Il mistero delle vie a Castelbuono
Se una notte d’inverno un viaggiatore
Italo Calvino
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(Di Francesco Di Garbo) – Una notte d’inverno un viaggiatore… doveva recarsi a Castelbuono che l’indomani mattina presto aveva un importante colloquio di lavoro. Pensò bene di mettersi in viaggio verso sera da Carlentini per raggiungere il ridente paesino madonita. Contava d’arrivarci per le 20:00 massimo, nonostante le strade siciliane sono dissestate e perigliose: quindi andatura lieve e occhi vigili. Aveva prenotato online un monolocale vacanza per la notte pensando di cenare in qualche pizzeria del luogo.
Poiché i titolari della casa erano andati a Gioiosa Marea ospiti da amici in contrada Calavà s’erano accordati che gli avrebbero fatto trovare la casa pulita e riscaldata con timer da remoto, mentre la chiave l’avrebbe trovata nel keybox appeso all’inferriata d’una finestra prospiciente la loro abitazione in Via Mariano Raimondo 11. Lui avrebbe pernottato in Via Paradiso 16.
Quel giorno la mattinata a Castelbuono era stata molto nuvolosa ma non minacciava pioggia. Gli operai addetti al cambio di maioliche su cui erano incise i nomi delle Vie avevano lavorato alacremente: erano indietro. Il giorno prima nel pomeriggio verso le 15:00 s’era messo a piovere a dirotto e avevano dovuto interrompere il lavoro. Una perturbazione balcanica s’era abbattuta sull’Italia meridionale. Allora il giorno dopo di buona lena lavorando sodo gli operai s’erano ripromessi di recuperare le due ore perse il giorno prima e terminare prima di sera, al massimo con qualche oretta di straordinario.
Tuttavia verso le 13:00 una pioggerellina (neglia piscialora) aveva preso a scendere sulle loro spalle che comunque non li ostacolò di continuare a lavorare. Purtroppo all’improvviso la musica cambiò e poco prima delle 15:00 una pioggia a catinelle aggredì gli operai rovesciando in paese un diluvio a cielo aperto. Furono costretti a ripararsi nel furgone bivano tutti e cinque. Per mettere al riparo i ferri del mestiere e i materiali deperibili si bagnarono con le giacche a vento abbottonate. Speravano che smettesse, almeno “annarbata du’ picurari” per poter sistemare il lavoro urgente lasciato in asso. Verso le 16:45 smise di piovere per una finestra d’una dozzina di minuti. Intanto non ci si vedeva più da qui a lì, oltre la sera incombente il cielo era cupo e nero come il carbone.
Impossibilitati a riprendere il lavoro rassettarono i ferri e andarono via non riuscendo a completare l’opera, restò il classico “piricuddru” da terminare.
Uscito dall’A19 a Tremonzelli il viaggiatore ebbe un contrattempo a causa d’un incidente, non grave per fortuna, che gli portò via circa un’ora e mezza per i rilievi del caso. Arrivò in paese che la fame gli maciullava lo stomaco e dunque al primo posto utile per placare i crampi si fermò a cenare con gusto e palato fine. Non conoscendo le strade fuori, e le vie del paese seguiva le indicazioni del navigatore. Riempita la pancia uscì dal locale quindi digitò Via Mariano Raimondi e avviò l’auto. Ma quando arrivò in Piazza San Leonardo non trovò nessuna via M.R. Vi lesse altri nomi tra cui Via Aldo Moro ma non quella pronunciata dai proprietari, dove ci doveva essere il keybox. Lesse pure Via Paradiso e la cosa lo rassicurò, ma senza chiave era a piedi come un pivellino. Si confuse, s’inalberò, si guardò intorno ma il rebus restava impellente.
La notte era buia e la fioca luce dei lampioni non aiutava, non si vedeva nessun passante in quel clima da tregenda, solo qualche macchina sfrecciava come il vento. Il viaggiatore si trovava come in “una selva oscura che la diritta via aveva smarrito…”. Cercava di raccapezzarsi senza riuscirci, si trovava di fronte ad una situazione nuova indecifrabile. “Come faceva a priori I. Kant a sostenere che quello che aveva di fronte era un Ornitorinco e non un cinghiale o un porcospino se non l’aveva mai visto prima?”. Questo si chiedeva U. Eco nel suo “Kant e l’ornitorinco” riprendendo il Calvino del: “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Come si fa ad avere contezza e certezza d’una cosa in senso e modo a priori se non se ne sono sperimentati i presupposti e le caratteristiche? “Che cos’è? Di cosa si tratta?”. Non potendo dare una risposta esaustiva ci si trova disorientati evidentemente.
Così si sentiva il nostro viaggiatore di fronte al cambio della toponomastica a Castelbuono Piazza San Leonardo: spaesato! Spaesati erano pure i cittadini residenti. E chi è spaesato nel suo paese… è come un bastone di scopa dietro la porta; non so se si spiega la greve legge di gravità. Il viaggiatore di meglio non ebbe da pensare se non di contattare i titolari per chiedere lumi. Ma la notte era cupa e i titolari poiché mancavano da tre giorni non ne sapevano nulla dei lavori in corso. Però gli indicarono con certosina precisione dove si trovava il keybox e dietro il loro input il viaggiatore riuscì a prendere la chiave facilmente. Cosicché si scusarono reciprocamente per il disturbo e si salutarono.
Si rimise in moto, effettuò il giro della piazzetta in cerca di Via Paradiso. Arrivato all’incrocio a destra lesse Via Enrico Berlinguer, a sinistra Via Paradiso e la imboccò. “Meno male va’. Ci siamo!”. Esultò il viaggiatore. Quindi percorse la via in cerca del civico 43 e non c’era, i numeri terminavano al 19. Guardò con cura se qualche porta avesse un indizio di casa vacanza e niente. I citofoni e i portoni erano affatto diversi di come lo aveva visto in foto. Ripercorse tutta la via avanti e indietro, stando attento alla foto che riaprì nello smartphone, ma di quell’entrata non c’era traccia. Ritornò all’incrocio e rilesse il nome delle vie e non aveva sbagliato. “Mistero delle vie a Castelbuono”. Si disse ridendo per non piangere. Alla fine dovette richiamare i proprietari per dipanare il mistero.
Sistemate le poche cose uscì di nuovo per farsi un giro paese paese. Un leggero vento di Libeccio proveniente da Sud Ovest aveva spazzato via le nuvole e squarci di cielo s’intravedevano con qualche stella brillante. Strada facendo in circonvallazione cinque giovani daini silenziosi brucavano un albero stecchito. Il viaggiatore levò gli occhi al cielo per osservare l’Orsa Maggiore, il Grande carro e il Piccolo. Si godette lo spettacolo delle stelle a bocca aperta. Viste da terra erano ammutolite, azzittite, non si pronunciavano. Così è la natura, non ha favella comunica con altri mezzi che la lingua le è estorta: si lascia ammirare nel sublime firmamento. Indi fece un sospiro profondo di sollievo e prese la strada del Paradiso.
Quel cambio di nome nelle vie del paese aveva suscitato nei compaesani notevole scalpore, discussioni e contestazioni. Un tourbillon di prese di posizioni contrarie al modo scriteriato d’operare da parte del Sindaco. L’operazione lasciava l’amaro in bocca a tantissime persone, c’era pure chi paventava secondi fini dietro quel cambio di toponomastica. D’altronde tutto il paese conosceva il modo politico d’agire del Sindaco. Il sospetto, seppure dietrologico, non era mica campato in aria.
Ritornati in paese i titolari non appena misero piede in Piazzetta si trovarono surclassati dal chiacchiericcio della gente che a iosa si divertiva con sarcasmo e sardonici a disquisire sull’argomento. Il fatto era diventato un pettegolezzo da libello. Nei bar, nei negozi, nei crocicchi il discorso principe che infarciva l’aria era quello: d’altro non si parlava se non della toponomastica. Capannelli a gogò, fluidi osmotici di persone che da uno all’altro si spostavano come onde e flutti infuriate, e il subbuglio era totale. Inutile, alla gente il fatto premeva e ognuno diceva la sua. Erano incavolati sullo spezzettamento delle vie, sull’affidamento alla ditta, sui nuovi nomi stessi etc. L’unica cosa su cui concordavano era quella di dare i nomi alle strade fuori paese considerato che tante persone avevano la residenza nelle contrade.
Dalle stelle non farfugliava nemmeno un brusio di circostanza.