La legge è legge: perché non possiamo accettare il “trasgredire per il bene comune”
(Di Maurizio Spallino) – Negli ultimi tempi, il comportamento del sindaco Cicero ha suscitato in me non poche perplessità. Perplessità che, tra uscite varie dell’inquilino pro-tempore di via Sant’Anna ed un articolo di qualche giorno fa del movimento “Democratici per Castelbuono” si è proprio trasformato in indignazione.
Mi ero ripromesso di stare lontano per un po’ dall’agone politico, più per esigenze lavorative che motivazionali. Tuttavia, durante una cena con alcuni amici ieri sera e dai molti spunti di riflessione emersi, stamattina ho dovuto trovare il tempo per esprimere le mie sensazioni su ciò che sta accadendo in questi giorni a Castelbuono, soprattutto sulle uscite del Sindaco Cicero.
Sostenendo di agire per un indefinito “bene comune,” il primo cittadino sembra muoversi con una disinvoltura che lo porta a sfiorare i confini della legalità. Questa posizione, apparentemente volta a superare ostacoli amministrativi e burocratici, è stata apertamente difesa dal movimento che lo sostiene, che in un recente articolo ha persino evocato le parole di Piero Calamandrei per legittimare questa condotta.
Tale difesa appare, tuttavia, profondamente inappropriata e pericolosa. Se è vero che l’esercizio delle funzioni amministrative richiede spesso decisioni tempestive e risolute, è altrettanto vero che queste devono rimanere all’interno dei confini della legalità. Non è accettabile giustificare il comportamento di un amministratore pubblico invocando l’urgenza di agire, al punto da incoraggiare la trasgressione delle regole, soprattutto se questo viene fatto strumentalizzando figure storiche come Calamandrei, che dedicò la propria vita e la propria opera al servizio della legge e della Costituzione.
La prima cosa che mi viene in mente è che l’incoraggiare una visione della legalità “a intermittenza,” in cui le regole si possono piegare o ignorare per un presunto “bene superiore,” costituisce un messaggio pericoloso per le generazioni future. Viviamo in un’epoca in cui il rispetto delle leggi e delle istituzioni è già fortemente minato, come dimostrano i recenti fatti di cronaca, dalle sparatorie a Napoli ai fenomeni di microcriminalità in altre città italiane. In questo contesto, l’esempio che viene dai rappresentanti istituzionali diventa fondamentale: ogni deviazione dal rispetto delle norme rischia di legittimare, agli occhi dei cittadini, un atteggiamento di lassismo verso la legge.
Calamandrei stesso scrisse che la Costituzione “non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé” ma è una “realtà da costruire, giorno per giorno, nella coscienza dei cittadini.” Chi ha il privilegio e la responsabilità di amministrare la cosa pubblica ha il dovere di farlo con rettitudine, all’interno delle regole, perché ogni deroga volontaria alla legge mina la fiducia nella legalità stessa.
Ricordo a tutti i rappresentanti delle istituzioni che l’atteggiamento del sindaco e del movimento che lo difende, potrebbe configurare una violazione del principio di legalità sancito dall’articolo 54 della Costituzione italiana, che impone ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di “adempierle con disciplina e onore.” Incalzare alla trasgressione o suggerire che sia giustificabile, laddove vi sia un fine superiore, apre uno scenario pericoloso, in cui qualsiasi comportamento può essere arbitrariamente giustificato.
L’istigazione alla trasgressione, seppur in forma indiretta, potrebbe configurarsi come un’infrazione al codice penale, che vieta qualsiasi incitamento a violare leggi o regolamenti. Incoraggiare il “trasgredire per il bene comune” suggerisce una visione distorta della giustizia e si pone in aperto contrasto con la Costituzione, che nell’articolo 3 sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e nell’articolo 97 richiama al buon andamento e alla imparzialità dell’amministrazione.
Esistono principi di liceità imprescindibili. Sia chiaro questo concetto al sindaco e a chi lo sostiene o difende.
Le norme, anche quando appaiono dure o restrittive, devono essere rispettate. L’antico brocardo latino “Dura lex, sed lex” racchiude un principio fondamentale della nostra convivenza civile: una legge che appare severa o limitante è comunque una legge, e va rispettata finché non venga democraticamente modificata. Solo il rispetto delle leggi consente di mantenere un equilibrio sociale, garantendo una convivenza ordinata e sicura.
L’articolo 28 della Costituzione stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, e in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici (quindi sul Comune). Questa disposizione, insieme all’articolo 97, che promuove il buon andamento e la trasparenza della pubblica amministrazione, costituisce una chiara condanna verso pratiche amministrative che, nell’intento di aggirare la burocrazia, si discostano dalle norme e dai regolamenti.
In virtù del ruolo che ricopre, il sindaco è il primo rappresentante della comunità e, come tale, è chiamato a rispettare e promuovere i valori e i principi costituzionali. Ogni sua dichiarazione e azione ha un impatto diretto non solo sui cittadini, ma anche sull’immagine della città stessa. Proseguire su questa linea di ambiguità legale, difesa con retoriche discutibili, rischia di compromettere il rapporto di fiducia tra istituzioni e cittadini e di danneggiare irreparabilmente il senso civico della comunità.
Non bastasse il preoccupante invito alla trasgressione delle regole, il sindaco ha intrapreso ormai da tempo una pericolosa campagna volta a delegittimare chiunque si opponga a questi metodi. Nel tentativo di rafforzare il suo operato e creare una sorta di “fronte comune” contro chiunque osi richiedere trasparenza e legalità, il sindaco ha adottato un linguaggio che definire allarmante è poco.
I nomi e i cognomi dei consiglieri comunali dell’opposizione vengono citati con frequenza e insistenza quasi scientifica, lasciando intendere alla cittadinanza chi siano i “colpevoli” dei numerosi accertamenti in essere in questi giorni tra le varie attività.
Il risultato di questo comportamento è di indirizzare l’opinione pubblica verso una percezione negativa, se non ostile, di chiunque osi contestare le azioni del sindaco e chiedere, come dovrebbe essere garantito in ogni democrazia, il rispetto della legalità e della trasparenza.
Questo atteggiamento non solo alimenta tensioni all’interno della comunità, ma suggerisce una sorta di minaccia indiretta, un messaggio che appare volto a intimidire i consiglieri e chiunque sia critico nei confronti dell’amministrazione. Creare un clima d’odio nei confronti dell’opposizione non solo è contrario ai principi democratici, ma rappresenta un tentativo di soffocare il dissenso, rendendo difficile a chiunque si trovi in disaccordo esprimere liberamente la propria posizione senza timore di ripercussioni. La scelta di esplicitare nomi e cognomi di coloro che esercitano un legittimo diritto di opposizione suona infatti come una strategia intimidatoria se non come un’esplicita minaccia, un messaggio che mira a “marchiare” gli oppositori come ostacoli o addirittura nemici del “bene comune” di cui si (auto)dichiara paladino.
La storia ci insegna che un sano confronto politico non solo è indispensabile, ma è il cuore stesso della democrazia. Le istituzioni democratiche sono costruite per garantire pluralismo e libertà di espressione, e il ruolo dell’opposizione è quello di vigilare sull’operato di chi governa, affinché le azioni siano sempre conformi alla legge e al rispetto delle norme etiche e costituzionali.
Il modus operandi di questa amministrazione di fornire risposte poco chiare e per nulla trasparenti all’opposizione, costringe quest’ultima a rivolgersi alle autorità competenti per ottenere la chiarezza necessaria. È inaccettabile che tale ricerca di trasparenza venga trasformata in un pretesto per alimentare il risentimento della comunità contro i consiglieri che agiscono (loro sì, certamente) nell’interesse di tutti i cittadini.
Questa deriva, che vede il primo cittadino farsi promotore di un clima di sospetto e diffidenza verso chiunque richieda spiegazioni, va fermamente condannata. Un’amministrazione pubblica, per sua natura, dovrebbe sempre operare in trasparenza, pronta a rispondere ai quesiti dell’opposizione e della cittadinanza in maniera aperta e costruttiva, senza bisogno di creare nemici o capri espiatori.
Questa pressione esercitata dall’alto, mirata a delegittimare e isolare chi solleva dubbi o perplessità, non può essere tollerata, ed è per questo che, se il sindaco intende proseguire nella sua opera di denuncia pubblica contro i membri dell’opposizione, aggiunga pure anche il mio nome alla lista. Non ho alcuna intenzione di sottrarmi alle responsabilità di cittadino e di esprimere, laddove io lo ritenga opportuno, il mio dissenso, nonostante il chiaro clima intimidatorio che si sta cercando di creare.
Invito, quindi, il sindaco a fermarsi e riflettere profondamente sulle sue azioni. La sua funzione istituzionale La obbliga (non è facoltativo, questo Le deve essere chiaro) a mantenere una condotta rispettosa delle regole, che includa il rispetto per la libertà di opinione e di azione, la gestione imparziale della cosa pubblica e l’integrità morale di chi ha scelto di servire la comunità. Le istituzioni, che Lei rappresenta, devono promuovere la coesione e il dialogo mirando al famoso (e tanto bistratto) bene comune.