Alla fine Santannuzza rimase iddru sulu
Se Mazzola è il cognome di gran lunga più presente a Castelbuono, Cicero è senza dubbio quello da cui si origina il maggior numero di soprannomi. Fra i Cicero, infatti, ci sono i Bbaccalà e ci sono i Bbagliùoti, perché un loro ascendente abitava nel baglio dâ vaniddruzza rrutta, vale a dire il Cortile Celso. Ci sono i Ggiulianìeddri e ci sono i Leta, soprannome che trae origine dal cognome di una loro antenata del ‘700. Poi, ancora, i Piddrara e i Bbellizza, per via di uno spilungone il quale oltre che in altizza dovette abbondare anche in bellizza e, perché no, in frischizza, e da lì alla ormai consolidata nciùria il passo fu men che breve. Naturalmente, fra i Cicero ci sono i Mìecci, forse perché un qualche ascendente era micciusu, e ci sono i Munnu, dei quali non si è ancora appurato se ciò sia da intendere nel senso di world o di altro latente significato. Andando oltre, troviamo i Cicirìeddri, e – non me li potevo mica scordare – i Campanìeddri la cui origine è da connettere con una signora vissuta nel Seicento, detta la Campanella, forse per il suo cognome. Infine, ed eccoci al dunque, se è vero che fra i Cicero ci sono i Rriggini non risulta invece, in barba a ogni forma di par condicio, che fra essi ci siano i Re. E ciò, naturalmente, deve risultare di non poco turbamento per chi, invece, pensava di avere titoli (ma anche firme raccolte, attenzione) bastevoli per ritenere di esserlo. Certo, quando ci si nutre esclusivamente di certezze assolute, non deve essere bello aprire gli occhi e constatare che le cose non sono come le avevi sognate. Niente Re, dunque. E, sventura delle sventure, niente Santi. Eh, sì! Perché la Patrona non c’entra niente. E allora, Santannuzza pirchì?? La ragione dovrebbe risiedere nel fatto che verso la fine del ‘700 in quella famiglia nacquero diverse bambine alle quali fu dato il nome Anna per via della nonna Anna Minà che nel 1743 aveva sposato Giuseppe Cicero. A una cuginetta, in particolare, venne dato come secondo nome Santa. Il modo vezzoso dei parenti di rivolgersi alla piccola Anna Santa, che per la proprietà commutativa diventò Santa Anna, da non confondersi con la più nota Santa, potrebbe avere determinato il vezzeggiativo Santannuzza. Quindi ogni pretesa contiguità tra la Patrona e il Patrono sembra scongiurata, con enorme sollievo da parte della Nannò, si capisce. Ma questo è niente in confronto a ciò che leggerete appresso.
Uno dei nipoti di Giuseppe Cicero e Anna Minà, Andrea Santannuzza – così è scritto negli atti notarili dei primi dell’800 – si sposa due volte, nel 1814 e nel 1824, e le due mogli, nel complesso, gli daranno una dozzina di figli. Di ciò non ci si meravigli perché si vede che Andrea, a fuchiari, era particolarmente vocato. Ora, risalendo l’albero genealogico a partire, per comodità di trattazione, dai figli di Andrea nati dal secondo matrimonio, il ramo sindacale si intercetta in corrispondenza di Giuseppe Cicero (n. 1834) da cui nascerà Mariano Cicero, nonno dell’ultimo Santannuzza, l’ultimo sindaco di Castelbuono, nel senso che dopo non ne verranno altri. Attiguo a questo ramo, un altro si diparte in corrispondenza di Paolo (n. 1825), fratello maggiore di Giuseppe. I nipoti diretti di questo Paolo sono Paolo Santannuzza, sopraffino suonatore di violino, e mastro Antonio, che teneva bottega di stagnino nella strata longa, il quale – oltre che Santannuzza – era anche inteso u Signiruzzu non perché avesse deliri di onnipotenza, come qualcuno posto più in alto nel suo stesso albero genealogico, ma perché era sempre lui a interpretare Gesù nel Martorio che a Castelbuono, negli anni Trenta del Novecento, si rappresentava nel teatro comunale. Sì, lo stesso teatro che lo stesso qualcuno posto più in alto nello stesso albero genealogico di mastro Antonio Santannuzza vorrebbe oggi trasformare in un inverecondo Cammaruni. E, ironia della sorte, uomo di punta del composito schieramento di coloro che strenuamente si oppongono a questo vergognoso tentativo di metamorfizzare quel luogo, è il nipote di mastro Antonio, più precisamente nipote per linea diretta del fratello Paolo Santannuzza, vale a dire l’amico mio carissimo Paolo Cicero che però, ormai è Santannuzza in parte residuale e anche meno. Ora se è vero che nessuno di noi ha il privilegio di scegliersi i parenti è pur vero che la parentela, se c’è, rimane. E infatti noi, che per rispetto dell’amico Paolo in sua presenza evitiamo di parlare dell’attuale sindaco (e voi magari ci credete…) quando proprio non ne possiamo fare a meno ci rivolgiamo a lui con un affettuoso quanto tenero: to cuçinu Mariu. Si capisce, per Paolo non deve essere un gran complimento, però è pur sempre qualcosa. D’altronde a questo mondo tintu cu unn’avi a nuddru.
Passando ora al primo matrimonio di Andrea, celebrato nel 1814, fissiamo l’attenzione sui due figli maggiori. Dal primogenito Pietro nascerà un altro Andrea e, attorno al 1850, Antonio. Il ragazzino cresce, si arruola nei carabinieri del neonato Regno d’Italia e, poiché in casa lo avevano fatto dormire ccu i pìeri ammùoddru, era diventato così alto che riusciva a “cogliere le belle pere anche senza la scala”. Ciò fu determinante perché Antonio entrasse a far parte dello Squadrone Carabinieri Guardie del Re, vale a dire i Corazzieri. Quindi era alto più di un metro e novanta. E poiché possedeva anche certe non trascurabili fattezze – d’altronde biddrizzi e dinari un si pùonu ammucciari – si racconta che il suo capitano, originario di Belpasso, alto sì, bello molto meno e soprattutto scuro come un magazzino di carbone, ebbe a dirgli: – «Cicero, aaahh! ma tu sei veramente una Bellizza!!!». Al che il bello Antonio rispose : «ma veramente io sono Santannuzza»! Da qui a dove andremo a parare il passo è breve. Anche se, in quel momento, il corazziere non poteva immaginarlo, di sicuro una volta venuti a conoscenza dell’episodio, i casteddrabbunisi smanciusi e scuncicusi avrebbero cominciato a chiamarlo sistematicamente Bbellizza, come puntualmente avvenne. Dal corazziere Antonio Cicero il soprannome passò al figlio Pietro e poi ai figli di quest’ultimo: Vincenzo e Maria. Per abbreviare, da Vincenzo Bellizza, si arriva – per capirci – alla nipote Francesca Cicero Bellizza mentre da Maria, coniugata Barreca, il soprannome deviando imprevedibilmente per via femminile si posa sulla professoressa Maria Antonietta Barreca, coniugata Botta. E siccome la proprietà transitiva è di sicura validità, a parte il fatto che il sangue non si può trasmutare in acqua, non rimane che dedurre la relazione di cuginanza diretta tra i Bellizza e i Santannuzza. E, nello stesso tempo, constatare che neanche Alfred Hitchcock avrebbe saputo creare un intreccio più raccapricciante. Anche se, bisogna riconoscere che i Santannuzza e i Bellizza, s’ani rispittati sempri. Tant’anni. I cosi ggiusti!!!!!
Ma ritorniamo al primo matrimonio di Andrea Santannuzza. Al secondogenito, come si usava allora, venne dato il nome del suocero Angelo che, a dire il vero, si chiamava Arcangelo e di cognome, voi non ci crederete mai-mai-mai ma è così, Di Pasquale. Quindi Andrea Cicero Santannuzza nel 1814 sposa la figlia di Arcangelo Di Pasquale. E da allora, una successione ininterrotta di Arcangelo Di Pasquale cui succede Antonio Di Pasquale e poi di nuovo Arcangelo si snoda fino ad oggi. Fino al dottore Antonio Di Pasquale incluso, si capisce. Anche lui! Il quale, in nome della vecchia e cementata amicizia che lo lega al sindaco, corroborata ora anche da dimostrata parentela (benché non strettissima) cerca in tutti i modi di convincerlo a ritirare l’ordinanza sui tamponi quindicinali obbligatori a tutti gli esercenti: «Ascuta a mia cuçinu Mariu»!, continua a ripetergli, ma – si sa – quann’u sceccu un voli viviri è nutili friscari… Al punto che al dottore Di Pasquale è venuto da pensare che il sindaco, parlando di tamponi per tutti, forse pensa di tamponare non il Covid ma la situazione che sta andando a scatafascio.
E, infine, come se non bastasse questo ricco assortimento di improbabili parenti, viene fuori anche che la suocera di Lia Romé, Nicolina Cicero, è anch’ella una Santannuzza, dello stesso ramo di Pietro da cui si originarono i Bellizza. Sic stantibus rebus, da questo momento in poi è più che naturale che ciascuno di noi si senta accerchiato.
Infatti, se da una ricerca quasi superficiale come questa sono emersi dei particolari così sconcertanti, benché, alla fine, del composito parentado, di Santannuzza è rimasto iddru sulu, il sindaco, cosa potrebbe riservarci una ricerca condotta in profondità? Chiunque di noi potrebbe essere coinvolto. Ora, no ppi cosa, ma io mi sono già fatto l’albero sierologico e sono uscito santannuzz-immune. Fatevelo anche voi. Questo, a differenza di quello che pretestuosamente vuole farvi fare lui, non costa niente e non c’è bisogno di farlo ogni 15 giorni. Si fa una volta e basta. E una si leva u pinzìeru!
Se per l’intero arco della sua parabola politica l’ultimo dei Santannuzza ha potuto incutere timore avvertendo, in maniera non proprio amichevole, che in paese ci conosciamo tutti ora, alla luce dei risultati di questa campagna di scavi di archeologia genealogica, a buon diritto può tramortire ô mìegliu chi si senti intimando: badate che siete tutti Santannuzza!!!!! E il toccarsi è d’obbligo.