Briciole di tradizioni castelbuonesi scomparse | Anticamente: Quaresima e Settimana Santa

BRICIOLE DI TRADIZIONI CASTELBUONESI SCOMPARSE
ANTICAMENTE: QUARESIMA E SETTIMANA SANTA…
di Giuseppe De Luca
[pubblicato su Le Madonie 1 marzo 1988]

Nostalgici ricordi di molteplici e multiformi immagini: sopite e svanite, sfocate e dissolte!

Già, a carnevale, si incominciava a respirare aria d’incenso. Alle Quarantore della domenica, del lunedì e del martedì di carnevale partecipava una minoranza, che, con preghiera d’adorazione, in presenza di Gesù Sacramentato, esposto nell’Ostensorio sull’altare, si riprometteva di riparare i propri e gli altrui peccati, commessi per le recenti quotidiane provocazioni della maschera e della gola.

Ed ecco che, qualche giorno dopo, arrivavano le prime informazioni su famosi quaresimalisti. Costoro, in gruppo di due o tre, erano ingaggiati per tentare il salvataggio delle anime contro le diuturne, inestricabili ed inestinguibili, tentazioni del demonio dannato: venivano, essi, a spiegare con forbita eloquenza le misericordiose vie della redenzione. Evitando completamente l’alto pulpito, si piazzavano, a turno, su un palchetto sotto l’organo della Madrice Nuova. Allora tutte le principali funzioni religiose si svolgevano in questa chiesa: era l’unica parrocchia di tutti! Quivi, fra la commozione di ciascuno, sudando continuamente, iniziavano ad additare, con ripetuti gesti, in un simulacro a portata di mano, le piaghe e le ferite di Nostro Signore, il Santissimo Crocefisso: chi non voleva sentire, non sentisse!…

La sera, la chiesa si riempiva puntualmente di gente di ogni ceto e di ogni età: vi partecipavano, in massa, tutti: chi per risparmiare il petrolio del lume, chi per occupare le lunghe serate d’inverno, chi per carpire l’occasione conciliatrice del sonno, chi, soprattutto, per il vero, autentico e sacrosanto interesse alla parola divina: fra l’altro si sconoscevano, perché mancavano, radio, televisione, cinema, bar e rimanenti svaghi e passatempi di oggi. Erano queste prediche, dirette alla totalità del popolo, talvolta salaci, talvolta mordaci, ma sempre vivaci ed efficaci, su argomenti generalizzati.

Si arrivava cosi, senza che quasi nessuno se ne accorgesse, alla Domenica di Passione o «delle Anime del Purgatorio»: i Crocefissi si mostravano avvolti in un telo violaceo; si svolgeva il pellegrinaggio al cimitero, offrendo preghiere e suffragi ai defunti; si susseguivano le prediche tanto attese delle «sette parti» fino alla vigilia della Domenica delle Palme.

In quest’ultimo giorno, che apriva la Settimana Santa, subentrava anche la banda musicale cittadina. La mattina, la Messa del «Passio», accompagnata dal coro giovanile e dall’organo suonato dal buon Maestro Vincenzo prima e dal suo figliuolo, il pacifico don Pietrino, poi, attirava particolarmente uno sciame di fanciulli che, smesso l’unico vestito, ormai stretto e vecchio, durato per tutto l’anno precedente, vestiti di nuovo agitavano festosi il «mazzo» di ulivo, rosmarino e spezzacaddrùozzu (stigadosso, Lavandula stoechas): qualche raro fortunato teneva ben stretta anche una piccola palma verde. I timpani delle orecchie della folla si riempivano del loro schiamazzo e del grido assordante Viva Maria, ca natrannu veni arrìa! Perché si pensava già all’anno successivo? Erano le meditazioni spirituali che producevano il loro primo frutto? Erano effetto di recenti riflessioni sul veloce trascorrere del tempo e sulla fragilità della natura umana? Quali cause avevano generato questa tradizione? Mistero!

Quindi, dopo la rituale processione sul sacrato effettuata, al suono di «Noi vogliam Dio!», da decine di sacerdoti parati solennemente con la pallida e gialla palma lavorata dalle monache, aveva luogo la tanto sospirata Benedizione! A questo punto i ragazzi si scatenavano per le strade del paese, mentre i baldi giovanotti con il dattero immaturo all’occhiello si avviavano a lucidare il selciato di certe vie predilette…

In Chiesa era il turno della Compagnia del Santissimo Sacramento che apriva la sequenza delle visite al canto di «T’adoriam, Ostia Divina! T’adoriam, Ostia d’Amore!». Era il segnale per le prediche, diciamo, «individualizzate». Essendo questa Confraternita formata, allora, quasi esclusivamente da contadini, il tema si sviluppava attorno alla campagna e si soffermava sul raccolto, dono di Dio, che ognuno doveva sapersi meritare. Proseguivano poi tutte le altre Congregazioni, maschili e femminili, gli Ordini Religiosi, la scuola elementare (unica e sola) e chiudeva, la sera di martedì della Settimana Santa, la Confraternita dell’Addolorata, già chiamata della «Real Maestranza», che aveva l’onore, assieme a quella di San Vincenzo Ferreri, di togliere dall’altare il Signore. Quest’ultimo avvenimento, che chiudeva le Quarantore della Settimana Santa, aperte la Domenica delle Palme, era affollatissimo perché vi presenziavano anche il Sindaco e il «Municipio» (cioè tutti i maggiorenti della cittadina) ed era allietato dal suono della «Marcia Reale». Ma il popolo?…

Il popolo, frattanto, fin dalla prima mattinata, aveva preso in affitto, per un soldo (cinque centesimi), qualche rara sedia della chiesa, guardandola a vista. Oppure si era tirate dietro, occupando i posti più strategici, le sedie di casa. A proposito bisogna anche ricordare che, durante tutte le tre giornate, si intessevano curiose e cerimoniose offerte e graziosi e grati rifiuti per l’alternanza a sedere fra parenti, vicini, amici e conoscenti.

In quelle ore la folla si assiepava dovunque e si mormorava che se fossero piovuti spilli dal tetto nessuno di questi spilli avrebbe potuto toccare il pavimento! Alcune mamme avevano un bel da fare per tenere d’occhio, con angoscioso sospetto, ogni minimo movimento della figlia signorinella, alla quale da un momento all’altro poteva giungere il bigliettino «galeotto»: usanze d’epoca, per necessità!…

E, all’uscita, come potevano bastare tutte le porte aperte? Attenti alla ressa! Attenti ai calli dei piedi! Attenti a certe mani, per carità! Chi andava avanti? Chi spingeva dietro? Tutti, in tutta fretta, avevano il diritto di guadagnare la strada non badando neanche al fatto che le sedie di casa coprivano di lividi gli stinchi.

Per le vie era un cicaleccio di osservazioni e di commenti su tutto e su tutti. Con questo tramestio i pochi rimasti delusi a casa, per stretta necessità, venivano a sapere che le Quarantore erano terminate!

L’indomani, gli scolari in effervescenza sin dal giorno precedente, da quando cioè, senza interrompere la scuola, nel pomeriggio si erano recati all’ora santa, bollivano per la «lectio brevis» o mezzo orario, come veniva chiamato. Erano stati eccitati dal suono della banda musicale, che preceduta dal sacrestano, il quale portava un grande Crocefisso, era venuta a prelevare le classi maschili a San Francesco per poi passare dalla Badia per le classi femminili. Mancava, perché la scuola non la possedeva, la bandiera nazionale. Ma si pregustavano già le vacanze! C’era già aria di solennità! Anche a casa le donne, infuocate, si affrettavano, aiutandosi a vicenda, fra comari, a preparare i dolci casalinghi: cuori, agnellini, bambole (che nel complesso sono detti cosi di Pasqua), e poi taralle, pastine, biscotti, torroncini, susameli (dolcini secchi a base mandorle o nocciole abbrustolite): ognuno secondo le proprie disponibilità economiche. I ragazzi, per non infastidire, durante questi lavori delle massaie, erano costretti a giocare, sulla strada, ammucciateddra (a nascondino) oppure ê mazzùocculi (al gioco della lippa). Sui tetti fumavano numerosi i comignoli, fra la nebbia che stagnava
!…continua.

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