Le bugie dell’architetto Marsiglia hanno le gambe corte

(Di Massimo Genchi) Mi scuso se abuso della pazienza dei lettori ma mi corre l’obbligo di ritornare sulla querelle dell’altro ieri, non potendo sorvolare sulle spudorate menzogne che l’architetto Marsiglia ha avuto l’ardire di proferire in riferimento alla mia persona. Non risponderò ai suoi toni perché sarà lui a risponderne nelle sedi opportune.

Fa specie che un post politico, sia pure condito con due battute sarcastiche sulle banalissime considerazioni da profano della politica qual è l’architetto Marsiglia, sia stato scaraventato al rango da trivio da due suoi livorosi commenti.

Non possedendo capacità argomentative per giustificare, nel merito, le sue infantili tesi sul gruppo di minoranza consiliare, probabilmente assistito e imbeccato da chi delle «sterili polemiche» ha fatto il suo marchio di fabbrica, ha trasferito il focus in quello che ritengono sia il mio tallone d’Achille, visto che non ne trovano altri. Il Museo Minà Palumbo e i miei rapporti col prof. Mazzola.

L’architetto Marsiglia, nel momento stesso in cui lo tirai in ballo nel mio post sulla revoca della cittadinanza onoraria, mi aveva messo di fronte a un serio dubbio: o per anni se ne è stato veramente nel freezer, visto che disconosce fatti politici macroscopici, o la cosa è davvero grave, ma non seria, come diceva Flaiano. Dopo i suoi due interventi, non c’è spazio per i dubbi: la cosa è assai grave, ma per niente seria.

In una di quelle battute a raffica che chiudevano gli spettacoli di cabaret dei Cavernicoli, Leandro, al telefono, chiedeva: «Pronto!, è il 238977?». E Pio all’altro capo del filo: «Minchia, nn’avissi nzirtatu unu!». E la stessa cosa si potrebbe dire dei fatti doviziosamente riportati dall’architetto Marsiglia: Nn’avissi nzirtatu unu!

In effetti, fra quelli da lui riportati, non c’è un solo dato che abbia un fondo di verità. Solo fandonie. E tu pensi: ma come fa? E’ frutto di disarmante spontaneità o di severo impegno e costante allenamento?

A partire dall’«evento accaduto 25 anni fa nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di F. Minà Palumbo». Se veramente nel 1999 ricorrevano i cento anni della nascita del nostro dottore, tutti noi avremmo dovuto conoscerlo, averlo visto in giro alla Piazzetta o alla Strada longa verso gli anni sessanta e settanta, no? L’architetto Marsiglia non solo non sa neppure quando è nato Francesco Minà Palumbo ma pretende anche di parlarne.

Però avantieri, nella fase parossistica della cieca rabbia, l’architetto Marsiglia ha voluto giocare sporco tirando in ballo il contenuto di una mia lettera, senza però avere calcolato che ne potessi conservare una copia nel mio archivio. Non ho dossier sui mariti che fanno le corna alle mogli, e viceversa, né su chi è in sofferenza con le banche, per farne miserabile uso pubblico nei momenti di affanno politico, ma le mie carte, a volte, le conservo. All’architetto Marsiglia, stavolta è andata decisamente male.

Allora, avantieri, dopo i due livorosi commenti dell’architetto Marsiglia, è bastato pubblicare la mia lettera di allora, per vedere la malafede di questo individuo manifestarsi in tutta la sua abnormità. Di colpo, la baldanza gli si è azzerata e la rabbia, dopo averlo accecato, lo ha anche ammutolito. E ha taciuto.

Ma torniamo alla famosa lettera. Innanzitutto, come si può vedere, è indirizzata al presidente del Comitato Organizzatore e p.c. al sindaco. Non “Al Comune”. In essa, come può leggere chiunque, non traspaiono denunce di illeciti, né accuse contro il prof. Mazzola né contro alcuno, ma solamente comunicazioni, preoccupazioni e risoluzioni cautelative da parte dello scrivente. Siccome l’architetto Marsiglia aveva dato l’indizio prezioso secondo cui la lettera  «dovrebbe essere negli archivi del Comune», qui per la precisione dico che la si può rintracciare, a partire dal prot. n. 4855 del 22 marzo 1999, così diamo a qualcuno la possibilità di controllarne la conformità con quella da me pubblicata.

All’atto della costituzione del Comitato Organizzatore, il 9 ottobre 1998, nello studio del Notaio Minutella, venni individuato dal prof. Raimondo come tesoriere. Lo stesso atto costitutivo all’articolo 8 recita: «Il tesoriere cura il settore economico e finanziario; tiene i registri delle entrate e delle uscite annotandovi tempestivamente e con diligenza tutti i movimenti con le relative causali». Il 19 marzo, data della mia lettera, le manifestazioni erano già state quasi tutte effettuate. Erano stati stampati tre libri, realizzato il mezzobusto bronzeo, c’erano state tutte le conferenze, i pranzi, le cene e così via. Altro che registri! Il tesoriere non aveva avuto alcuna contezza di nessuno dei movimenti in entrata e in uscita. I bilanci che in calce si accludono, a parte il disavanzo di sette milioni, parlano di oltre 97 milioni di uscite, poco più di 90 milioni di entrate, di cui solo una cinquantina effettivi. Il resto delle entrate alla data di presentazione del rendiconto erano ancora potenziali. Altro che le minchiate raccontate dall’architetto Marsiglia, gli spilli, lo scotch e tutto il resto ma soldi non di poca entità.

In quel periodo, non è inutile ricordare che la maggioranza consiliare di centro destra, come quella di oggi, d’altra parte, stava facendo un forcing pazzesco sul presidente del centro Civico dottor Pino Di Liberti, in ordine ad analoghe questioni contabili sull’amministrazione del Museo Civico, che di lì a poco avrebbe portato alla sua destituzione. Ora, col permesso dell’architetto Marsiglia, io non avevo alcuna intenzione di trovarmi nella condizione di dovere rispondere di cose di cui non avevo alcuna contezza né voce in capitolo. Anzi, di cui venivo tenuto all’oscuro in maniera scientifica. Avendo capito per tempo che io, lì dentro, ero nient’altro che un prestanome, con quella lettera presentai le mie dimissioni. Potevo, no? Il prof. Pietro Mazzola non la prese per niente bene ma la cosa, si capisce, non mi poteva riguardare.

A seguito di quella mia lettera, la sera del 2 aprile 1999, venerdì santo, venne convocato il Comitato. Il professore Mazzola, furioso, inveì contro di me per tutta la durata della sua arringa agitando i bilanci sotto il mio naso. Io ripetei che avendo affidato il mio pensiero a quelle poche righe della lettera non avevo altro da aggiungere se non che, sic stantibus rebus, il Comitato non avrebbe avuto alcun bisogno di me come tesoriere, visto il ruolo a cui ero stato relegato. Avrei saputo solo un paio di giorni più tardi che tutti quei conticini in bella copia erano stati messi a posto in fretta e furia, soltanto la sera prima della resa dei conti. Non ricordo parole particolarmente veementi da parte del prof. Raimondo ma queste, rivolte non a me ma a tutti i presenti: «non penso stasera si stia onorando la memoria di Minà». Così come non ricordo sonore bastonate da parte del mitomane architetto, come da sua odierna disperata ricostruzione mentale, visto che rimase tutto il tempo in eloquente, passivo silenzio, dispensando, al massimo, sguardi torvi.

Francamente non ricordo se si sia votato quel rendiconto, non ci sono verbali, e non capisco perché mi sarei dovuto astenere o esprimere voto contrario visto che i termini della questione non risiedevano nella correttezza di esso. Ma capisco bene che ciò, pur nella sua immediatezza, non è alla portata dell’architetto Marsiglia, per il quale sarebbe d’uopo un disegnino semplificativo, ma forse rischiamo di complicare le cose.

Ancora un paio di passaggi che dimostrano l’enormità delle bugie di cui è capace l’architetto Marsiglia. La mostra, che avrebbe alimentato tante maldicenze. Scrive l’architetto Marsiglia che dei 10 milioni stanziati dal Parco, 6 milioni e mezzo sarebbero stati utilizzati per l’acquisto di tavole micologiche attribuite a Minà e acquisite il 24 dicembre 1998. In realtà le tavole costarono 8 milioni per cui ne sarebbero rimasti solo due per la mostra. Dal consuntivo allegato, si vede che le voci di spese già sostenute riconducibili alla mostra ammontano a 12 milioni, altro che economia e impegno. La mostra, diversamente da quanto raccontato dall’architetto Marsiglia, fu allestita soltanto a ottobre del 1999, quando io ero abbondantemente fuori. Questo per dire della precisione dell’architetto Marsiglia di cui neanche il laser sarebbe capace. Figurarsi il rigore scientifico della sua affermazione «il prof. Mazzola è stato accusato di avere usato con disinvolta discrezione i dieci milioni di lire». Per l’acquisizione delle tavole, il 24 dicembre 1998, erano stati spesi secondo il rendiconto solo due milioni e il contributo del Parco, (non di 10 ma di 30 milioni), sarebbe arrivato non so quando, leggendosi nell’allegato rendiconto, in corrispondenza del contributo del Parco, ACCERTATO MA NON RISCOSSO. Il 24 dicembre 1999, allora, di quali soldi spesi allegramente avrei dovuto accusare  il prof. Mazzola? Architetto Marsiglia, cci mittissi pani nna ucca!

Infine, comprenda l’architetto Marsiglia che io non sono uno storico, né uno storiografo né niente. Né mi atteggio a essere tale, non avendo alcuna necessità di apparire e, soprattutto, non «raccolgo frattaglie da terra» e neppure la mia faccia, che mi preoccupo di non perdere. Così come mi preoccupo di mantenermi scrupolosamente agli antipodi della tracotanza e della sfrontatezza di stampo craxista.

Vivo occupandomi di ciò che mi pare, nei modi e nelle forme che più mi aggradano, senza coltivare la stupida ambizione di risultare un modello per qualcuno. Tanto meno mi importa il giudizio dell’architetto Marsiglia su tutto ciò che ho pubblicato, sul valore di questi materiali, sulla loro quantità, qualità e varietà. Sono, piuttosto, assolutamente onorato di essere letto e apprezzato da tantissime persone di sicura modestia, di intelligenza e moralità forse perché ciò che scrivo, anche se a volte (o sempre) non è condivisibile, è scevro di premeditata mendacità e malafede.

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