Le Fontanelle 32 anni dopo. A cura di questi due tipi
Quest’anno, come abbiamo già detto in un nostro post di febbraio, ricorre il quarantesimo anno di attività del gruppo 2001 e il modo migliore di festeggiarlo, come è noto, è stato … non portare in scena il nostro ormai consueto spettacolo di carnevale, la qualcosa ha fatto gioire la stragrande maggioranza di voi.
Ora, poiché siamo stati assaliti da un irrefrenabile squetu, per guastare l’incontenibile gioia a qualcuno, diciamo che lo spettacolo si farà il due agosto, naturalmente di sera. O scuru. In modo da accordarlo con la O scurA gestione delle sedie che naturalmente ci saranno, se non altro perché fra i presenti ci potrebbe essere qualcuno ca si vo assittari.
Poiché – in qualche modo – ci esibiremo alle Fontanelle (per ora, capirete, non possiamo dirvi altro, anche per non sconvolgere i piani di chi fa pratica politica con le stesse prassi di chi gestisce una macelleria di basso macello), qualche giorno fa in compagnia dell’amico nostro Peppe Cucco ci siamo recati in quel posto, per noi diletto e magico, per effettuare un sopralluogo necessario alla ambientazione dello spettacolo e vogliamo parlare di questa nostra vista e di tutto ciò che la semplice visione di scheletri di muri, feriti dalla scalcinatura e insultati dall’abbandono, ci ha riportato alla soglia della memoria.
Premettiamo che delle problematiche pluridecennali legate a questo teatro, nel quale noi due siamo letteralmente cresciuti e dove idealmente siamo stati già prima di nascere perché frequentato, non da anonimi passanti ma da protagonisti, dai nostri ascendenti, abbiamo detto sempre, senza fare mai sconti a nessuno, come è nella nostra indole. Abbiamo detto, cercato di fare e, da oggi in poi, nostro intendimento è fare, senza avere mai ricoperto posti amministrativi, elettivi o di nomina che fossero..
Vorremmo ricordare, a quelli che non sanno assolutamente nulla dâ martiddratura, o che hanno la nebbia nel cervello, che nel 1999 il gruppo 2001 si fece carico di una petizione popolare per la riapertura delle Fontanelle sotto forma di cartoline individuali che vennero poi consegnate al sindaco pro tempore.
Nel 2007, ancora, in occasione della prima edizione del veglione estivo (mai denominazione fu più oscena) si pensò di risollevare il problema con una idea che, alla fine, non si poté realizzare per motivi di ordine statico e di sicurezza.
Va detto a onore della verità che l’idea di riproporre in estate le maschere di carnevale fu dell’allora sindaco Cicero, i cosi giusti ca Ddìa l’amau. O, che sarebbe ancora più giusto, unicuique suum, estrapolato da un aforisma di Cicerone. E siccome Cicerino non è tanto in tringhillanza con la lingua di Cicerone (se è per questo neanche con l’italiano, a dire il vero) ci prendiamo lo spròtico di tradurlo: “bisogna dare a ciascuno ciò che gli spetta”. Se non altro per evitare che della traduzione venga investito, con conseguenze imprevedibili, qualche intellettuale di sinistra, suo sodale.
Ma ritorniamo al sopralluogo, che è la cosa più significativa per ciò che diremo qui, ora, ma anche a partire da oggi. Queste mura così squarciate, qualche volta veri e propri brandelli di muro, producono l’effetto di un viaggio oscillatorio nel tempo, che conduce incessantemente avanti e indietro tra la crudezza dello stato imbarazzante in cui, impietosamente, si mostra oggi il teatro agli occhi di chi osserva sgomento e smarrito, diffondendo una sinistra atmosfera di morte, e i fasti ormai antichi,
ridondanti di calore, di gioia e di vita che, se ci pensi appena, sembrano soltanto di ieri. Eppure sono passati trentadue anni dall’ultima volta che “la grande madre” ci accolse nel suo ridente grembo. Appena dentro lanciamo sguardi e ovunque, anche nel più recondito e apparentemente insignificante degli angoli, rintracciamo un vivo ricordo e comincia un fitto scambio verbale tra noi sull’onda dei ricordi evocati:
“Da quell’angolo della balconata decollò l’aereo che, muovendosi lungo un cavo d’acciaio, atterrò sul palco, e da esso scese una specie di zio venuto dall’America, ricordi?”. “Sì, e ricordo anche che l’idea iniziale era di farlo decollare a pieno carico dalla balconata. Ma poi non se la sentirono di rischiare e Lorenzino vi si infilò di soppiatto quando l’aereo appalcò. Che anno era? ”. “Il 1973. L’anno di Tabaré ’73, della lampada di Wood, della sei serate di veglione, dell’inaugurazione del tunnel”. “E prima della costruzione del tunnel, ti ricordi che l’entrata era esattamente qui?”. “Sì, e ricordo anche che i giurati avevano una fila di sedie riservate, poste lungo quel muro laterale alla cui estremità si apre la porticina per andare nel retropalco”.
Ah!, il retropalco e i camerini con tutti gli aneddoti che ti permetterebbero di scrivere non dieci post su CastelbuonoLive, ma un volume di molte pagine.
Stacciando sia pure con un crivello a maglia stretta, ma prima o poi saremo estremamente analitici, possiamo dire che quel luogo, fu per lungo tempo Olimpo culturale, satirico, sociale, e relazionale di Castelbuono e della sua gente. Assurse a luogo di ritrovo di castelbuonesi di tutte le età, dove i meno giovani, dopo qualche liscio, lasciavano il campo ai picciuotti che subito ncusturavanu ballando sotto gli occhi dei genitori che, almeno lì, fingevano di distrarsi, allentando per qualche tempo i rigidi canoni a cui le coppie, a vvista o ammucciuni, dovevano ottemperare senza sgrimmiari, pena per la ragazza la reclusione in casa per mesi interi ccu finisciuni chiusi, mpazzica ssu cosa nutili passa e spassa facienni viaggi di stierru. Di certo innumerevoli furono i scaluna ca si rumpieri grazie alla calda voce di Peppe Raimondo, che fu la colonna sonora degli innamoramenti di diverse generazioni di castelbuonesi.
Difficile pensare un veglione alle Fontanelle senza Peppe Raimondo (and his Orchestra) e senza la sigla d’apertura, vale a dire la sua cover strumentale di “Sittin’ on the dock of the bay” di Otis Redding, e ancora più difficile pensare una serata di quei primi anni settanta senza che fosse eseguita “Testardo io” di Roberto Carlos o “A whiter shade of pale” dei Procol Harum propedeutiche (ma non troppo) a scaldare i cuori (ma ancor più le membra) degli innamorati.
E le coppie si stricuniavani nella pista stracolma de Le Fontanelle, complice la folla che nascondeva tutto ma che nulla poteva di fronte all’occhio-radar di don Totò Mazzola, per tutti Totò dâ lavanderia o dâ Pro-loco, indefesso organizzatore di tutte le edizioni degli anni settanta del Veglione a Le Fontanelle, e sempre alla poliziesca ricerca degli immancabili furbastri che volevano farla franca ballando senza la prescritta coccarda. Siamo fra i molti che possono testimoniare come Totò dal bar all’ingresso, anche con la sala stracolma, fosse in grado di naschiari infallibilmente un coppia ncirciddrata sotto il palco senza coccarda.
Difficilissimo ricordare un veglione senza Cesare di cui ci manca innanzitutto la verve e subito dopo la spigliatezza della sua voce calda, ironica e familiare, con la quale trasformava Le Fontanelle in un posto unico e nello stesso tempo nell’angolo più accogliente della casa di ognuno.
Proprio così, ognuno si sentiva a casa sua, una casa da condividere con altri mille, duemila e a volte anche più. E i duemila e anche più trasformavano la sala in un organismo vivente, pulsante e pullulante di persone e vita, un crogiuolo di gioie che si intrecciavano e scambiavano, dove ognuno cedeva la sua agli altri e prendeva di quella degli altri. Le mura del teatro grondavano, sudavano di passione, raccogliendo il calore che ognuno regalava agli altri. E la balconata ha fatto temere innumerevoli volte il crollo, tanta era la folla che si accalcava in essa per cogliere le scintille di quel Veglione.
Visitando quello che resta del teatro oggi, con la struttura della balconata messa a nudo,
ci è chiaro anche strutturalmente perché la balconata non sia mai crollata, nemmeno sotto l’impeto e l’entusiasmo di più di mille persone in essa raccolte: se l’aspetto esterno de Le Fontanelle poteva essere giustamente discutibile, l’aspetto strutturale della balconata è ancora formidabile e invitiamo chi ne dubitasse, compresa qualche arca di scienza, ad andare a verificare de visu. Quella gloriosa gradinata, composta e austera,
come le vecchie gradinate degli stadi dell’est europeo, sarebbe tuttora in grado di ospitare svariate centinaia di persone senza nemmeno un sussulto strutturale, tanto da suggerirci un interrogativo che intendiamo sottoporre al momento opportuno e che qui anticipiamo: perché la balconata non può restare in qualsiasi ipotesi futura, considerandone la consistenza e la forza evocativa?
Ritornando a quei tempi, ci sarebbe da accennare anche all’atmosfera festosa e chiassosa delle Fontanelle, alla sua personalità, nello stesso tempo popolare e di élite, in cui esserci era sicuramente prestigioso ma non per un presenzialismo autoreferenziale quanto per il piacere e la gioia che la partecipazione dava. Poi sentirsi parte a pieno titolo della macchina organizzativa e rappresentativa, dava una gratificazione morale che nessuna contropartita in beni materiali poteva eguagliare: “fare” il Veglione, essere riconosciuto tra quelli che lo “facevano”, entrare dall’ingresso riservato agli attori a qualsiasi ora, attraversare la sala
verso i camerini con gli strumenti, percependo che la gente (a noi interessavano di più le ragazze, com’è ovvio) ti stava guardando era già la ricompensa massima, un privilegio, per chi come noi lo viveva con sincera e ingenua passione e puro divertimento.
Certo, ci manca la Maschera, quella con la M maiuscola, quella che non si è fatta né avuta da allora, nonostante se ne siano rappresentate di molto belle, probabilmente molto più belle di quelle di allora. Ma non sono state più rappresentate, dal 1984, nella loro sede elettiva: Le Fontanelle. Chi ha vissuto quei fasti anche a fronte di maschere bellissime (e senza peccare di immodestia possiamo dire di averne fatte), non può fare a meno di dire: “Ma a Le Fontanelle …”. A sottolineare che senza Le Fontanelle, è mancato un ingrediente fondamentale: un po’ come fare la testa di turco senza scorcia, con le taralle. Può risultare buonissima ma diremo sempre: Chiddra ccâ scorcia … Ma dicevamo delle maschere, croce e delizia del nostro paese: croce per chi veniva preso di mira (in verità non tutti, qualcuno ne era divertito e si divertiva), delizia per noi che rappresentavamo la maschera e per il pubblico che la seguiva.
A proposito di chi accoglieva la “croce” con divertimento ricordiamo l’entusiasmo con cui l’indimenticabile Cristoforo Raimondo, sicuramente tra quelli che si divertivano maggiormente quando gli veniva fatta la maschera, si prestò ad essere ripreso
https://www.youtube.com/watch?v=OI-co49DlmQ&feature=youtu.be
ben consapevole di quello che poteva accadere. Quanto alla categoria che accoglieva la croce, con … fastidio quando veniva presa di mira, potremmo fare tanti esempi, ma soprassediamo per non rinverdire in loro l’antica funcia. Se qualcuno però volesse dettagli, basta che ci indichi una lettera dell’alfabeto qualsiasi, che so M, R, e gli riporteremo un aneddoto relativo a un personaggio, il cui cognome inizia con quella lettera e che non era particolarmente felice di essere oggetto di Maschera.
Poi dobbiamo dire che tra tante cose che ci mancano e che fanno l’epopea di Le Fontanelle e del suo Veglione, ce ne sono due che in realtà non ci mancano ma che ci ravvivano ricordi anch’essi struggenti per quanto a suo tempo non piacevoli: la giuria e la censura. La giuria è stata per anni e anni un veglione nel veglione, uno spunto di discussione con cui gli addetti ai lavori, evidenziavano ipotetiche combine perpetrate dai tifosi di un gruppo, tentativi basati su ogni mezzo per ottenere la captatio benevolentiae dei giurati. Tentativi che poi venivano stigmatizzati e spesso diventavano oggetto di Maschera da parte dei Gruppi che li avevano subiti. Ricordiamo che l’indimenticabile mascio Pino Spallino arrivò ad adattare la “La canzone da due soldi” (che poi divenne un tormentone tra noi addetti ai lavori), per contestare l’operato di qualcuno che a suo (ma anche nostro) modo di vedere, cercava di indirizzare la giuria. A proposito di giuria, ci capitò una volta che tale Antonio the big hand, meglio conosciuto come Antonio “mano grande”, fan sfegatato di un altro gruppo del Veglione, era rimasto fuori da Le Fontanelle. Era il martedì sera e dall’ingresso principale ormai non facevano più entrare nessuno perché il teatro era stracolmo. Così Antonio “manogrande” ci si avvicinò e con voce supplicante ci chiese: Mi faciti trasiri ccu vuatri ca arristai fora? Uno di noi due, (quello con il cuore più tenero e quindi questo esclude … l’altro, dipendendo dal quale “manogrande” sarebbe rimasto certamente fuori) fu preso da compassione e acconsentì, e fu così che Antonio “manogrande” entrò con noi. Bene, caso volle che proprio quella sera estrassero a sorte e nominassero come uno dei membri della giuria del pubblico, la sorella di Antonio “manogrande”. Un nostro amico, seduto vicino alla sorella di Antonio, ci testimoniò che dopo la rappresentazione della nostra maschera, prima della votazione, Antonio si avvicinò alla sorella e le disse, con tono perentorio: A chissi dacci quattru. E così il cuore tenero di uno di noi ci procurò l’unico 4 tra tutti i voti altissimi di quella sera, guadagnato al prezzo di una buona azione!
E che dire della censura che tanto ci atterrì all’inizio della nostra storia e che addirittura ci bocciò la rappresentazione di una maschera “Pezzi grossi al confessionale”
in cui avevamo raccontavamo le confessioni dei personaggi in vista di allora a Patri Pauli. Il fatto che quella censura fosse stata strumentale diventò certezza l’anno successivo, quando la stessa maschera, senza alcuna modifica – allora ciò era possibile perché fatti e persone parodiati nella maschera erano più sugli aspetti caratteriali, meno mutabili, mentre ora non sarebbe più fattibile perché la maschera affronta soprattutto l’attualità – fu presentata (con qualche aspetto caricaturale)
senza problemi di censura e con notevole successo. Allora non era infrequente che si chiudesse il sipario con la maschera in corso, se di contenuto difforme rispetto a quello passato al vaglio della censura.
Questa visita estemporanea alle Fontanelle pur facendoci dondolare lievemente attorno a tanti flashback non ha avuto l’effetto di un nostalgico tuffo nel passato tout court anzi è riuscita a rinfocolare entusiasmi sopiti e nuove speranze. Da questo momento noi staremo alle calcagna di chi ha il dovere di fare tutto il possibile, e anche più, perché Le Fontanelle – come l’araba fenice dalle sue ceneri – possa risorgere a nuova vita e al vecchio splendore.
Ma attenzione: dobbiamo pretendere che chiunque riprenda il progetto per portarlo a termine, oltre a rispettare doverosamente i regolamenti normativi, chieda e rispetti anche il parere di chi ha vissuto davvero l’esistenza passata di “Le Fontanelle” perché aiuti a cogliere quegli attimi fuggenti che hanno creato il mito, si faccia contagiare dall’entusiasmo e la gioia di chi vuole rivivere il nuovo Le Fontanelle quando rinascerà (perché rinascerà , ne siamo certi. O se rinascerà!). Bisogna che tutti abbiamo chiaro che se il progetto che verrà non avrà ciò che ai castelbuonesi serve e si aspettano, sarà meglio livàricci manu perché è preferibile, ci duole il cuore ma paradossalmente è così, lasciare Le Fontanelle come un rudere mantenendo almeno la gioia della speranza del domani migliore, anziché realizzarlo come un mostro spersonalizzato e inservibile, ottenendo solo lo sconforto della realtà quando questa si rivela inutile o insufficiente.
E in questo senso forse non tutti i mali vengono per nuocere: il progetto ormai tramontato è bene che non abbia visto la luce dato che aveva tutti i presupposti per diventare un aborto irreversibile. A partire dall’assenza della balconata, anima popolare del vecchio teatro seconda edizione che – ne siamo quasi certi – ha i presupposti per rivivere nel rispetto dei crismi regolamentari e di sicurezza regalando al nuovo Le Fontanelle l’indispensabile respiro minimo di folla di spettatori senza di cui rischia di diventare un vuoto simulacro del nulla.
E noi il nulla lo lasciamo agli altri e non lo accetteremo mai né per noi, né per i Castelbuonesi, né per Le Fontanelle.