversi quadri che vi si trovavano furono portati via dal segretario Romeo. Compresa una testa in terracotta raffigurante Garibaldi, opera del compagno Peppe Occorso.
Ho scritto diverse volte al benemerito ragioniere Romeo: mail, raccomandate, anche sul suo profilo facebook (post immediatamente rimosso) ma alle mie reiterate domande, tese a sapere che fine avesse fatto il quadro di Matteotti e se era vero che si trovasse a casa sua, Romeo ha sempre ostentato un silenzio tombale che parla e si commenta da sé. E dà delle risposte che conferiscono certezze alle domande.
Visto che tutti questi tentativi non hanno prodotto alcun effetto mi sono rivolto anche al fratello, chiedendogli la stessa cosa, pensando che potesse indurlo a più miti consigli e illudendomi di avere una risposta. Ma il risultato è stato sempre lo stesso. Silenzio.
Ora qui, al cospetto della platea di lettori di questo blog vorrei chiedere in termini ultimativi all’ex sindaco Romeo se ha intenzione di continuare ad avvalersi della facoltà di non rispondere o se, invece, non ritenga di rompere questo eloquente silenzio e mettere fine a questa antipatica faccenda. Ovviamente a me non interessa venire in possesso del quadro, interessa invece che venga onorata la volontà del suo legittimo proprietario, l’antifascista Rosario Antonio Genchi, che, caduto il fascismo, volle donarlo alla sezione di quel partito della cui ideologia era assolutamente pervaso. Non esistendo più la sezione socialista, ritengo che la sua collocazione naturale sia, non già dove si trova indebitamente da trent’anni, ma insieme agli altri quadri del fondo Paolo Cicero istituito presso il Museo Civico di Castelbuono.