Intervista al rettore del Seminario don Alessio Corradino
(di Mario Macaluso – Cefalunews).
«Vi sono soluzioni che non si possono rimandare in attesa della soluzione perfetta, che non danneggi nessuno, soprattutto chi sta bene. Rischiamo di morire di prudenza in un mondo che non vuole e non può attendere». E’ l’augurio di don Alessio Corradino ai cefaludesi. Il neo rettore del Seminario ha risposto alle domande che gli abbiamo risposto quale «Protagonista 2012».
Che cosa ha significato la nomina a Rettore del Seminario?
Innanzitutto sento dovere esprimere un grazie alla redazione per la sorpresa gradita e inattesa. La nomina a Rettore del Seminario, voluta dal nostro Vescovo, è sicuramente un segno di ulteriore fiducia ma soprattutto di grande responsabilità nei confronti della nostra Chiesa. Responsabilità che condivido con don Paolo Iovino e don Calogero Cerami. Il Seminario è sempre stato definito il cuore della Diocesi e pertanto il compito affidatomi diventa gravoso per le delicate scelte che necessariamente questo ruolo comporta, ma insieme anche appassionate grazie agli studi che mi hanno accompagnato durante gli anni di studio a Roma presso il Centro Interdisciplinare dei formatori al sacerdozio della Gregoriana.
Oggi più che mai si pone con rinnovata urgenza, all’interno della Chiesa, la problematica formativa quale risposta alle nuove sfide del mondo contemporaneo. La figura del sacerdote in cui molte volte si concentrano diverse contraddizioni come la fatica a dialogare con le provocazioni e le sfide del mondo odierno, ci impegna tutti a proporre una formazione che, lungi dall’essere un concentrato di nozioni e regole da inculcare, miri il più possibile a “formare il cuore”, a toccare le profondità più intime della persona, portandola sempre più a fare proprio il messaggio evangelico come unico metro e punto di riferimento.
Personalmente penso che qualsiasi opera educativa non deve mai dimenticare che ha come suo fine la formazione dell’uomo, non si tratta di far adeguare tutti ad un programma o progetto predefinito, ma cercare di entrare nelle profondità del mistero umano, di ciascun uomo, di ogni singola persona per permettere a questa di rendersi disponibile, di lasciarsi toccare le corde dell’essere per sviluppare la sua vita come una armoniosa melodia.
L’obiettivo della formazione è far sì che prima del prete si formi l’uomo capace, attraverso la verità e i valori, a “trascendersi” verso una più compiuta umanità.
Cosa fa di importante in questo periodo il seminario diocesano?
Una delle prime attività è quella dell’animazione vocazionale. Il nostro Vescovo sta personalmente accompagnando un gruppo di giovani di cui alcuni hanno già scelto di incamminarsi verso un discernimento attraverso il tempo del Seminario. A questo proposito sento di dovere ringraziare don Giuseppe Licciardi per la collaborazione che offre attraverso il Centro Diocesano Vocazioni di cui ne è il direttore.
In sinergia offriamo dei week-end vocazionali in Seminario dove incontriamo i ragazzi che hanno la possibilità di stare con il Vescovo e poi insieme ai seminaristi. È un tempo di confronto, di dialogo, di formazione e di preghiera. Inoltre, quando possibile, ci rendiamo presenti, come Comunità del Seminario, nelle parrocchie per offrire la nostra gioiosa testimonianza di avere incontrato il Signore.
Quali programmi ci sono per il prossimo futuro?
I progetti sono sempre tanti ma siamo fiduciosi che il Seminario possa tornare a essere, come negli anni passati, un centro vivace capace di offrire proposte concrete sia culturali che di esperienza di preghiera e di incontro con il Signore.
Come vivono i giovani il loro rapporto con questo luogo di formazione?
La Parola di Dio è la risposta migliore. «Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate? ”. Gli risposero: “Rabbì, dove abiti? ”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui» (Gv 1,38-39).
É sorprendente come la chiamata scaturisce dalla stessa sequela: l’invito di Gesù “Venite e vedrete” è l’espressione più significativa, per comprendere come la chiamata rivolta dal Signore ha un riferimento concreto. La sequela quindi è il ritrovarsi dietro al Maestro animati dalla fede in Lui, ma ancora di più è dimorare in Lui per restare. Il discepolo che nella sequela cerca se stesso non farà mai esperienza della presenza di Dio, ma se invece imparerà a fidarsi ed abbandonarsi Dio stesso si presenterà a lui.
Gesù, prima di rivelarsi, ci rimanda a noi stessi, il suo sguardo ci mette a nudo e solo successivamente ci chiama a rimanere con Lui. Permettetemi un’altra citazione. «Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? ”. Egli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Ed egli chiese: “Quali? ”. Gesù rispose “ Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso”. Il giovane gli disse: “Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora? ”. Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”. Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze» (Mt 19,16-22).
Questa pericope ci mostra come il discepolo realizza la sua natura uscendo da se stesso per darsi, offrirsi all’altro, rinunciando a tutto per trovare tutto. Il comportamento del tale del racconto evangelico riflette come più Gesù va a fondo per far venire alla luce la verità nascosta più ci si ritrova soli se non la si accoglie…se ne andò triste.
Cercare la presenza di Dio talvolta può essere doloroso, perchè ci scontriamo con i nostri limiti, con ciò che ci separa da Lui. Ma allo stesso tempo significa aprirsi al cambiamento profondo del nostro cuore.
Il discepolo allora è come il pellegrino che vaga consapevole che siamo fatti per Lui e in Lui troveremo il nostro riposo, non conosciamo la strada ma sembra che tutto ci conduca a Lui. Come Abramo, come Mosè, la vita del discepolo si realizza in un cammino in cui conosciamo che cosa lasciamo, ma non ciò verso cui andiamo. La Parola di cui ci fidiamo è la nostra luce.
Che messaggio lanci ai cefaludesi che abitano a Cefalù e a quelli che sono sparsi nel mondo?
In un tempo, come il nostro, segnato dalla liquidità, dalla frenesia, dai compromessi, mi permetto ripercorrere uno dei tanti editoriali di don Primo Mazzolari al Giornale “Adesso”. «Non soltanto Dio, ma ogni creatura mi dà appuntamento nell’adesso: il mio prossimo mi dà appuntamento. Dio può attendere: l’uomo no. Può darsi che egli abbia soltanto questo momento di suo, da cui dipende la sua salvezza o il suo perdimento. Se manco all’incontro, manco alla giustizia, manco all’amore. Vi sono soluzioni che non si possono rimandare in attesa della soluzione perfetta, che non danneggi nessuno, soprattutto chi sta bene. Chi ha fame non può attendere. Il pane che va dato è «il pane di oggi», «Ciò che si deve fare, va fatto subito».
In politica o in religione, sono troppi i prudenti. Rischiamo di morire di prudenza in un mondo che non vuole e non può attendere. Il tempo è una grande medicina, ma nel tempo si muore, nel tempo si fanno le rivolte e le guerre; nel tempo si rischia di smarrire perfino l’immagine di Dio qualora i cristiani dimentichino di ravvivarla nel fuoco della loro carità. La carità dev’essere paziente per ciò che ci riguarda, impaziente per ciò che riguarda il prossimo». Questo il mio augurio perché non c’è tempo per aspettare ciò che già dipende da noi.