I Soprannomi di Castelbuono – origini, perché, percome, aneddoti (Parte 1)

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Quella dei soprannomi è
la sola nomenclatura
che abbia corso nel paese.
Un’anagrafe emblematica
al cui ufficio sovrintende
permanentemente il popolo intero.
Antonio Castelli, gli ombelichi tenui

A Castelbuono esistono due corrispondenti dialettali del termine italiano soprannome. Il primo, di gran lunga il più comune, è a nciùria, propriamente ‘ingiuria, offesa’. L’altro, ormai quasi un arcaismo, è u nnoccu, che potrebbe derivare da nnecca ‘cattiva nomea; infamia, calunnia’ o anche da nnocca ‘fiocco, nastro che si mette per ornamento’ ma anche ‘cresta del gallo’.

Come si sa, i soprannomi nacquero prima ancora dei cognomi, in aggiunta ai nomi propri, per necessità di una maggiore distinzione, se non di una identificazione univoca delle persone. Molti cognomi di oggi, se non tutti, in origine furono soprannomi. Un esempio è costituito dai seguenti: Capuana, Caccamo, Cannizzaro, Marinese, Gennaro, Cillufo, Fina, Maiorana, La Grua, Raimondo e molti altri, come si deduce da diversi atti notarili quattro-cinquecenteschi.

Poiché, al pari dei viventi, anche le parole obbediscono alla legge universale della selezione naturale, così come supra ha prevalso su ncapu, cuscinu su chiumazzu, zzappuni su matacubba, e in tempi più recenti Santannuzza su Fratilluzzu, allo stesso modo nei casi prima elencati, e in altri ancora, il soprannome ha finito col soppiantare il cognome.

Altre volte, invece, la nciùria non è riuscita a prendere il sopravvento sul cognome, come nel caso di Livusìeddru, Manciuni, Nigrì, Palànniru, Patàcchiu, Spìecu, Titi, Viscìglia e molti altri ancora. Si è verificato, al massimo, un diverso abbinamento tra soprannome e nciùria come, per es., u Lìsciu che oggi denota alcune famiglie Failla mentre un tempo era riferita ad alcune famiglie Martorana.

E’ notevole però il fatto che mentre a Castelbuono, soprannomi come Ciprianu, Nigrì, Manciuni Cuffaru, Luna, Maccarruni, Manciarracina, Mùrgia, Panzareddra, Pirricuni, Spitalìeru, Vinci nei secoli sono rimasti tali, altrove, invece, si sono trasformati in cognomi.

Anche se il soprannome nacque per individuare una singola persona, ben presto si estese all’intera famiglia per poi propagarsi ai discendenti. Tuttavia, l’originaria tendenza di coniare soprannomi esclusivamente individuali, ha mantenuto sempre una certa vitalità. Basti ricordare gli storici Puppinu çè-çè, Marianu Piriddru, Puppinu Parasaccu, Bbacìccia, Rarò, Marianu Pupù e i più recenti Vicìenzu Bbirra, Enzu a Bbuffa, Vàrtil’a Bbumma, Vicìenz’a Star, Sariddru a Ssi; Ntòniu u Mitu, Vicìenzu u Tìerzu, Sarvaturi Piòggia, Larìenzu Cinga-lenta e si potrebbe continuare a lungo. In casi del genere, non era raro che all’interno di una stessa famiglia circolassero diversi soprannomi.

In ordine all’aspetto grammaticale, a Castelbuono, diversamente da quanto accade nella quasi totalità dei paesi di Sicilia, un soprannome riferito a una persona di sesso maschile può essere preceduto dall’articolo determinativo oppure no senza che per ciò valga una regola ben precisa. Alcuni esempi del primo gruppo: u Patanu, u Spìecu, u Picchiùolu, u źźùrbiu, u Tabbaccaru, a Bbona, a Puviriddrami …e alcuni del secondo: Vàia-vàia, Scuru-di-l’arba, Pilidoru, Bbarraccuni, Va-cùrcat’a-mà, Piciùciu, Tistazza. Quando invece i soprannomi vengono riferiti a soggetti di sesso femminile, si accordano e si fanno sempre precedere dall’articolo femminile, per cui avremo: a Bbraccoca, a Pignatuna; a Pirricuna, a Quasuneddra, a Caddrozza.

Se si tiene conto che la nascita dei soprannomi si perde nella notte dei tempi, si capisce che il tentativo odierno di trovarne la motivazione, anche per le corruzioni e le deformazioni subìte, non è cosa per niente agevole.

Gianluca Di Garbo, per es., riferisce di possedere due motivazioni ben diverse per il suo arcinoto soprannome, Paparuni. La prima si dovrebbe al fatto che in un podere, a monte dell’Arena, â Santacruci, appartenuto a un proto-paparone, crescessero rigogliosi i papaveri rossi. Ciò appare pertinente se non altro perché il nome locale del papavero è paparuni. La seconda sarebbe da riferire a una situazione occorsa ad un suo antenato, svirgolato almeno come suo fratello Dario. Questo, durante una performance canora, steccò ripetutamente e gli amici lo schernirono a lungo per avere fatto una grossa pàpara, insomma un paparuni. Più convincente è invece una terza versione secondo la quale, una congrega di buontemponi, portatisi a Collesano per una esibizione, a tutta prima diedero fondo ai beveraggi. In questo stato di aplomb alcolico, l’antenato di Gianluca, forse astemio come Dario, improvvisò un canto non prima di essersi agghindato a dovere con un enorme e vistosissimo papillon rosso. Al che uno dei suoi compagni, che ad alcol doveva essere messo almeno come lui, gli disse: “Oh!, che sei bello, mi sembri un papaverone, anzi un paparone”.

In generale, come si accennava prima, la spiegazione dell’origine di un soprannome non è per niente immediata come si potrebbe essere indotti a credere. Se così fosse, Panzareddra sarebbe da mettere in relazione col fatto che un antenato del veterinario Allegra possedesse un deposito di tessuti adiposi non già â strata longa nei pressi di l’Arminisi ma nella zona addominale. Invece, contro ogni previsione di sorta, Panzareddra potrebbe essere un soprannome di tipo decognominale, derivato per sicilianizzazione del cognome di un qualche ascendente Panzarella. Allo stesso modo, il soprannome Ciallestò, a prima vista potrebbe far pensare a un abborracciatore, a uno che per propria inclinazione caratteriale tende a operare in maniera raffazzonata, insomma a sonfasò, e quindi a fare le cose a Ciallestò. Invece questo soprannome negli anni Quaranta del Novecento venne affibbiato a un signore, ballerino alquanto appassionato di charleston benché claudicasse vistosamente e forse ciò rendeva ancora più spettacolari, prima ancora che ilari le sue performances. Il soprannome si propagò all’intera famiglia e ai discendenti fra cui c’erano i componenti de Le Piccole Ore, un gruppo musicale tipo i Santo California e il Giardino dei Semplici che arrivò al successo con la canzone Voglio amarti così e che spesso apparvero in televisione. Ricordo benissimo a metà degli anni ’70, quando la loro canzone «Scommettiamo?» chiudeva la trasmissione di Mike Bongiorno, la gente alla vista esclamava talè, talè i Ciallestò cci su â televisioni. Un altro soprannome, è u Signiruzzu e uno pensa che la nciùria sia senza dubbio da mettere in diretto rapporto con i deliri di onnipotenza di quel signore, soprattutto tenendo conto del suo cognome che non vi dico per evitare storie e per consentire a ciascuno di voi di potere fantasticare liberamente e pensare al cognome che si vuole, a esempio Ci-
polla (eeh!eeh!eeh!eeh! vi è piaciuto lo scherzo?). Invece la motivazione vera del soprannome u Signiruzzu risiede nel fatto che quando, attorno agli anni Trenta, si rappresentava u Martùoriu la parte di Gesù veniva sempre interpretata da questo mastro Antonio qui, anzi Ci- e non fatemi dire altro. Altri soprannomi ambigui potrebbero essere l’Areoplanu, che farebbe pensare a un costruttore di velivoli e Cuncìertu, che spedirebbero il pensiero a uno che dirigeva concerti presso qualche corte marchionale. E ancora Scippatesti, ma anche Scippa-aricchi, che riporterebbero immediatamente a dei truci torturatori. Stando così le cose, facendo due più due, appare lampante ciò che successe allorché fu coniato il soprannome Tira piciolla.

Evidentemente le cose non stanno proprio così. L’origine dei soprannomi, come anche quella delle parole, non è per niente banale però, osserva il grande linguista Gerhard Rohlfs, “mentre valore e significato risultano spesso chiari e intellegibili nella loro espressione letterale, il particolare motivo dal quale il soprannome si è sviluppato rimane molte volte oscuro e incomprensibile”.

In effetti, non è raro oggi sentire argomentare in maniera fantasiosa attorno all’origine di certi soprannomi. Per esempio, si è pensato a lungo che Farfarìeddru  soprannome di Luigi Failla Tedaldi e dei suoi discendenti fosse da collegare alla sua totale dedizione alla caccia e allo studio delle farfalle, invece dai registri dei matrimoni è venuto fuori che già prima di lui, nel 1852, tale Michelangelo Conoscenti fosse inteso Farfarello la qual cosa porta a cercare le motivazioni del soprannome nel significato letterale ‘demonio, folletto’ o nel traslato ‘ragazzo irrequieto, diavoletto’ di quella parola. Allo stesso modo, Maccarruni è assai improbabile che sia da collegare alla grande produzione di maccheroni da parte di una donna di casa per sfamare il suo esercito familiare mentre appare più credibile l’ipotesi di una motivazione legata all’aspetto fisico, di persona alta e magra. Ciò è dovuto al fatto che il tempo è in grado di tramandare il soprannome ma seppellisce le circostanze nelle quali esso si è creato.

L’esempio seguente dimostra che non appena si perde il contesto in cui un soprannome si è formato, il suo significato viene alterato. Sara D’Ippolito, che tantissimi qui in paese intendono Sara Creta, mi ha fornito l’origine del soprannome Mùzzica minni. Per inciso, si rifletta sul fatto che la ragione del nomignolo Creta è oggi palese, ma fra cento e più anni qualche studioso di onomastica potrebbe  essere indotto a tirare in ballo presunte attività di Sara nell’ambito della terracotta o addirittura suoi addentellati con i micenei. Ritornando a Mùzzica minni, racconta Sara che, essendo il nostro personaggio di statura non particolarmente slanciata anzi piuttosto bassa, quando ballava, specialmente con donne formose (che c’erano anche allora, ringrazzianni a Ddia) la sua testa arrivava pressappoco all’altezza della prominente pettorina. Ora, con una prospettiva del genere, nei maschi presenti, sicuramente in preda all’invidia (talìa a ddru facc’i bbabbu, avranno detto), si deve essere generata la chiara sensazione che il Nostro fosse pervaso dalla tentazione di prodursi in un affondo per addentare. Ora, sicuramente il nostro affondò, strusciò, ma difficilmente addentò e ciò dimostra come il soprannome, spesso, venga caricato di una buona dose di iperboli. Proprio per questo, all’origine della nciùria Culu cacatu non è detto che ci siano state cose assai poco belle da vedere né che il titolare del soprannome Piciolla sicca, forse originatosi da facc’i piciolla sicca per similitudine col viso particolarmente smagrito, dovesse essere parimenti emaciato nella parte presa a paragone. Contravvenendo invece a ogni congettura di sorta, Piciulleddra, per quel che se ne sa, anche se non sappiamo da dove lo si sa, sarebbe dovuto proprio alla non entusiasmante evidenza del non essere evidente che ha ispirato  l’assimilazione al pisellino dei bambini.

Ci si convince che l’origine di un soprannome non sempre risiede nella sua motivazione più evidente, osservando, per esempio, che Cacarsòliu non ha niente a che vedere col defecare (come nel siciliano cacarana ‘slot machine, macchina che sputa soldi’) e neppure con lo sputare (come nell’italiano cacafuoco ‘sputafuoco’). Cacarsòliu fu un venditore ambulante che passando per le strade vanniava la sua merce tra cui il petrolio (arsòliu), allora molto usato per alimentare i lumi, e anziché dire àiu ârsòliu, a causa del suo tartagliare, diceva: ca ca ca c’àiu ârsoliu.

Se argomentare attorno all’origine di certi soprannomi come Picilicca, Peppacugnu o Tirichitìeru è impresa non facile, esistono tuttavia dei casi in cui, proprio perché il contesto e le motivazioni sono ancora vive, che rendono immediata la soluzione. Per esempio, Lotollu si deve al fatto che il titolare del soprannome fosse il maître del famoso ristorante Otollo ubicato Sopra il ponte, Maisonni nacque per via dell’insegna Maison de mode posta all’esterno di una sartoria femminile e Monzù si spiega col fatto che il capostipite di questa famiglia Di Liberti di professione facesse il barbiere, infatti monzù è la forma con cui in Sicilia ci si rivolgeva a barbieri, cuochi e via dicendo.

Lo stesso discorso si può fare per la Ggioia mia e non certo perché questa signora sposò un Monzù. A Ggioia mia tutti sanno che fu una merciaia della Piazza assai affettuosa con i clienti, grandi o piccini che fossero, ai quali si rivolgeva sovente, se non sempre, con questa allocuzione usata come intercalare. Ciò dimostra che termini o espressioni ripetute con una certa frequenza potrebbero avere generato alcune nciùrie idiomatiche come Cara-mia, Bbeḍḍṛa-maṭṛë, Diciàmu, Va-cùrcati-a-mà, Tardi-vinisti, Ternu-ddìa, Fracelli.

Scrive Giuseppe De Luca che durante lo sciame sismico del 1818-19, a seguito di piogge torrenziali e delle frane che ne conseguirono, un anziano contadino, u zzu Vanni, che conduceva a mezzadria un fondo in contrada Liccia, si recò sul posto per verificare i danni. Vedendo ovunque casolari distrutti, sepolti dal fango e dalle frane, alberi abbattuti e trascinati a valle ed enormi pozze d’acqua, il poveretto rimase a dir poco profondamente scosso. Tornato in paese, â Chiazzetta nei diversi capannelli dove la gente radunata raccontava i propri incredibili guai derivanti dal terremoto, u zzu Vanni, sconvolto se non addirittura allucinato, non seppe dire altro che: Carù, arrivàu u mari a Llìccia, cchi ffracelli!, cchi ffracelli!, chi ffracelli! E da quel momento quel tale fu per tutti u zzu Vanni Fracelli. Soprannome che, ben presto, si propagò al resto della famiglia e quindi ai discendenti.

Emblematico, infine, è il caso del soprannome Cu pò, apposto a un signore che col suo lavoro di agricoltore riuscì a raggiungere una condizione economica di tutto riguardo. Ciò lo portava non proprio a schermirsi dato che parlando di sé non usava il soggetto di prima persona “io” bensì l’impersonale “cu pò”, colui che può, che ha le facoltà. Quando la figlia, valente maestra, si fidanzò con un facoltoso commerciante ebbe a dire: “Neca si sta pijjannu a ccu ccu iè-jjè, si sta pijjannu a fijja di Cu pò”. I castelbuonesi, sempre terribilmente avvezzi alla smància, non tardarono a canzonarlo con la seguente filastrocca:

A fìjja di Cu pò
si fici lu portò
sû fici ccu i sacchetti
ppi mmètticci i cunfetti.
E ppròsitu a Ccu pò
ca ccu i sordi dâ cipuddrina
fici a fìjja maistrina.


Nel format che segue pensiamo di inserire una serie di domande relative ai soprannomi, così come è stato anticipato nel post di presentazione 

Poiché si tratta della prima puntata, pensiamo di fare un paio di giri di prova, per capire se le domande vanno già bene articolate in questo modo o c’è bisogno di apportare delle modifiche. ( Il lettore può compilare solo i campi di cui conosce la risposta, lasciando in bianco gli altri. Ricordarsi di cliccare su “invia” alla fine del format).

Chi collaborerà entrerà a far parte del novero degli informatori che verranno citati nell’apposita sezione del volume «Antroponimia popolare a Castelbuono».

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