Come la Sicilia bistratta Ypsigrock e i veri festival musicali
(Di Gianfranco Raimondo) – In un articolo apparso qualche giorno fa sul Il Post si spiegavano le ragioni di come la Puglia sia diventata la regione dei festival musicali grazie, appunto, ad un programma (non a caso definito nell’articolo lungimirante) di contributi pubblici meglio conosciuto, specie dagli operatori del settore, come Puglia Sound.
Per chiarire, il Post è un quotidiano online nazionale rinomato per i suoi approfondimenti in specifici argomenti degni di cronaca attuale.
Nell’articolo in questione, come ovvio, si fa un’estesa mappatura del festival pugliesi con l’intervista degli organizzatori di alcuni di essi.
Quel che è meno ovvio, che ci porta direttamente al succo della questione, è il fatto che vengano citati nell’articolo solo due festival non pugliesi.
Scrive infatti Isaia Invernizzi (autore del pezzo) parlando del Secolare (uno dei festival pugliesi):
Il Secolare è nato sull’esempio dei cosiddetti boutique festival come Le Guess Who? di Utrecht o lo Ypsigrock di Castelbuono, sulle Madonie in provincia di Palermo.
Non si tratta di un virgolettato riportante le parole di qualche organizzatore, ma la delucidazione fatta dal giornalista per rimandare l’attenzione del lettore a dei precisi modelli per meglio capire la fenomenologia dei boutique festival.
Due modelli, uno internazionale e uno italiano.
Ragioniamo per un attimo sulla efficacia di promuovere un determinato territorio con una sola frase: Castelbuono (ottimo), sulle Madonie (eccellente) in provincia di Palermo (bingo).
Di percezione meno immediata è che – nell’elogio di una regione che ha messo a reddito una gran massa di eventi culturali – l’unico modello italiano citato è un festival meridionale che deve invece supplicarli i contributi (del tutto saltuari in 27 anni di storia).
Questo stridente contrasto tra i risultati ottenuti a favore dell’immagine (basterebbe solo quella) del nostro territorio e le briciole che talvolta di rimando le istituzioni lasciano cadere demoralizzerebbe e ammazzerebbe perfino un toro.
L’obiezione immediata a questo ragionamento potrebbe essere:
Non ci sono risorse.
Falso. Qui nasce la totale amarezza mista a rabbia. Vengono letteralmente dilapidate e dissipate enormi risorse per finanziare eventi che (per la cifra ottenuta) non hanno alcun valore economico, culturale e di immagine per il territorio.
Basti guardare quali eventi ad inizio anno sono stati finanziati dalla Regione Sicilia per una complessiva cifra monstre di sette milioni di euro, alcuni con contributi da duecentocinquantamila euro, il cui nome difficilmente ne avrete sentito parlare al di fuori della stretta cerchia dei loro organizzatori.
O lo stesso festival jazz organizzato dalla regione che da solo aggiunge un altro milione di euro alle spese complessive in questo pseudo comparto chiamato turistico.
Fermandoci nella ricerca, finora si commentano 8 milioni di euro distribuiti solo per alcuni e senza alcuna motivazione a spiegazione della bontà e dei risultati ottenuti dai singoli eventi (non basta una sponsorizzata in aeroporto, se poi la gente non ci viene).
La contribuzione pubblica deve essere una parte dell’investimento e non la totale torta da spartire. Se prevedo un contributo pubblico di 250.000 euro, devo altresì pretendere un complessivo investimento da 500.000 a 750.000 euro (veri e senza gonfiare numeri).
Dunque le risorse ci sarebbero ma vengono utilizzate senza dei bandi (che almeno in teoria dovrebbero applicare punteggi a seguito di un’approfondita valutazione) e perfino c’è pochissima trasparenza sulla gestione dei contributi pubblici.
Da qualche anno a questa parte ha preso campo il biasimevole vezzo di non prevedere un’unica delibera in cui chiaramente si indica l’importo complessivo destinato a questo o a quell’organizzatore.
Si sceglie di spezzettare il contributo prevedendo mille e mille singole delibere a carico dell’ente pubblico (che paga direttamente la siae, e poi gli alloggi, e poi la comunicazione e via così) ma che sono ugualmente riferibili allo stesso evento, come se ci fosse qualcosa da nascondere o dell’imbarazzo a dichiarare l’entità del sostegno economico ricevuto o elargito.
Ci vuole chiarezza prima di tutto. E poi spieghiamo bene ai cittadini il ritorno economico ottenuto da quella sagra di cibo di jazz o di film.
La politica (perché essa è davvero responsabile di questo scempio) ha – imperterrita – continuato il sacco delle finanze pubbliche evitandoci la realizzazione del sogno del progresso.
Parlando di Ypsigrock abbiamo un po’ esportato ovunque la bontà di questa esperienza, ricevendone sempre apprezzamenti e prestigiose collaborazioni.
Il motto cui ci riferiamo riportando il festival a chi non lo conosce è la tua Sicilia inaspettata.
L’ironia della sorte vuole invece che, agli occhi di chi già conosce il festival, il contesto siciliano in cui esso ruota è sempre lo stesso: il solito prevedibilissimo cliché fatto di clientelismo e sprechi.
Ma non bisogna demordere. Questo contesto, seppur demoralizzante, può esser cambiato. E non incatenandosi al Teatro Massimo, non minacciando di spostarsi in Trentino o in Spagna, per poi dimostrarsi di essere come loro o uno di loro.
Pur continuando questo becero andazzo, per quanto mi riguarda, Ypsigrock potrà esistere solo nel posto in cui è nato, e semmai sostituito altrove con altre esperienze radicalmente diverse.
Come si legge nel citato articolo, anche dalla Sicilia possono partire dei modelli internazionali di riferimento a dimostrazione che tutti i soffocanti luoghi comuni (veri) di cui la Sicilia (e noi) è vittima possono essere smentiti e sovvertiti.
Insieme sconfiggiamo il clientelismo e che sia la politica ad adeguarsi agli sforzi dei sani portatori degli interessi territoriali e regionali.
La ricetta per un futuro più roseo è semplice: senso di comunità, redistribuzione di risorse economiche, studiare l’efficienza ed essere ossessionati dal bello.