“La Vendetta Delle Stelle”. Un racconto sulle morti bianche

(Di Francesco Di Garbo)

Se tre morti al giorno vi sembrano pochi bazzecole da sacrificare

Se per competere è necessario questo immondo stillicidio

Se della vita dei lavoratori ve ne può fregar di meno e chi muore muore cazzi sua

Se pensate d’avere la coscienza tranquilla e la notte dormite sogni d’oro col sonnifero

Se non vi sembra macelleria sociale abbiate il coraggio di chiamarla col suo nome#

La parte alta, quasi una vetta del Monte Stella, la famosa montagnetta zona San Siro di Milano, è in realtà una collina artificiale creata con le macerie degli edifici distrutti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Una discarica dunque. Alla fine della guerra, le autorità locali dovendo trovare un posto dove scaricare i riporti delle macerie, individuarono quel sito a quel tempo fuori città ma abbastanza vicino per non fare tanta strada dato che i mezzi di trasporto scarseggiavano. Lì, quindi, conferivano tutti i camion che scaricavano ogni ben di dio, tonnellate e tonnellate di detriti che l’orrore della guerra aveva causato. Poi per abbellire il posto vi hanno piantumato alberi e spianato vialetti a futura memoria. Un viale a spirale circonda la montagnetta dalla base fino in vetta. Gli alberi che lo fiancheggiano sono intarsiati con scritte e incisioni, effettuate con lame affilate, che comunicano messaggi d’ogni tipo e nelle lingue più disparate a sottolineare il cosmopolitismo della metropoli. Sono come le scritte nei muri dei palazzi però in miniatura, ancora più piccole di quelle che si trovano nei bagni pubblici. Solo che le povere piante devono soffrire per dei capricci effimeri.

Al centro della collinetta a forma oblunga vi è una scalinata dritta, dritta come a Montmartre ed è composta da mille gradini contati, soft e non ripidi per fortuna, con pianerottoli spaziosi ogni 20 gradini. Alla fine se ne voleva aggiungere un altro per fare 101, ma si decise che era meglio fare conto tondo. Sembra una scalinata come quelle dei palazzetti dove va tanta gente per spettacoli vari con le lucine segnaletiche. La collinetta è ritrovo di passeggianti e picnic-ari fuoriporta domenicali. Ogni cinque pianerottoli ci sono diramazioni a destra e a sinistra che conducono a delle piazzole tipo quelle di montagna, dove si trovano panchine e tavoli con fontanelle per sostare e rinfrescarsi. Nella calura estiva vi s’incontrano nugoli di vecchietti che riposano e si distraggono giocando a carte, dama cinese, scacchi, monopoli o leggendo un giornale.

In cima alla montagnetta si trova il campo delle stelle cadute. Una radura schiarita e illuminata circondata da alberi con vista cielo dove riposano le stelle delle Morti bianche. Non sono croci come si potrebbe pensare bensì hanno proprio la forma di stelle a cinque punte; una stella per ogni morto sul lavoro. Nome, cognome, data di nascita e di morte. No luogo di nascita ma solo e soltanto quello dove si caduti perché siamo tutti apolidi cittadini del mondo senza nessunissima discriminazione di sorta. Sono stelle piantate ad imperitura memoria.

Qualche anno fa hanno dovuto ingrandire lo spiazzo trovando un’area adiacente libera. Inerti tra gli inerti, macerie tra le macerie. Inerte carne da macello non sopravvissuta alla dura legge dello sfruttamento che genera profitti al capitale. Semianonimi esseri umani, indifferenziata mondezza del mondo venuta al mondo per essere sacrificati, come pollastri in allevamenti intensivi, per il benessere e il lusso dei profittatori. La notte, per chi ha il coraggio d’essere presente in loco, le stelle sembrano illuminarsi ma non riflettono alcuna brillantezza, restano smorte, smunte nella loro tristizia. Esse, le stelle del Monte Stella sono rivolte alle stelle del cielo a cui delegano l’oneroso compito di splendere in vece loro. E le stelle del firmamento gentilmente svolgono questo compito con grande piacere e dimestichezza naturale. Nelle notti buie dal cielo coperto di nubi v’è sempre un fioco filo esile raggio di stella che trapana fino a loro.

La notte è particolarmente buia nella radura della montagnetta. I lampioni sparsi nei viali sono in gran parte spenti a causa della spending review e il caro energia. A parte i viali poco illuminati nient’altro. Ormai tutta la collina evidenzia segni di degrado e senso dell’abbandono, vetri rotti e ruggine impellente avanza il deterioramento fisico. A ciò si aggiunga pure l’incivile scostumatezza della gente che ha preso il vizio di rubare le lampade dei lampioni per puro gusto di possederne una a casa come reliquia da esibire agli amici o come trofeo da usare come soprammobile. Sono rimaste soltanto quelle dei lampioni irraggiungibili. Rubare le lampade dei lampioni è stata una moda a cui tutta Milano e non ha partecipato alacremente in tempo niente. La moda è passata perché le lampade sono terminate e per sopperire a tale mancanza l’andazzo colpì anche i vialoni circostanti il Monte Stella. Esse poi venivano spacciate per lampade doc the best del Monte Stella. Le forze di polizia ebbero il loro bel daffare per contrastare il fenomeno virale ma non potevano stare lì h 24 a pattugliare tutta la zona. A nulla valse nemmeno l’installazione di telecamere se non a far guadagnare le ditte installatrici. I vari appelli  dissuasivi caddero nel vuoto senza remissione di peccati. Nessun deterrente fu efficace cosicché si passò dalle lampade alle suppellettili presenti nel Monte Stella.

Per i comuni mortali le notti sulla montagnetta sono deserte e deprimenti e solo qualche pazzo furioso narcotizzato da qualche sostanza catalettica vi si avventura. È meglio così inquantoché le stelle della radura possano riposare in santa pace. Indisturbate dialogano vis à vis in silenzioso concerto con le loro omologhe del firmamento. Di rado, molto di rado accade che s’incontrano a tu per tu. Capita che qualche stella cadente scenda fin giù nella radura del Monte Stella e si congiunge con la sua omologa lì piantata in abbraccio di lacrime corroboranti. Si tratta d’una convergenza di amorosi sensi, puro incastonamento di tessere di puzzle che si attraggono. Il fenomeno avviene casualmente senza che nessuna delle due l’abbia cercato appositamente. La premeditazione non appartiene al loro modus operandi, è mera prerogativa dell’essere umano vivente, loro sanno solo aspettare che le cose accadono senza effettuare nessuna azione né empirica né teorica.

Quella sera l’aria era fresca e frizzante amplificata da una brezzolina di montagna calma e paciosa col cielo sereno, raro come le mosche bianche, in quel tardo autunno che solo lì si trova a meno che non si vada in montagna a cercarlo. La città era dormiente, arrabattata negli arzigogoli usuali del solito trantran della festa patronale. La bella serata seppur fredda invogliava la gente ad uscire per non fossilizzarsi sul divano. Non pioveva e si poteva stare all’aperto e queste rare occasioni venivano colte al volo. Sulla montagnetta neanche tanta rugiada almeno in prima serata.

Di punto in bianco si manifestò l’evento (non si sa se epocale o meno, se per epocale s’intende raro allora bene ma se s’intende grosso, enorme, capitale allora non è così) in cui Vega piombò su Petro. In verità s’erano strizzati l’occhiolino per tutta la giornata solo che i nembi cupi avevano offuscato il loro vocare. Richiamo a modulazione in bassa frequenza, onde corte elettromagnetiche a gas ionizzato, non intercettabile da nessuna tecnologia umana. Simile ad una connessione ultrastellare.

“Telepatico Vega a telepatico Petro”.

“Eccomi telepatico Vega. Ti percepisco”.

“Caro Petro sono in viaggio. Arrivo in serata giù da te”.

“Ah bene ti aspettavo, non vedo l’ora d’averti vicino”.

“Tieniti pronta e accogliente anche se non ci siamo mai incontrati”.

“Percepisco debolmente ma già sono con le braccia aperte, cara Vega”.

“Restiamo connessi, non si sa mai potrebbe capitare qualche imprevisto”.

“Non vedo l’ora, a presto amore mio”.

Le onde elettromagnetiche sono superconduttori al plasma di gas ionizzato, costituite dall’intreccio di campi elettrici e campi magnetici che spingono a velocità superlux (oltre quella della luce) i raggi stellari così da riuscire ad oltrepassare la ionosfera senza essere intercettati dagli elettroni, perché essendo trasversali cambiano direzione frequentemente eludendo tutti i posti di blocco dei sistemi di blocco umani.

L’incontro avvenne dopo alcune ora dalla trasmissione senza incidenti, liscio come l’olio.

Morte Bianca e Tuta Bianca erano in contatto visivo per passare nel giro di cinque secondi al contatto vicino. “Eccoci qua, adesso possiamo agire”. L’abbraccio inestricabile come un amplesso infinito durò a lungo e più che spossarli servì a ricaricarli d’energia pulita e potente. Restavano invisibili a questo mondo. Tuta bianca e Morte Bianca la loro peculiarità è proprio quella d’essere invisibili. Si ritrovano quindi nella notte stellata in cima al Monte Stella nella radura delle Morti bianche come si trattasse d’una rimpatriata dopo una vita di separazione: la Tuta bianca disoccupata, la Morte bianca inoccupata. La prima non aveva mai avuto un lavoro ed aveva pure smesso di cercarlo dopo tantissimi tentativi andati invano, la seconda un lavoro l’aveva ma l’aveva perso causa forza maggiore di morte sul lavoro.

Niente convenevoli strappalacrime fra loro o saluti strani di questo mondo. Formalismi e beceri rituali inusuali sono stati messi al bando, per meglio dire mai approvati dalla decenza che guarda la sostanza e non la forma. Desueti, inconsueti quelli che si danno il cinque, le spallate di pancia simili cose li hanno relegati agli uomini di mondo. “Dobbiamo fare come se stessimo insieme ogni istante, da sempre. Come se fossimo nella stessa unità, la stessa identità”. Disse Tuta bianca appollaiata in cima al pino silvestre ai margini della radura direzione centro dov’è situata la stella di Petro. Stava col binocolo a tracolla che ogni tanto inocula per esplorare i meandri della metropoli.

“Sono d’accordo con te, abbasso i cerimoniosi singulti dei cani e dei gatti”. Convenne la Morte bianca fuoriuscita dalla sua stella e personificatasi invisibilmente come Trilli il cardellino col suo sguardo decadente e impacciato. La tuta bianca lassù nella punta apicale del pino silvestre pareva col suo binocolo la piccola vedetta lombarda, oppure un falco cacciatore con l’occhio lungo. Leggero senza massa come un fantasma poteva accovacciarsi tranquillamente sull’esile apice del pino a sei sette metri da terra e da lì aveva vista libera per scrutare in lontananza su tutta la città. Ogni tanto qualche refolo di vento la dondolava ma lei impassibile si faceva trasportare controllando cosa accadeva in città, ab libitum infinitum. Bisogna selezionare le cose da guardare che sono tante ed è impossibile seguirle tutte.

“Dimmi Tuta bianca, cosa vedi di bello stasera? Parlami di cosa bolle in pentola che da qua sotto non si vede un accidente”. Chiese Morte bianca.

“Ah, niente di particolare al momento. Sto osservando il vialone Numa Pompilio che si sta popolando di trans. Sono uno spasso mezze nude che contrattano con i clienti”.

“Mezze nude e come fanno con ‘sto freddo? A momenti lo sento pure io che sono impalpabile”.

“Si riempiono di coca per non sentirlo. Prima succhiano e poi risucchiano. Il risucchio da come è forte, se ci fai attenzione, si sente fin qua”. Rispose Tuta bianca.

Morte bianca sgranò l’orecchio a radar e con meraviglia osservò. “Vero cazzo! L’ho appena sentita. L’interiezione <<sshhssshhsh>>. Che sniffata, perdinci!”.

Intanto tuta bianca aggiunse. “La nebbia mi ostacola la visione nonostante le lenti fendinebbia del binocolo”.

“Più che nebbia sarà pulviscolo di PM10. L’aria è fortemente intrisa di smog qua, fa raschiare la gola anche a me che sono intangibile”. Chiosò con tono accusatorio Morte bianca. “Tre anni di vita in meno hanno le persone che vivono in Val Padana. Sono i risultati di un inchiesta statistica su modello matematico ineccepibile e provato scientificamente a cui si può credere senza ombra di dubbio. È anche vero che le medie e le indagini vanno prese con le pinze ma questa è visibile anche sulla pelle delle persone: è la nemesi per la loro ricchezza economica. Certo ci vanno di mezzo anche i poveracci ma quelli non hanno mai avuto voce in capitolo da che mondo e mondo”. Concluse la requisitoria Morte bianca col saio albino indossato per l’occasione.

“Emergono veleni e virus al galoppo dalla nebbia o smog che dir si voglia. Nel firmamento non ci sono di questi perituri problemi. C’è ippica che galoppa stasera all’ippodromo”.Notò Tuta

“Gran Premio Sant’Ambrogio yah”. Rimarcò  Morte bianca.

“Aziona gli infrarossi Tuta. Così vedrai meglio”. Suggerì Morte accendendosi un sigaro <<Habana Best Colonel>> e aspirando forte che la macchiolina di fuoco acceso poteva notarsi dalla Madonnina. Morte bianca era seduto sullo schienale di una panchina con i piedi pendenti perché non li poteva appoggiare mancando i listelli dove ci si siede; anche questi divelti e portati a casa come souvenir. Ma a lui non serve appoggiare i piedi. Morte ne approfitta per dondolare avanti e indietro alternativamente come un pendolo a doppio batacchio, o come se stesse facendo sci di fondo a tecnica alternata. È gioviale questo movimento di gambe sotto il saio, fa respirare le parti intime facendo salire da sotto una leggera arietta che le inonda il sesso e da lì sale in su. Una piacevole sensazione come se fosse nell’altalena. Nondimeno anche la panchina instabile nel terreno dondola come un cavallo a dondolo facendogli proprio credere d’essere un orologio a pendolo con relativa casetta e Trilli che fa cucù. È in sincrono perfetto con l’inspirazione e l’espirazione delle boccate di fumo date al <<Habana Best Colonel>> cubano. Fatto a mano inutile dirlo. Ci fu un momento d’assoluto silenzio nella notte milanese squarciata ineluttabilmente dall’inquinamento acustico cittadino. Tuta bianca lo sapeva e s’era procurato dei filtri per disattivare i rumori terrestri.

“Ehi! Lassù. Ci sei sempre? Cosa guardi di tanto interessante da farti ammutolire?”. Chiese Morte bianca facendosi sentire con tutto il fiato in gola. Tuta bianca ripose il binocolo spegnendo gli infrarossi lasciandolo traballare a tracolla poi disse. “Niente di che. Guardavo la movida della’Arco (della pace). C’è parecchio movimento per l’happy hour stasera, anche sotto i funghi nei dehors”. Morte bianca approfittò della pausa per interloquire. “Non ha ancora nevicato quest’anno nemmeno in montagna, solo ad alta quota uno spruzzo di neve l’altrieri e allora sono rimasti in città la maggior parte. Col riscaldamento globale c’è poco da stare allegri per gli operatori turistici invernali”. Postillò il postiglione con un quid di sarcasmo smozzicando il sigaro e sbuffando come una locomotiva. La Tuta bianca sull’apicale del pino silvestre stile omino bianco della Michelin a circonferenze bombate, un piumino dai piedi al collo dolcevita. A dirla tutta quelli extralusso della Moncler gli fanno un baffo ai prodotti extragalattici dove si serve Vega/Tuta bianca. S’era pure accesa la pipa tirata fuori dalla tasca sita nell’avambraccio sinistro della tuta interspaziale. Pipa <<G.G.>> (Generale Garibaldi), d’avorio cesellato. Aspirò a grandi boccate ripensando al fatto che lei non aveva mai preso parte al divertimentificio terrestre dato che nel firmamento il divertimento è scocciatura: ci si diverte stando quieti e immobili. Lassù il divertimento è cosa sopra le righe che subodora di cementificio, cemento bianco che si usa come dentifricio con le dita al posto dello spazzolino. Riavvolse il nastro e rivide tutti i pelandroni modaioli che si spingevano e facevano ressa attorno all’aria fritta, cocktailizzati come formichine, per acchiappare un ulteriore beverone da scolare. Il bicchiere in mano e chiacchierare, chiacchiere e tabacchiere di legno simil bar sport.

“Ehi li sotto com’è il sigaro cubano? Io sto fumando trinciato danese aromatizzato cannabis. Ottimo, veramente ottimo. Al massimo del top”. Disse Tuta in quel di sopra appollaiato mentre ondeggiava con oscillazioni tipo tergicristalli come l’altalena, tali che a volte dimezzavano l’altezza facendolo avvicinare a terra per poi risalire, quasi volesse accarezzare coi piedi Morte bianca.

“Niente male questo sigaro, the best in commercio”. Rispose Morte bianca mentre riprendeva da sopra il cestino dei rifiuti, dove l’aveva appoggiato, il tablet azionato, non potendo digitare, con i comandi vocali su piattaforma Android. Ripassò con veloce sicumera tutti i passaggi della missione che lo riguardavano. Cose semplici ma è sempre meglio ricontrollare tutto per sicurezza.

“È ancora presto per metterci in opera, sono appena a metà del secondo atto. Possiamo rilassarci”. Disse Tuta rivolto a Morte.

“Lo so, lo so”. Le rispose Morte dal basso verso l’alto. “Sto solo controllando che sia tutto a posto. Sai com’è… non si sa mai”. Quindi resettò e riassicurò il gestionale con calibrata funzione di riordino delle applicazioni da usare per l’impresa.

“Stai tranquillo è tecnologia inossidabile concepita per evitare intoppi e malfunzionamenti. Ultimi ritrovati interstellari”. Lo tranquillizzò Tuta bianca, mentre s’era rimesso il binocolo agli occhi curiosando qua e là per la città.

“Ne sono convinto. Volevo solo ripassare i miei compiti per non fare cilecca”. Disse morte innescando l’applicazione del simulatore con tutto il protocollo dell’azione. Poteva riguardare lo svolgimento dell’azione in simulazione feedback, e lo fece anche per pregustare quello che sarebbe successo. “Mi puoi dire il codice sorgente del piano B così do un’occhiata anche a quello”. Rivolgendosi a Tuta bianca.

“Lascia stare il piano B non avremo bisogno d’usarlo e smettila d’essere malfidente andrà tutto benone. Dubiti forse delle nostre capacità intergalattiche? La terra ha quello che la sua popolazione si merita. Se è insipiente è colpa prettamente sua e noi del firmamento non vogliamo farci niente per rimediare al masochismo a tutto tondo dei terrestri. Sono fatti loro noi interveniamo solo in casi eccezionali e non per vendetta ma solo per illuminare e mettere in guardia. Poi tocca all’umanità intervenire e trovare le soluzioni adeguate per dirimere i problemi che l’assillano”. Disse Vega la Tuta dall’alto in basso non per artifici individuali ma per meriti astrofici naturali. Quindi concluse la contemplazione: “Uomo avvisato mezzo salvato”.

Nonostante le rassicurazioni degli scienziati il mondo è sull’orlo dell’estinzione con buona pace dei ciechi dogmatici. Tuta è avvilito per l’insanabile crosta terrestre che s’erodeva in declino ineluttabile. Quindi  riprese il binocolo e riaccendendo gli infrarossi effettuò un piano sequenza in slow motion per tutto l’orizzonte metropolitano con torsione a 360 gradi del collo all’interno del dolcevita. Si soffermò per qualche attimo sulle auto sportive sfreccianti nei vialoni attorno a Brera-Garibaldi-Sempione giù fino ai Navigli e chissenefrega dei limiti di velocità urbani. “Possono mettere tutte le telecamere che vogliono tanto sono tutte auto immatricolate all’estero, e come si fa a cercargli il padre? Padre sconosciuto solo della madre si ha certezza della macchina apolide se non la si abbandona, ma un’auto del genere non s’abbandona mai, e il padre ignoto si tiene strette le chiavi. È ignoto solo per la legge non come proprietario. Per queste cose evviva i furbi e si faccia più furbo chi può”. Pensò amaramente.

Poi Vega-Tuta focalizzò la sua attenzione sull’obbiettivo primario della serata: il teatro Piermarini. Era la prima del sette dicembre. La melomania meneghina è la faccia speculare della megalomania della borghesia vanagloriosa italiana e mondiale. V’accorre tutto il fior fiore delle élite con contorno degli immancabili presenzialisti. Quest’anno   poi la corsa ad accaparrarsi i biglietti è iniziata dall’anno scorso. Appuntamento immancabile per i presenti e per gli assenti, vetrina mondiale dei facinorosi furori dell’esser-ci elitario. Purtroppo nel mondo non esiste un solo modo d’essere in generale e basta come per le stelle, ma tanti modi d’essere particolari come per i buchi neri. Gli occhi ir-riflettenti di tutta la crema mondiale sono puntati sull’in-evento annuale, tra neve e vento. Con codazzo di riflettori e telecamere che accorrono inviate da loro stessi, proprietari degli stessi riflettori per farsi autoriprendere con narcisistico impudore. In pratica si fanno i selfie. I mezzi sono loro e loro sono i mezzi cosicché li sfruttano per pura e semplice vanesia d’autocelebrazione. E quando poi si rivedono i filmati si autospecchiano come narcisi nella pozza d’acqua. Il loro mondo: la morte loro.  Tutta pubblicità gratuita d’ottima fattura ed eccellente qualità veduta e avveduta, svenduta per rimarcare che in questo mondo chi comanda sono loro. E voi plebaglia siete buoni solo per costruire le sfarzose tombe dove noi élite intoccabile riposeremo. Quest’anno a causa dell’enorme affluenza straniera ci sono stati grandi nomi rimasti fuori. Da qui le invidie e le gelosie si sono scatenate, bassezze da ragazzini e guerricciole tra bande tra gli esclusi e gli inclusi con relative promesse di vendetta sottotraccia e odio strisciante. C’è pure chi si rosica l’unghia per il nervoso.

Tuta bianca fece una pausa oscillante poi si rimise il binocolo al naso per dare un occhio all’orizzonte indistinto della pianura. Durante la rotazione fu attratto da movimenti inconvulsi nei paraggi della Scala. Focalizzò quindi l’attenzione nella piazza e s’accorse che stavano accadendo scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Batterie cariche contro dinamo scariche si fronteggiano in un parapiglia coreografico come quello del Fidelio.

“Ehi Morte ci sono scontri in piazza Scala, una bolgia danzante. Ammazzati oh! Si scornano come cervi di montagna. C’è un andirivieni di masse fluttuanti che si arginano fronte a fronte, dai ribocchi e gli strabocchi. Una fiumana di persone alla foce che il mare risospinge indietro. Miseria maiala! C’è poco da ridere ma è un vero è proprio spettacolo da palcoscenico scaligero. Azzo!”.

Morte bianca non poté trattenere uno sghignazzo e disse.

“Non ti curar di loro. È sempre così, niente di nuovo sul fronte milanese. Tutto previsto”. Tuta bianca ci prese gusto e guardava con avida attenzione l’avvenimento fuoriprogramma. “Aspetta, aspetta, aspetta”.

“E chi se va, ancora il bello deve venire”. Lo rimbrottò Morte bianca.

“Cazzo stanno intervistando il ministro dei Beni Culturali. Vediamo cosa dice”.

“Come fai a sentirlo da qui?”. Chiese Morte sbalordita.

“Semplice gli leggo nel labiale. Sta dicendo che la Scala è la vetrina del paese e ci guardano da tutto il mondo. Quello che sta succedendo fuori è inqualificabile, così ci stiamo facendo una bruttissima pubblicità. Questi manifestanti sono la peggiore inqualificabile Italia! Ecco cosa ha detto il Ministro”.

“Le Ministerre?! Cosi ha detto le minus/terre e le finis-terre!? Non dargli retta quello non sa ciò che dice, apre bocca per darsi importanza come i galletti che fanno chichirichì”. Ironizzò Morte bianca per poi commentare. “Di converso ciò significa che la migliore Italia sono i corrotti del tipo la cupola atlantica e combriccole similari. Implicitamente la narrazione che passa è questa. A livello subliminale la gente ha tutto il diritto quindi di ammirare i mafiosi, i ladri, coloro che rubano pensando che bisogna fare come costoro. Di contro biasima e stigmatizza coloro che lottano per i diritti e contro le ingiustizie. Mi sembra voglia dire questo sotto, sotto il M.B.C. con quella sua dichiarazione. Magari poi condanna anche ogni ruberia ma la gente percepisce che lottare è sbagliato e rubare è giusto. Bravo Ministro! Eppoi dimmi te che possibilità ci sono affinché l’onestà trionfi in questo paese. Che senso ha scandalizzarsi se siamo al 69° posto nella classifica mondiale per corruzione e primi in Europa. Almeno un primato ce l’abbiamo. Per la magrissima consolazione, <<consulatoria-postulatoria>>, mica bau, bau micio, micio. Lo dice il Corruption Perception Index di Trasparency International, e non io povera Morte vivente.”. Parole dal mesto tono e mestizia afflizione sentimentale di Morte bianca.  Tuta non disse nulla.  Quindi sentenziò: “La doppia morale puritana dell’etica del capitalismo”. Ci fu ancora una lunga e silenziosa pausa per l’amaro in bocca, come se avessero masticato una mandorla venefica. Poi Tuta interruppe il pesante magone allo stomaco intirizzito. “Allora come va dalle tue parti lì sotto”. Chiese a Morte.

“Alla perfezione. È tutto a posto dal ripasso effettuato. Faremo un colpo mondiale. Avranno di che recriminare questi beduini di merda”. Rispose Morte con espressione tronfia trionfale, per poi aggiungere. “Mi voglio mangiare un orcio di trofie al pesto con acciughine spezzettate ad operazione conclusa”. Tuta spezzò un rametto secco grande quanto uno stecchino dal pino silvestre per pulire la pipa d’avorio cesellata con le sue mani che nel frattempo s’era spenta e la ripose nella tasca. Poi con tono monocorde e triste chiese a Morte.

 “Volevo dire. Avevi qualche desiderio che ti è rimasto sul groppo? Nel senso di progetti, ambizioni, sogni che avresti voluto realizzare e non ci sei riuscito a causa della morte prematura”.

“Embé si, avevo appena messo su la Fornasetta, l’aziendina della mia vita. Un lavoro in proprio e una vita tranquilla. È stato il mio sogno abortito. La Fornasetta s’è rivelata un coitus interruptus, un incubo dove c’ho rimesso la pelliccia. Un’attività dal reddito sicuro e senza tanti pensieri, questo è il sogno che mi è rimasto sul gargarozzo”. Disse accarezzando il pomo d’Adamo con pollice e indice. “E tu? Tu ne hai di sogni? Tuta bianca”.

“Ah si, tanti d’ogni sorta e maniera, ma non appena ne intraprendo uno subito sfoca e i colori s’appiattiscono in un grigio cupo, bianco e nero. Poi un giorno all’improvviso i sogni sono svaniti del  tutto, come se si fossero esauriti. Invisibile ero e invisibile sono rimasto, il sogno s’è infranto nella scogliera dell’illusione che in terra ci fosse pace e uguaglianza. A poco a poco mi sono rassegnato all’invisibilità d’essere come un un fantasma”. Per parecchi minuti rimasero in silenzio appisolati nei loro pensieri meditabondi. Ne avevano in abbondanza di rancori su cui soffriggere la riflessione ricostituente l’archivio delle bassezze subite. Quel silenzio racchiudeva tutti i torti e le angherie sopportate da tutti i poveracci come loro: la maggioranza della popolazione mondiale, c’è chi dice il 99% i maledetti, 1% gli eletti.

La foschia sulla città s’era diradata, squarci si s’erano aperti e lo skyline milanese evidenziava a occhio nudo tutti i suoi manufatti artefatti distintamente: s’imponeva la silhouette dei nuovi grattacieli. Essi  s’ergevano come escrescenze protesi dalla nuda terra, come sequoie o vulcani. Bubboni sovracresciuti con la superfetazione inseminata da mani d’archistar che usano il compasso d’oro. Siliconizzazione d’architettura ottocentesca, neourbanesimo stile periurbano postmoderno: Gentrificazione a gogò “Tu riqualifica che io mi qualifico. Qualificato addottorato sulla mia pelle, cucciolo di visone”. Pensò Morte bianca. Poi guardò l’ora sul display e col sigaro mandò concentrici segnali di fumo a Tuta. “Ci siamo quasi. Fai una ricognizione che siamo alla fine dell’ultimo atto”. Tuta bianca inforcò il binocolo e accese gli infrarossi dirigendo l’attenzione alla Scala. Dopo qualche secondo disse. “Siamo a metà dell’ultimo atto, tra mezzora lo spettacolo sarà finito. Incomincia pure ad avviare la procedura”. Morte bianca avviò il protocollo e mise in moto il drone accendendo il pulsante della scatolina di controllo e azionando le leve direzionali, contemporaneamente aprì la finestra di controllo sul tablet. Le eliche piazzate sulle ali a destra e sinistra presero a rollare poi fu il turno di quella grande sopra la cabina. Un mix di elicottero e aereo biplano degli anni trenta del secolo scorso. Il tutto basato su nanotecnologia. Silenzioso e invisibile non intercettabile dai radar di sorveglianza.

“Sopra di Vega ogni cosa è invisibile all’occhio umano”. Disse Tuta. Poi aggiunse “Ah ecco il segnale cinque intermittenze di luce con la torcia di servizio degli archivisti. Possiamo partire, tra quindici minuti la talpa lascerà aperta la finestrella dei servizi”. Il drone prese il volo con l’apertura alare di settanta centimetri sembrava un ragno con otto zampette tentacolari per quando deve atterrare: s’aprono alla bisogna.

“Però non lo dobbiamo fare atterrare il tutto si deve svolgere in volo”. Ordinò Tuta, per poi rimarcare “Non si sente nemmeno il rumore di un battito d’ali di un piccione”.

“Caspita è vero, neanche quello di una ventola refrigerante”. Chiosò Morte. Poi innescò il pilota automatico e lo lasciò volare oltre l’orizzonte dei suoi occhi. “Adesso ci pensa Tuta a controllarlo visivamente col binocolo. Io lo devo controllare nel display. La talpa nel teatro aprirà la finestrella dei bagni di servizio nel sottotetto, entreremo da lì. Poi mi divertirò a dirigerlo per stanze e corridoi indicati nella mappa fino alla porta del loggione. Una volta entrati nella graticcia sopra il palcoscenico il gioco è fatto”. Ripassò a mente Morte bianca. Nel giro di dieci minuti il drone giunse sopra il tetto del Piermarini, di recente restaurato dall’architetto svizzero Botta. Il Sindaco Albertini fautore del restauro credeva di fare carriera politica spendendogli un pacco di soldi, restò solo con un pugno di mosche. “Che ingrati questi milanesi”. Commentò un giorno che era giù di morale per la depressione politica. “Peccato che questa sera è uno dei grandi assenti”. Pensò Morte.

Il drone intanto s’era intrufolato con passo felpato per la bifora, guidato da mani esperte e con uno slalom specialissimo arrivò nel ballatoio sopra il loggione. Purtroppo trovò la porta, che sarebbe dovuta essere aperta, chiusa, con i loggionisti che si spellavano le mani applaudendo come forsennati. Forse qualcuno  nella foga con il culo ci sbatté richiudendola. Il drone sarebbe dovuto arrivare sulla volta centrale anteriore del teatro e non fu possibile. Intanto il sipario si apriva e richiudeva per gli omaggi di rito. Tutti gli attori riuscirono presi per mano per ricevere il tributo d’onore per la riuscita rappresentazione. Era scontato prevedere che tutte le entrate e le uscite e gli scroscianti applausi sarebbero durati circa un quarto d’ora e tutti in piedi dotti, medici e sapienti.

“Tuta bianca abbiamo un problema! Gridò Morte al suo indirizzo. La porta è chiusa, cazzo!”.

“Cambia entrata!”.

“Niente da fare è tutto chiuso”. Disse disperato Morte.

“Allora cerca la porta dei bagni”.

“Pure chiusa, cribbio”.

“Non demordere trapana la porta della loggia”.

“Okay, adesso ci provo”. Morte diresse il drone davanti la porta della loggia e cominciò a trapanarla. “Altro inconveniente, Tuta. Il traforo non si riesce a fare, la porta è ignifuga; fatta con un metallo che il trapano non riesce a perforare. È troppo duro”.

“Niente paura Morte, fai rientrare questa punta del trapano nel suo astuccio e dagli la soluzione -C- che ha la punta di diamante e si trova sul riquadro in basso a sinistra dell’applicativo”.

“Perfetto ci siamo”. Disse Morte bianca con un sospiro di sollievo roteando la telecamerina che rimanda sul monitor di servizio ogni azione. Di nuovo si vide il pubblico giubilante in visibilio che andava in esultanza da sindrome di Stendhal. “Okay procedo con la fase B del protocollo”. Commentò Morte dando un inspirando forte.

Tuta bianca rideva sotto i baffi per la strizza che Morte s’era preso a causa dell’intoppo. “Vai tranquillo! Tutto a posto”. Gli gridò dall’alto.

“Ricevuto. Allora procedo con la miscela gassosa. Posso aprire il rubinetto?”. Chiese Morte.

“Senz’altro. Aziona pure il marchingegno del guscio di noce. Se te la senti, se no lo faccio io”. ironizzò Tuta.

“Corbezzoli, è un vero piacere”. E quindi cliccò sull’icona per aprire il foro che attraverso un tubicino di quindici centimetri che si trova dentro la punta del trapano ed espulse dal guscio di noce un mix di gas portato da Vega da Tuta. Questa miscela gassosa di Lantegnio con Cianurio e Tillanio con Berillio questi agenti chimici, incolori-inodori, a contatto con l’ossigeno creano una reazione a catena che s’espande allargandosi immediatamente pervadendo tutto l’ambiente. La proprietà intrinseca di questa miscela è quella di far sciogliere ogni tipo di stoffa facendola evaporare in aria pura. Cosicché tutti i presenti nel teatro senza che se ne rendessero conto di niente o che si accorgessero di qualcosa restarono nudi, nudi. Nel giro di trenta secondi i loro vestiti si dissolsero per magia come luce spenta volatilizzandosi nell’aere del teatro risucchiata negli impianti condizionatori. Il composto divora i tessuti e non rimane niente, tutto viene dissipato nel nulla.

Allora eccola lì la creme de la creme tutta nuda, ma il bello è che loro si vedevano come se fossero ancora vestiti. Per realizzare la cosa dovevano impiegare un po’ di tempo, e continuavano indefessamente a battere le mani. Bravi, bravi, bravi, e scemi, scemi scemi. Lo spettacolo divenne talmente esilarante da far ridere a crepapelle Tuta.

“Descrivimi la scena che io non posso vedere più niente essendosi ossidata la telecamerina del drone per la fuoriuscita del composto chimico”. Supplicò Morte a Tuta che si stava contorcendo per la curiosa spassosa scenata.

“Missione compiuta. Sono tutti nudi, è uno scialo mastodontico. Adesso puoi passare alla fase

-C- quella della rivendicazione. Non è difficile da immaginare, sforzati un attimino. C’è da morire dalle risate. Pensa alla fiaba del Re Nudo”. Disse Tuta mentre si scompisciava.

Fase -C-. Rivendicazione S.B.B. (Sindacato Brigate Bianche).

“Il patto di sindacato rivendica l’azione effettuata con la seguente poesia nella declinazione dell’Indicativo Presente del verbo Sparire: <<Io sparisco / Tu sparisci/ Egli sparisce /Noi spariamo / Voi sparate / Essi spariscono>>”.

Il paradosso del tovagliolo dice che una dozzina di convitati seduti attorno ad un tavolo rotondo nel quale non esiste una regola precisa se il tovagliolo d’ognuno è quello di destra o quello di sinistra resteranno digiuni perché nessuno avrà il coraggio di prendere per primo il tovagliolo per non fare cattiva figura nei confronti degli altri e rischiare l’esclusione a vita. Nondimeno le portate non inizieranno ad essere servite fino a quando tutti non avranno preso il proprio tovagliolo mettendolo come bavaglio. Resteranno in attesa all’infinito se non ci sarà un audace a rompere l’incantesimo al quale non frega assolutamente niente d’essere escluso dall’esclusivo circolo. Ma il paradosso consiste nel fatto che tutti i convenuti hanno un forte interesse a non restare esclusi, quindi nessuno fa la prima mossa che implica la pena capitale.

Tuta e Morte non stavano più nella pelle, l’euforia degli amanti era totale e incontinente. Tuta esultò con estremo gaudio. “E vai, e vai, vai, vai. Questa si che tutto il mondo se la ricorderà in sempiterno immemore tempo. Imperitura nella memoria collettiva dell’universo”. E continuava a guardare col binocolo con occhio salace e scomposto. Anche le stelle possono essere scomposte a volte: <<quanno ce vo’, ce vo’>>. Una forte soddisfazione gioiosa colse anche Morte mentre riattizzava il sigaro dopo aver acceso un rametto secco del pino silvestre. Aprì sul tablet il canale “Unitube” e già i primi fotogrammi erano comparsi, mentre con l’applicativo rientro sicuro contemporaneamente dirigeva l’operazione di rientro del drone, che nell’arco di dieci minuti era di nuovo alla base. Passò qualche minuto e la talpa aveva già postato su il primo spezzone di filmato.

“Eccolo. Adesso tutto l’Universo potrà godersi lo spettacolo”. Disse Morte rivolgendosi a Tuta. “Speriamo che il sito regga all’invasione virale di contatti”. Aggiunse alzando gli occhi lucidi verso Tuta.

“Reggerà, stai tranquillo. È tutto previsto e preciso. Non essere diffidente. Si tratta di tecnologia stellare, mica terrestre”. Disse Tuta con sarcasmo.

“Più che essere diffidente spero solo che tutto fili liscio”. Lo rimbeccò Morte.

In quel mentre che loro scimmiottavano su facezie del genere un tripudio di stelle cadenti fu rilevato dall’Osservatorio Astronomico Sacro Cuore di Varese. Il cielo fu tempestato da un luccichio di stelle che sembrava una maestosa messe di giochi artificiali di matrice cinese visibile a ciel sereno in tutto l’emisfero notturno. Manco fosse la notte di San Lorenzo. L’élite mondiale della politica e dell’economia etc. messa alla berlina da un paio di coglioni invisibili. Messi a nudo inequivocabilmente. Spogliati dei loro abiti extralusso che coprivano l’ipervanitosa tracotanza senza più alibi o maschere dietro le quali si nascondevano. Nonostante i mega apparati di sicurezza e prevenzione dal fior fiore di milione, niente ha potuto salvarli, e quindi l’élite è risultata  precariamente defettibile.

Nonostante il dispiegamento dell’esercito massmediale dalla forte capacità di dissimulazione dei fatti e della verità, di celare e mimetizzare la sacrosanta verità. Nonostante tutto l’infinito potere e il totale controllo dei micropoteri. Una volta tanto hanno fatto cilecca, si sono disfatti come pere cotte sfracellandosi a terra in un rancido nauseante putridume: la miserevole sicumera venuta a galla si dissolse come cadaveri nel canale di Sicilia. Tutto il mondo ha potuto vedere, tutti hanno constato cosa si cela dietro la maschera dello status-quo imperante. L’irrisione a questo punto è diventata eclatante nessuno può più negarla, né i lor signori, né i loro tirapiedi e guardaspalle d’ogni genere e sorta.

Alla fine sono stati costretti ad elemosinare qualche costume qua e là, togliendo gli abiti agli inservienti, autisti e guardie del corpo, o a svicolare di corsa dentro le auto di servizio e i taxi. Alla belle e meglio, si sono salvati come maschere carnevalesche. Alcuni hanno saccheggiato il guardaroba acchiappando di tutto: e chi afferra, afferra. I più sono stati costretti ad uscire nudi con questo freddo. Le telecamere e i telefonini hanno ripreso tutto e spifferato tutto oltre al video ufficiale delle stelle. Il danno ormai era fatto e hanno avuto pure la sfacciataggine di provare a rimediare sguinzagliando a destra e manca a ogni piè sospinto tutta la cortigianeria per ordire un qualche ardita controffensiva.

Hanno dovuto improvvisare qualche spiegazione plausibile perché colti di sorpresa imprevedibile, inimmaginabile, eccezionale fatto compiuto di disturbo della quiete pubblica imperturbabile colta in flagrante nell’agiografica dimensione da sogno d’oro in cui si trastulla l’élite del potere. Finalmente anche  lorsignori hanno subito un enorme disturbo deficitario. Un terremoto con conseguente tsunami sulla monolitica e granitica irremovibile stabilità sociale/esistenziale. Una mazzata bella e buona da sovvertire l’ordine esistente. Non sanno cosa inventarsi, non hanno cosa trovare, non ci capiranno nulla. Saranno costretti ad arrampicarsi sugli specchi bollenti esposti al sole. Si arrabatteranno su pseudo teoremi e complotti vari, congetture fumose e proto ipotesi basate sul nulla mischiato col niente. Magari partoriranno un minestrone afrodisiaco dando la colpa ai soliti cattivi vantandosi d’essere loro i buoni. La solita tecnica della doppia bandiera. Faranno retate e rastrellamenti giusto per buttare un po’ di fumo negli occhi dell’opinione pubblica. Infatti sono molto bravi a manipolare le coscienze. D’altronde hanno creato tutto l’apparato giuridico dello Stato di Diritto a loro immagine e somiglianza e cercheranno di non mollare il coltello dalla parte del manico. L’élite è sempre e in ogni caso al di sopra d’ogni sospetto, al massimo buttano nella fossa dei leoni qualche mela marcia, salvo, prima, dotarla di un buon paracadute. La ricostruzione dell’accaduto sarà quanto più confusionaria intrisa di congetture e illazioni varie per confondere quanto più possibile le idee. Hanno imparato benissimo a pescare nel torbido diventandone maestri eccellenti. Annacqueranno e insabbieranno come sempre hanno fatto per rendere indolore la vergogna e l’ignominiosa arroganza usando la classica arma della protervia. Alla fine trangugeranno il boccone amaro e cercheranno di riprendere a fare danni sulle spalle dei miseri cristi immolati sull’altare della patria del capitalismo: e chissenefrega.

Furono queste le conclusioni di Vega, dedotte con la cognizione di causa d’aver vissuto il futuro di sessanta anni luce in qua. Lei avanti nel futuro sapeva già cosa sarebbe scaduto e cosa accaduto. “Facciano quello che vogliono tuttavia la macchia resterà incancellabile, indelebile ai posteri larga sentenza”. Disse.

La missione compiuta e riuscita a tutti gli effetti per come programmato per filo e per segno. Ottimo lavoro. Ineguagliabile. Le due stelle non aggiunsero null’altro, si guardarono dritte negli occhi e si capirono al volo senza alcun bisogno di parole. Il silenzio fu tutto. Non ebbero bisogno neppure di mezza parola, di qualche frase di circostanza, di un minimo di commento o delucidazione ulteriore. Era tutto chiaro, limpido e nell’ordine delle cose. Neppure la frivolezza di dirsi Addio. Le ciance non appartengono alla loro forma mentis di percepire le cose dell’universo, figurarsi quelle di questo mondo. Il firmamento riaccolse in totale quiete le stelle invisibili con un semplice grazie dimesso. La pipa esalò l’ultimo grumo di fumo dopodiché si spense. Il sigaro idem. Adesso riposeranno in pace tutte le stelle in albis cadute nel candore della Morte bianca a dispetto di quella nera e nerissima che attanaglia gli ipocriti benpensanti uomini di potere che non sanno cos’è il giusto mentre il male si. Si roderanno le pinne di fegato bislacco che secernono bile a non finire, per tutto il futuro avvenire, a causa della vergogna per la smascherata verità che hanno tenuto mascherata fino al giorno che fu oggi e non più domani.

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