“Danno da tabulato”, il caso kafkiano della richiesta di 368 mila euro a Genchi (senza reati), l’articolo del Fatto Quotidiano

(Ilfattoquotidiano) – Un pignoramento di 368 mila euro per Gioacchino Genchi, ex super poliziotto al fianco di Giovanni Falcone, poi consulente informatico per decine di procure, oggi avvocato. Il motivo del pignoramento: la condanna nel processo civile per il presunto danno patrimoniale arrecato ai tre ex parlamentari Francesco Rutelli, Clemente Mastella e Sandro Gozi. Nel 2007, durante l’inchiesta Why Not, l’allora pm Luigi de Magistris chiese ai gestori telefonici i tabulati delle loro utenze, affidate poi a Genchi, che avrebbe dovuto analizzarle.
 
Sull’inedito “danno da tabulato” arrecato ai tre, domani dovrà pronunciarsi la Terza sezione civile della Corte di Cassazione, scrivendo la parola fine a una vicenda che oscilla tra il surreale e il paradossale. Partiamo dall’oggetto del giudizio. Il “danno da tabulato” consisterebbe, secondo l’accusa, nella “lesione delle funzioni di parlamentare” derivata dalla “acquisizione”, dal “trattamento” e dalla “elaborazione dei dati relativi al traffico di utenze di parlamentari in assenza di autorizzazione della Camera di appartenenza”.
 
In sostanza: i tabulati telefonici dei tre ex parlamentari furono acquisiti senza autorizzazione. Va precisato che la norma è posta a tutela del Parlamento (non dei singoli parlamentari) e i presidenti di Camera e Senato hanno espressamente deliberato di non costituirsi parte civile. Aggiungiamo che la condotta, in sede penale, integra gli estremi dell’abuso d’ufficio. Che però non c’è mai stato: nell’ottobre 2015, infatti, la corte d’Appello di Roma ha già assolto De Magistris e Genchi perché il fatto non costituisce reato. Per la corte d’Appello, quindi, De Magistris e Genchi sono innocenti. Pur non avendo violato alcuna norma del codice penale, però, i due sono stati trascinati nel processo civile avviato da Rutelli, Mastella e Gozi per chiedere il risarcimento del danno ricevuto. Il giudice civile ha ritenuto di non poter condannare un pm a risarcire qualcuno per un fatto che non costituisce alcun reato. Quindi per De Magistris niente condanna. Invece Genchi, che magistrato non è, viene condannato dalla corte d’appello civile di Roma per aver violato la “riservatezza delle comunicazioni dei parlamentari, della loro attività politica e del suo libero esercizio”. Danno quantificato in circa 113 mila euro per Gozi e Mastella e circa 141 mila per Rutelli. E si arriva così ai 368 mila euro pignorati a Genchi.
 
Ma adesso rimettiamo a posto i tasselli. Già sappiamo che né De Magistris né Genchi hanno commesso alcun reato. Lo stabilisce una sentenza definitiva. Ora poniamoci un’altra domanda: chi ha chiesto ai gestori i dati dei tre parlamentari? L’unico che, codice alla mano, era in grado di farlo: l’ex pm De Magistris. Il consulente del pm, cioè Genchi, non può richiedere i tabulati di chicchessia, poiché la legge non lo permette.
 
Ma De Magistris, in quanto pm, secondo il giudice civile non può essere condannato. Eppure a Genchi non può essere certo imputata la condotta che avvia il “danno”, ovvero l’aver chiesto i tabulati ai gestori, quindi non può aver violato alcuna guarentigia. Ma finisce sotto processo (e con una condanna). Facciamo adesso un passo avanti. I tabulati vengono affidati a Genchi dal pm De Magistris, affinché li analizzi. Il codice prevede che sia il pm a guidare l’indagine. Il consulente, per quanto possa offrire suggerimenti e mettere sul tavolo intuizioni investigative, può soltanto eseguire la delega che gli viene affidata. Aver eseguito la delega impartita da De Magistris non soltanto era doveroso e legittimo ma, soprattutto, non era illegale: i due non hanno infatti commesso alcun reato. Per non incappare nella condanna, quindi, Genchi avrebbe dovuto disattendere l’ordine ricevuto dal titolare dell’indagine. Incorrendo in una sfilza di altri reati: rifiuto e omissione in atti d’ufficio, rifiuto di uffici legalmente dovuti, favoreggiamento e inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. All’elenco dei paradossi, in caso di condanna, se ne aggiungerebbe un altro: come dovranno comportarsi i consulenti dei pm per non subire la stessa sorte di Genchi? I casi sono due. O lavorare in condizioni di scarsa serenità (a discapito della loro indipendenza) oppure rinunciare preventivamente all’incarico.

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