La lezione americana: Fair Play USA e gli insulti siciliani

 

Mitt Romney ha impiegato qualche ora in più del suo predecessore, lo sfidante del primo quadriennio del Presidente, John McCain, poi quando i numeri non lasciavano scampo ha alzato la cornetta del telefono e si è congratulato con Barack Obama. Il quale, a sua volta, si è complimentato con il suo avversario per la determinazione e la sagacia con la quale ha condotto la sua campagna elettorale e gli ha annunciato la sua volontà di incontrarlo e fare tesoro dei suoi suggerimenti e della sua competenza.

Questo succede negli Stati Uniti.

Riavvolgete il nastro e date uno sguardo alle consuetudini italiane. Le tossine della campagna elettorale non si smaltiscono mai, sono indigeribili ed indistruttibi e sopravvivono ad un’era geologica. All’indomani del voto, il perdente – ricordate Silvio Berlusconi? – accusa il vincitore di avere imbrogliato le carte, di non rappresentare il popolo, di avere scheletri nell’armadio e, alla fine, di essere stato preferito da un esercito di c…., che non sapevano quel che facevano.

 

Che cosa è accaduto in Sicilia dopo l’elezione di Rosario Crocetta? Chi fra i suoi avversari si è congratulato? Chi ha scandito parole di circostanze, dettate dal galateo politico?

 

Nessuno, anzi. Claudio Fava, che non sfidava Crocetta ma è come se l’avesse sfidato, piuttosto che analizzare le ragioni della sua sconfitta, ha insultato al sangue il neo presidente della Regiome, dicendogliene di tutti i colori. Nello Musumeci e i suoi estimatori, la senatrice Simona Vicari, per fare un solo esempio davanti alla platea di Porta a porta, hanno sostenuto che la vittoria di Crocetta era il frutto di compromessi indecenti con il governatore uscente ed il suo alleato, Gianfranco Miccichè.

 

Stavolta, in più, la politica è stata affiancata anche dalle agenzie educative, come la Chiesa, che al massimo livello, con una vibrata requisitoria, attraverso il suo massimo rappresentante, il cardinale di Palermo, Paolo Romeo, ha lanciato un autentico anatema al neo-eletto. Invece che la consueta paterna benedizione, gli auspici di buon lavoro nell’interesse del popolo siciliano, il benvenuto che non si nega a nessuno, una bacchettata.

 

Immaginate che cosa sarebbe accaduto se il Pontefice di Roma avesse pronunciato una filippica contro Barack Obama appena eletto. La laicità del Presidente Usa avrebbe offerto più di una ragione per eventuali recriminazioni.

 

Il Presidente degli Stati Uniti, una volta eletto, è il Presidente di tutti; il Presidente del Consiglio, o della Regione, dalle nostre parti, è il nemico da abbattere, costi quel che costi.

 

Il fair play statunitense non è, come si potrebbe pensare, un’elegante exit strategy a conclusione di un duello velenoso, non si è un atto dovuto, una regola di Monsignor Della Casa, ma un atteggiamento responsabile che viene tradizionalmente compiuto dall’uomo politico che ha a cuore le sorti del suo Paese. Non si rinuncia alle proprie idee e credenze, ma si manifesta una disponibilità a confrontarsi e cercare ciò che unisce per mettere in piedi azioni e provvedimenti utili. Il fair play non è solo forma, è strumento di governo di una grande democrazia, legittima l’eletto e gli regala il diritto-dovere di rappresentare la sua gente.

 

Quando impareremo la lezione americana?

 

(siciliainformazioni.com)

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