“La poltrona”. Un nuovo racconto di Francesco Di Garbo

Tempo di lettura 4/5 minuti

Coccodì coccodà il gall è mort, coccodì coccodà il gall è mort non canterà più.

Son staa mì che hoo mazzaa el gall.
Te see staa tì che t’hee mazzaa el gall?
El m’ha rott i ball col chicchirichì e chicchiricà!
El m’ha rott i ball col chicchirichì e chicchiricà!
E co e co e co e coccodì e coccodà!
E co e co e co e coccodì e coccodà!
Il gallo è morto, il gallo è morto,il gallo è morto, non canterà più

chicchirichì e chicchiricà, non canterà più chicchirichì e chicchiricà

e co e co e co e coccodì e coccodà , e co e co e co e coccodì e coccodà

(Di Francesco Di Garbo) – Aggiuccato sul posatoio più alto del trespolo il gallo controllava tutte le galline sotto di lui. Teneva quella posizione scomoda a malincuore, era poco remunerativa per il suo standard di vita, seppure dominante. E il gall non ne poteva più di quella piccola e modesta posizione presumendo possedere una levatura di spirito di gran lunga più notevole. Quindi anelava ad una carriera più cospicua. Infatti, in quella miseranda posizione quando inalberava il collo per cantare sbatteva la testa contro il soffitto di calce increspato, e a furia di dai e dai il bernoccolo era diventato una milinciana blu-viola. La posizione era discreta, ma cercava di meglio. Una poltrona agognata era quella del Gal e quindi il gall per ergersi più in alto e spiccare il volo vi si buttò a capofitto.

Inoltre quella occupata era una posizione in scadenza e bisognava asseverare un’ottima alternativa mettendo a frutto gli assi nella manica da giocare quale provetto giocatore d’azzardo. Dunque per il gall bisognava darsi da fare prima che fosse troppo tardi e restare col cerino acceso in mano. Da battitore libero si guardava intorno a 360 gradi, destra, sinistra, su e giù. Quel pollaio era stretto, s’era ristretto di botto dalla sera alla mattina; aveva fatto il suo tempo e concluso lo scopo. Di sua natura ogni gall è ambizioso e geloso delle galline che controlla e cerca d’ampliare il suo regno a costo di rimetterci la cresta, con la poltrona del Gal.

L’aspirazione lo risucchiava, lo divorava e lo incaniava obtorto collo a non farsi scappare la poltrona; per la bile si rodeva bramando dall’avere il grasso che cola da tutti i finanziamenti e gli appalti del Gal. E il gall non aveva per niente intenzione d’abbassare la cresta, anzi ogni volta che glielo si chiedeva l’impennava ancora di più come se trespolo, pollaio e tutta la Sicilia fossero roba sua e non del padrone che ce lo aveva messo. Con piglio tracotante era convinto di dominare il padrone, cioè tutti i cittadini che l’avevano preferito a scapito della concorrente. Ambiva al GAL e mirava al colpo gobbo dell’Assemblea, quella siciliana s’intende dove la poltrona è molto consistente. Il gall però è mort caduto con la bicicletta in discesa per cento metri nel burrone, in quanto non s’era accorto d’avere il bastone fra le ruote. Nella caduta s’era tirato il collo da solo attorcigliandolo tra rami e tronchi.

Un post, chiaro e tondo, gli aveva scornato la cresta sul nascere e il bastone fra le ruote infilato. Un post inoltrato e in un batter d’occhi diventato virale.

Di quelli che si inoltrano nei meandri del web, il barone indemoniato li impicca uno ad uno.

Inoltrando un post mi sono ritrovato nell’oscura giungla colma e tronfia di segaligne protervie e appuntite rimostranze indolenti. Gli strali piovevano come grandine grossa tipo nespole sotto una forte buriana. Sembravano mega bolle tipo quei involucri di plastica carichi di escrementi lanciati dai nordcoreani ai sudcoreani. Erano nespole inacidite che arrivavano al mare e per effetto boomerang ritornavano nell’entroterra fino alla Tudia. A causa dell’improvvisa e inaspettata corrente ribelle proveniente da Alicudi e Filicudi. Grandine grossa come nespole d’inverno col culo appuntito che se facevano centro tramortivano pure un suido malcapitato. Talmente inacidite da voltastomaco di zitelle pruriginose. Il gall sgrisciava improperi senza ritegno con un linguaggio acrimonioso apologetico e indegno. Come un ossesso spatiliava urla che si sentivano in capo al mondo; un’acredine da faida impregnata d’astio e querimonia. Non ammetteva che gli si mettessero i bastoni fra le ruote per impedire il suo disegno di notte sognato e disegnato su carta intestata il giorno dopo. Motivi di potere aizzavano le questioni. Potere e ambizione per il gall si fondevano con la vanagloria da rampante puro e inossidabile per salvaguardare il suo, e solo il suo, incerto futuro. Il comprensorio quale primo passo per l’intero regno all’Ars. Tesseva la tela per il gonfalone regionale come Penelope la sua contro i Proci.

“Ohè, voi che urlate come un indemoniato!”. Si ribellò il savio. “Dove credete di stare. Qui è vietato urlare, si può solo meditare”. Aggiunse contrariato.

Il gall alzò la cresta e con veemenza insistette: “Voglio la poltrona per sedermi comodo”.

Il savio non ci credeva e lo incalzò: “La poltrona per sedere o per lucrare?”.

“Lucrare per mangiare”. Rispose il gall.

“Di’ la verità, mangiare e defecare? O la crematistica attuare? Non fare il furbo, sai che t’ho inquadrato”.

“Ecco a dire il vero anche un po’ di crematistica la vorrei fare. Sa mi piace l’opulenza, che c’è di male?”. Osservò sfrontato il gall.

“Di male c’è che si tratta d’albagia e furto verso gli indigenti. Si devono abolire le poltrone e introdurre lo spirito di servizio, e chi ci sta ci sta se no  fora de ball”. Disse saggiamente il savio, e dopo aver schiarito la gola con voce soffusa proseguì: “Eh sì, pensate solo a voi e del popolo ve ne fregate. Questo è chiamato malgoverno dalle mie parti. Strade dissestate, rete idrica colabrodo, sanità privatizzata, paesi a causa dell’emigrazione svuotati. E voi vi scapigliate irosi e vanitosi per giochini di potere e il popolino cosi facendo raggirate?”. Proferì raggelato il savio.

“No, io sono il meglio sulla piazza. Risolvo ogni problema e la gente mi vuole bene. Per questo mi dovete premiare e la poltrona lasciarmi occupare”.

“Ah, cosicché ti sei fatto i fans e pure la claque. Tanto per farti ossequiare e far vedere che lo strascico hai da mostrare. Furbo l’amico!”. Lo incalzò il savio con sorriso sarcastico.

Il cacicco si contrariò e pure col savio se la pigliò. Infervorato non le manda a dire e se ne vantava d’ostracizzare col coccio dello stigma chiunque si fosse opposto tra lui e la poltrona; manco se fossimo in Russia ai tempi dei Gulag: “Tutti con me o contro di me!”. Slogan, slogan, slogan.

Il gall propalava quel vacuo pragmatismo volto ad arrampicare muri lisci di vetro industriale, rampantismo di sistema e potere, altroché sistema paese, mentre la desolazione nel comprensorio inesorabile avanzava e gli ungulati imperversavano diventando più numerosi degli umani. E le stelle politiche stavano a guardare e i fans applaudivano le nefandezze che roboanti si dilatavano a cascata. Col ribaltamento della verità si credeva che si vivesse nell’eldorado. E per difendersi dalle critiche i politicanti di contumelie popolavano il purulento verminare intriso di parassiti la dialettica politica, evidenziando uno stile dissono e senza aplomb di chi è abituato a scagliarsi contro chi ne critica fattezze e operato.

Un complotto contro la poltrona il complottista di paranoia s’era invasato invece di render conto delle manovre politiche operate. Il sogno tramutato in incubo di soprassalto il gall aveva svegliato.

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