CastelbuonoSCIENZA pubblica il report “La resilienza delle aree interne, dalle criticità ai progetti per il ritorno”

In seguito agli esiti fortemente positivi dell’incontro organizzato da CastelbuonoSCIENZA, con la collaborazione dell’Amministrazione comunale di Castelbuono, dal titolo “La resilienza delle aree interne, dalle criticità ai progetti per il ritorno”, tenutosi il 13 gennaio 2020 a Castelbuono, l’associazione ha redatto il presente report con i punti salienti emersi durante la giornata di lavori.
Nella consapevolezza che oggi sia fondamentale abbandonare la visione di una rappresentazione della realtà lamentatoria e pessimistica, si è cercato un approccio costruttivo in cui, ai relatori intervenuti, è stato chiesto di fare il punto della situazione, ciascuno per il ruolo di intervento ricoperto nella problematica della marginalizzazione dell’area interna delle Madonie. Lo scopo era quello di comporre un quadro di sintesi con i progetti già realizzati, le esperienze avviate e la programmazione futura da proporre all’attenzione di chi è preposto ad amministrare il Paese, alla luce della visione di rinnovato interesse per la problematica mostrata dall’attuale governo che intende trasformare la Strategia Nazionale Aree Interne da azione sperimentale in politica strutturale.

Le questioni sul tavolo sono tante. La prima è se al Sud sono state destinate sufficienti risorse o no. L’altro aspetto è se la quantità di risorse rappresenti l’indicatore dell’efficacia delle politiche. Siamo sicuri che più risorse significhino più sviluppo? O piuttosto le risorse hanno efficacia solo quando obiettivi, procedure e controlli non sono generici o approssimativi, ma molto precisi, inscritti in un quadro coerente e strutturato e continuamente verificati? Il Prof. Roberto Sottile, che insegna Linguistica italiana all’Università di Palermo e ha moderato la serata, ha avviato la riflessione partendo da “Morire di aiuti”, di Accetturo e De Blasio, un saggio di due economisti che hanno analizzato gli interventi che negli ultimi 25 anni sono stati erogati per il Meridione e le aree periferiche. Gli autori hanno mostrato come il Meridione (e in generale le aree interne e periferiche) siano in profondo declino nonostante gli ingenti flussi di denaro pubblico e privato. Gli enormi interventi finanziari messi in campo per oltre vent’anni (patti territoriali generalisti, patti agricoli, GAL) non solo non hanno curato le tante ferite dei territori, ma non hanno arrestato il loro declino. Si è trattato di un mare di aiuti che, non essendo stati adeguatamente coordinati e non essendo stati inseriti all’interno di una visione ampia e ragionata, non sono riusciti a creare sviluppo. Esiste infine un’ulteriore questione: l’abbandono delle aree interne è la mancanza di lavoro o, piuttosto, la conseguenza di un declino sociale complessivo? Bisogna avere consapevolezza che lo spopolamento e la denatalità sono fenomeni complessi e multidimensionali e che le facili scorciatoie non producono effetti. Siamo in presenza di complesso insieme di fattori socio-culturali: individualismo edonistico, “società liquida”, rifiuto delle responsabilità, ricerca di reti sociali più ampie, ricerca di modelli di vita urbani, necessità di sfuggire all’asfissia del controllo sociale che è tipico dei piccoli paesi. E in aggiunta, viviamo in una società impaurita, in preda a un disagio e una disperazione esistenziale del tutto irrazionale, che ha effetti evidenti, ad esempio, nei comportamenti elettorali e nella psicosi creata ad arte sull’immigrazione (non solo in Italia). Occorre una visione, un progetto e un’idea di una società solidale e cooperativa. Non può essere l’egoismo del mercato la chiave della vita.

L’ing. Giuseppe Dino ha presentato i risultati del sondaggio, curato da lui insieme a un gruppo di giovani madoniti. Dall’intervento è emerso che il profilo demografico di tutti i comuni madoniti (anche quelli in cui insistono realtà economiche floride come Gangi e Castelbuono) mostra un tasso di decrescita medio pari a circa il 10% in 10 anni (dati ISTAT aggiornati al 31 dicembre 2018). L’andamento è perfettamente in linea con la situazione nazionale di tante altre aree interne. Molto grave è l’assenza di mobilità circolare che sarebbe foriera di un valore aggiunto, dato dall’esperienza acquisita in territori più “evoluti” dal punto di vista economico. Sul perché i giovani non vogliono tornare nelle Madonie, anche quelli che non raggiungono la piena autonomia economica, dal sondaggio emerge che la mancanza di lavoro non è l’unica causa dello spopolamento ma, addirittura, potrebbe essere la conseguenza di un quadro territoriale di declino socio-culturale, di perdita di fiducia e di mancanza di prospettive. Una realtà sommersa, che evidenziano i dati, è il problema della discriminazione ed emarginazione legata a fattori sociali, colore politico, legami familiari, conoscenze dirette e indirette. Emerge, inoltre, un malcontento generalizzato sia verso gli amministratori locali ma, per la prima volta, anche verso gli stessi cittadini, ritenuti poco capaci di intraprendere azioni di sviluppo sociale ed economico. Agli amministratori viene imputata l’incapacità di canalizzare le risorse verso azioni efficaci e la mancanza di criteri di progettualità che partano dalle reali esigenze dei cittadini madoniti. A ciò si affianca la distanza sempre maggiore, anche a livello comunicativo, fra amministratori e cittadini. Non è un caso che la maggioranza assoluta degli intervistati dichiara di non essere a conoscenza di strumenti volti a contrastare il fenomeno dell’emigrazione dalle Madonie (SNAI e altri strumenti politici-finanziari). Da più di 150 anni si dibatte di Questione Meridionale ma è possibile che si stia sbagliando prospettiva? Forse avrebbe più senso la costituzione di un Ministero delle Aree Interne che si dedichi ai problemi di tutte le aree interne d’Italia, dalle vallate valdostane agli ultimi scogli di Lampedusa, in modo da affrontare un gruppo di problemi che afferiscono alla stessa radice.

L’analisi della SNAI-Strategia Nazionale Aree Interne è stata effettuata da Alessandro Ficile, Amministratore Unico e Coordinatore Tecnico di SOSVIMA. Presente da oltre 20 anni sul territorio, la società ha prodotto una buona azione di supporto a diversi processi di sviluppo, dai Patti Territoriali al P.R.U.S.S.T., al P.I.T., al P.I.S.T. Unitamente agli amministratori locali, SOSVIMA ha elaborato il dossier di candidatura in forza del quale le Madonie sono state selezionate come area prototipale per la sperimentazione in Sicilia della SNAI. L’Accordo di Programma Quadro, completo di tutti gli interventi nei quali si declina la SNAI, è stato firmato nell’ottobre del 2018. Purtroppo, nonostante la gran parte degli interventi siano di livello esecutivo, è stato emanato un solo decreto di finanziamento. Ficile denuncia, pertanto, a fronte di un lavoro puntuale e approfondito di programmazione, condotto sul territorio e con il territorio per oltre 14 mesi, un blocco a livello regionale e nazionale che sta ritardando l’attuazione delle misure volte al contrasto dell’emigrazione dei giovani madoniti e al miglioramento dei diritti di cittadinanza.

Il dott. Salvatore Cassisi, componente del comitato promotore dell’istituzione delle Zone Franche Montane, ha presentato un percorso di organizzazione dal basso della società civile. La legge voto sull’istituzione delle agevolazioni fiscali per i comuni montani, proposta da un comitato civico, è stata approvata all’unanimità all’ARS, nella seduta del 17 dicembre 2019, e adesso dovrà superare il vaglio nazionale. Il dott. Cassisi ha sottolineato l’importanza della partecipazione dal basso perché purtroppo, ancora oggi, i rappresentanti delle istituzioni, che hanno il compito di sostenere chi fa impresa e investe nel territorio madonita, parlano ancora al futuro. Ma le imprese hanno bilanci a chiusura annuale e hanno bisogno di risposte immediate per poter programmare investimenti. Oltretutto, in un quadro generale di spopolamento, il binomio domanda-offerta vacilla: se la domanda scende, l’offerta è destinata a scomparire. Gli aspetti problematici sono tanti, ad es. i livelli essenziali di prestazione, introdotti con la riforma del Titolo V della Costituzione, o i Centri Commerciali Naturali, e dimostrano che nella governance nazionale, regionale e locale qualcosa non ha funzionato. In un quadro di criticità, in cui il sentimento di pessimismo sta divenendo pervasivo, è necessario che la società civile ritrovi la forza dell’indignazione per farla divenire resistenza e per indirizzare la politica verso azioni che rispondano ai bisogni dei cittadini.
Il dott. Giuseppe Marsolo, Vicedirettore di Coldiretti Palermo, ha proposto una riflessione sul ruolo di organismi sovranazionali, nel panorama di interventi di promozione economica e sociale, parlando dell’impatto dei Programmi di Sviluppo Rurale sull’economia siciliana. Malgrado il fatto che l’Italia sia al secondo posto per risorse erogate dall’UE, gli indici sono peggiorati. Questo da un lato comporterà una maggiore quantità di risorse nella prossima programmazione ma impone una riflessione profonda su quanto fatto da parte della classe politica e degli enti locali.

Un altro importante approccio presentato è quello di Fondazione con il Sud, un ente privato promosso dalle fondazioni bancarie e dal mondo del terzo settore e del volontariato per valorizzare nei territori il capitale sociale, attraverso progetti di sviluppo locale basati su percorsi di coesione sociale. Il dott. Marco Imperiale, direttore di Fondazione con il Sud, ha presentato l’esperienza di Castelbuono, in cui i progetti di grande impatto, soprattutto all’interno del mondo giovanile, hanno superato positivamente la fase di definizione e di avvio, e alcuni sono in fase di conclusione. Castelbuono è stata capace di avviare una profonda riflessione collettiva sullo stato della propria identità e sui percorsi di sviluppo attivabili. Il successo è legato anche alle leadership emerse, all’interno di una fascia di età tra i 30 e i 40 anni, che hanno messo in campo la preparazione e il vigore necessari per garantire efficacia ai processi, e ad un sistema di controllo equilibrato, ma sempre rigoroso e trasparente.

A seguito delle relazioni, è stato aperto il dibattito che ha visto diversi contributi. In sintesi è emerso quanto segue:
1. le politiche di sviluppo locali sbagliate debbono essere riconnesse alle politiche economiche globali;
2. bisogna riflettere sul significato di strategia e sulla necessità non solo di individuare gli elementi di debolezza ma anche comprenderne l’origine sia storica che sociale, per ridare al Sud la centralità perduta nelle reti commerciali del Mediterraneo e in un auspicabile asse Bruxelles-Sicilia-Africa mediterranea;
3. alla luce del fatto che molti non conoscono la SNAI, la società civile deve riconquistare il suo ruolo di controllo e di iniziativa affinché la progettualità sia partecipata e non imposta dall’alto, non solo con il coinvolgimento dei sindaci ma attraverso un allargamento del tavolo di confronto;
4. la prospettiva di sviluppo di un territorio passa attraverso le infrastrutture, tra cui la rete viaria rappresenta un pilastro, affinché un territorio possa ricostruire reti sociali dense e, laddove queste sono carenti a causa del limitato numero di abitanti, agevolare flussi di mobilità da e per le aree gravitazionali;
5. poiché la Regione Sicilia deve preparare la programmazione dei fondi europei 2021-27, si auspica una visione d’insieme, un progetto d’area vasta in cui rientrino gli obiettivi legati ad agricoltura, turismo e sociale;
6. il reddito di cittadinanza presenta in alcuni territori un grosso problema legato al fatto che solo una piccola parte dei beneficiari è occupabile; la maggior parte non lo è per problemi legati al disagio psicologico, familiare, o a livelli di istruzione molto bassi in quanto chi possedeva i requisiti per trovare lavoro è andato via;
7. il bisogno di conferenze di servizio tra rappresentanti delle istituzioni, rappresentanti delle associazioni di categoria ed associazioni culturali che rendano note le determinazioni dei tavoli: le azioni più delle parole;
8. si chiedono sempre più soldi ma bisogna fare l’analisi di come sono stati spesi, quanta gente ha trovato occupazione grazie alle risorse arrivate sui territori; ci si chiede anche che ruolo ha avuto l’ente Parco delle Madonie;
9. bisogna ascoltare con attenzione i sindaci perché sono gli amministratori in prima frontiera nell’affrontare le difficoltà dei cittadini;
10. la possibilità per i centri minori di reinventarsi un’economia di accoglienza turistica diversificata, legata alle peculiarità locali; investimenti in tal senso potrebbero attrarre ad es. una fascia di anziani benestanti che cercano una migliore qualità della vita; come anche la possibilità di proporre le zone interne come modello di vita alternativo per il ricco turista abbrutito dalla vita urbana, inquinata e congestionata.
11. non ultimo, uno sguardo al fenomeno dell’immigrazione deve avviare una riflessione sul ruolo nel mondo del lavoro, in attività come l’agricoltura che oggi trova negli immigrati un’importante risorsa.

Al dibattito ha contribuito anche il Deputato regionale dott. Luigi Sunseri, del M5S, a fronte dell’invito alla presidenza della Regione Sicilia da cui non si è avuta alcuna risposta. Sunseri ha posto l’attenzione sui trasferimenti statali ai comuni, nel tempo sempre più esigui, e di contro sull’inadeguatezza della progettazione regionale che vede parecchi bandi bloccati, così come le risorse ad essi connesse. I ritardi dovuti alla Regione, ai dipartimenti, alle amministrazioni, alle Città Metropolitane impediscono di avere i decreti di finanziamento per spendere i fondi del FESR. I fondi del PSR non riescono ad essere spesi a causa di bandi inadeguati, la cui redazione è compito della Regione. Per non parlare dei bilanci regionali che, a causa dei ben noti problemi di disavanzo fra entrate e uscite, si vedono cancellare ogni anno dalla Corte dei Conti i residui, risorse che invece sono indispensabili alla promozione dei territori. Se si vuole pensare un futuro per la nostra terra, bisogna avere il coraggio di portare avanti una serie di riforme atte a stravolgere l’ordine delle cose, bisogna prendere consapevolezza del fatto che i problemi non vanno sottovalutati.
La riflessione globale sui diversi approcci messi in campo a vari livelli è toccata all’ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, ideatore della Strategia Nazionale Aree Interne e oggi Coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità.

Il prof. Barca ritiene l’incontro un momento significativo, un importante patrimonio cognitivo in una fase delicatissima di questo microterritorio di una regione dell’Italia, il cui esito dipende dagli amministratori presenti. Può essere una grande occasione se si saprà dialogare con chi nella sala non c’è, oppure può risolversi nell’ennesimo tavolo di confronto senza significative conseguenze. Il prof. Barca rileva che esiste un evidente contrasto fra il giudizio positivo sulle idee strategiche che il gruppo di sindaci ha messo in campo e ciò che è emerso dal tavolo di confronto. Il dato è il distacco tra chi amministra e i cittadini, gli intellettuali, gli imprenditori, gli accademici. La platea mostra una rappresentanza giovanile molto limitata e la classe dirigente ha un’elevata età media. Bisogna riconnettere i giovani, favorire il loro coinvolgimento nelle politiche.
Barca affronta la tematica della marginalizzazione delle aree interne sottolineando l’errore dovuto a scelte che sono state compiute da tutti noi, non solo dalla classe politica ma da tutta la società. Quando si vuole un cambiamento bisogna essere compatti perché i cambiamenti non vanno bene a tutti, esistono sempre degli avversari. Non bisogna aver paura della complessità ma è necessario avere un impianto concettuale unico e condiviso, e avere il coraggio di andare avanti, di non ricominciare ogni volta daccapo. Bisogna avere una chiave di lettura della realtà: chi governa dà una chiave e su quella si lavora, altrimenti il Paese non esiste. Si è scelto a livello nazionale, cinque anni fa, di leggere la realtà del territorio nazionale suddivisa in campagne de-industrializzate, periferie delle città e aree interne. Queste ultime hanno problemi simili in tutte le regioni, hanno le stesse contraddizioni e sono frutto delle stesse scelte politiche. Non è la densità di popolazione che fa la differenza, né l’altitudine: ecco perché si chiamano aree interne e non aree rurali o aree montane. Aree interne in difficoltà ma anche ricche di straordinarie opportunità, perché sono esposte a temperature diverse, hanno diversità agricola, diversità culturale, offrono rarità, offrono al mercato dei prodotti straordinari. Oggi il mercato internazionale chiede beni particolari, diversità, connessione tra turismo e cultura, chiede un altro modo di presentare il paesaggio. Un efficace sistema d’istruzione, che restituisca valore alla cultura, può innescare una diversa economia, fondata sulla ricchezza dei patrimoni culturali e ambientali locali.
Quando è nata la Strategia Nazionale Aree Interne, queste partivano da dati simili, da problemi simili e la strategia avrebbe dovuto produrre effetti simili. Ma se ad un certo punto, come avviene da circa un anno e mezzo, viene a mancare la funzione unificante centrale, si comprende il perché un’area interna del Paese è riuscita a far meglio di un’altra. Mancando l’azione di monitoraggio del Governo, il ruolo delle Regioni diventa determinante e può fare la differenza.
Il prof. Barca riflette sui dati del sondaggio presentato e sottolinea il fatto che i numeri presentati dimostrano che i giovani vanno via. Ma il dato più grave è che non ritornano. È importante che vadano a fare esperienze in ambienti stimolanti e innovativi perché tali esperienze potrebbero rappresentare un investimento. Il tema è che, nella maggior parte dei casi, non vogliono tornare e non per colpa dei soli amministratori ma di tutti i cittadini, dell’intera società. L’Art. 3 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge… La Repubblica rimuove gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”: la Repubblica non significa lo Stato, ma tutti noi. La Costituzione carica i cittadini di una responsabilità significativa e i giovani dimostrano di averlo capito.

Se le Madonie dimostrano, con questo tavolo di confronto promosso da un’associazione, dalla società civile, di voler riflettere sul problema delle aree interne, devono avere la consapevolezza di essere territorio di avanguardia perché la rabbia è maturata nei cittadini di varie aree interne di tutto mondo, non solo in Italia. E, come sostiene l’economista Anthony Atkinson, i cittadini votano per partiti di destra autoritaria non a causa della globalizzazione, ma perché sono stati marginalizzati, per l’idea sbagliata che i tecnocrati possano scrivere leggi che si applicano a tutto e a tutti. Chi scrive le riforme secondo l’idea one size fits all, senza tener conto delle caratteristiche e delle peculiarità di un territorio, riesce solo a danneggiarlo. Lo Stato è un luogo dove maturano strategie, interpretando la volontà popolare o seguendo le indicazioni maturate nelle imprese private? La nascita di centri commerciali è un esempio di liberalizzazione del commercio senza una riflessione sugli effetti che avrebbe avuto sui piccoli produttori, senza tenere conto del contesto.
Il prof. Barca ripercorre la nascita della SNAI sulle Madonie, la fase costituente preliminare ai progetti, in cui è maturata una visione del futuro a cui pervenire attraverso azioni ragionate, una visione a lungo termine ma anche valutazioni intermedie e aggiustamenti. Con l’orgoglio di quanto si è fatto e la consapevolezza che bisogna ancora lavorare tanto, è necessario chiedere a Roma, e se il Ministro Provenzano fosse stato presente lo si sarebbe fatto in modo diretto, di ridare il senso nazionale alle politiche della SNAI. Non è un caso che le politiche per frenare lo spopolamento e rafforzare la coesione economica e sociale della SNAI siano, in questi giorni, oggetto di studio e confronto di una delegazione del governo di Cuba, alla presenza anche di rappresentanti dell’ONU.

Il prof. Barca conclude ringraziando l’associazione CastelbuonoSCIENZA per il lavoro svolto, sottolineando l’importanza dell’azione della società civile nell’indirizzare le politiche. Poi è necessaria una corrispondenza forte con una rete di amministrazioni locali. Una rete di sindaci che non abbia l’apporto, lo stimolo, anche la critica, della società civile è debole. È da questo concetto fondamentale della democrazia partecipata che bisogna ripartire, considerando l’incontro come un momento ricostitutivo per riavviare il confronto e la partecipazione.

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