Lessico politico castelbuonese
Nelle due ultime settimane il dibattito politico locale è stato alimentato dallo scambio epistolare intercorso, soprattutto per via telematica, tra il capogruppo di minoranza e il sindaco. Le due missive, più propriamente un florilegio morfosintattico, impreziosito da diversi commenti, anch’essi di adamantina purezza stilistica, forniscono la ghiotta occasione per affrontare un tema – quello degli strafalcioni – che da sempre ha stuzzicato la curiosità di molti. Se Fiasconaro nel suo componimento, tutto sommato, si è contenuto in quanto a svarioni, il sindaco, viceversa, non ha badato a spese e alla fine la sua produzione scritta è almeno di pari livello rispetto a quella del Baudelaire dei “Paradisi artificiali”, storico e celebrato inno alla potenza creativa degli oppiacei.
Già l’incipit “Quando ho terminato di leggere il comunicato in cui, il Capogruppo […], mi addita come Pinocchio, ho subito pensato che, mai avrei potuto immaginare che egli si potesse rapportare alla stregua del […]” è un riff di incidentali e di pronomi relativi che è l’equivalente in prosa del tambureggiante inizio di Sympathy for the devil dei Rolling Stones.
A parte il contortissimo periodo del secondo capoverso, che obbliga all’uso del filo di Arianna per non perdersi nel dedalo di incidentali e subordinate, è nella parte finale, dove si dice “La vera mancanza però, va riscontrata nelle sue parole sul senso e sul rispetto delle Istituzioni che, dovrebbe sapere il Capogruppo Fiasconaro, prima avviene nella vita, nei confronti degli altri e del lavoro che tutti svolgono, altrimenti non si può avere per le Istituzioni tutte”, che si avverte una sensazione analoga a quella provata da chi ha imboccato una delle numerose strade dell’agrigentino, che partono e non vanno a finire da nessuna parte. E dire che al sindaco, solitamente, non capita di impantanarsi in questo modo anche se, di quando in quando, qualche svarione lo ha fatto registrare. Per esempio, recentemente, per due volte nel giro di pochi minuti, parlando di Francesco Minà Palumbo lo chiamò Francesco Maria Raimondo.
C’è un libro di Guido Quaranta, storico giornalista de L’espresso, significativamente intitolato “Scusatemi ho il patè d’animo” che raccoglie sciocchezze dette o fatte dai personaggi più o meno importanti conosciuti nel corso della sua lunga carriera di giornalista parlamentare. Chiaramente tutti abbiamo commesso delle gaffes o preso degli scivoloni lessicali ma – dice Quaranta – “ho sempre notato che molti sarebbero curiosi di sapere se dicono strafalcioni, prendono topiche o commettono gaffes anche coloro che ci governano, ci amministrano e fanno le leggi. Confesso (anch’io, al pari di Quaranta) che questa curiosità ha contagiato pure me e, piano piano, ho raccolto diversi aneddoti, autentici, inediti e anche piuttosto divertenti”.
Per quanto mi riguarda ho cominciato a scuola, grazie a una preside che, da sola, avrebbe contribuito ad ampliare enormemente il nucleo primigenio di questa raccolta. Iniziò con una lapidaria lettera alla segretaria, andata in ferie un paio di giorni prima, di questo tenore: “la signoria vostra è pregata di riassumere servizio per motivi di servizio” e non si fermò più, al punto che non fu possibile raccogliere tutti i suoi preziosismi linguistici per via della folle frequenza alla quale si succedevano. “Preside, dove ci mettiamo per questo incontro?” “professore non faccia domande importune, classi ce n’è ad abundans”. Naturalmente, da laureata in lettere, sapeva meglio di chiunque altro che la preposizione latina ad regge…… il nominativo (come no!). E nel corso di un collegio dove si continuava a rimuginare su vecchi attriti: “Qua facciamo sempre pestare il mortaio, mentre il professore (arrivato, ahilui, da pochi giorni) vuole sapere una retroguardia di questo discorso”. La retroguardia, in verità, era un resoconto.
Altre le ho raccolte in giro per il paese. Un noto personaggio, ormai appartenente al passato, aveva la rara capacità di imbastire frasi con termini di significato spropositatamente improprio. Il top fu raggiunto allorché disse: “i medici hanno fatto la loro diocesi” e subito dopo sentì di dovere comunicare ai presenti che “Monsignor Catarinicchia è stato proclamato vescovo della diagnosi di Cefalù”. E a una cliente che si mostrava un poco scettica per via del colore giallo decisamente vivo di un certo capo le disse: “signora, guardi che quest’anno il giallo è in grande vigore”.
Le vere bucce di banane, che determinano spettacolari scivoloni con conseguenti culacchiate, sono però le citazioni e tutti ne abbiamo incontrata almeno una sul nostro percorso, anche chi ritiene che il sapere si possa misurare ostentando citazioni. Come quando gli capitò di citare Virgilio scrivendo “si licet parva componere cum magna” (macroscopico parva plurale e magna singolare) invece di “si parva licet componere magnis” o, più recentemente, di parlare del “Canto di un pastore errante per l’Asia”. Peccato che Leopardi abbia parlato di un pastore errante dell’Asia.
Ma, dal momento che la presente puntata trae ispirazione dalle lettere dei giorni passati e la gente mostra curiosità (chissà perché) per gli strafalcioni dei politici, “per ovviare alle discussioni ed entrare subito nella discussione”, anzi nella “discursione”, di seguito viene proposta una antologia di brani scelti raccolti in consiglio comunale, o in “concessi politici comunali” (è stato detto anche questo) da alcuni amici e, in parte, da me.
Il primo strafalcione di cui si conserva memoria si deve a un sindaco (vi deluderò, ma non è il sindaco a cui state malignamente pensando) il quale, per ricordare al consiglio e alla giunta che in ordine a un provvedimento preso sarebbe stato inflessibile, soleva dire “su questo sarò intransitabile”. E poiché era una persona intelligente, scherzosamente continuava a ripeterlo anche dopo che gli suggerirono che avrebbe dovuto dire “intransigente”.
La consiliatura (ammesso che si possa dire, ma non certamente la “legislatura”, come un navigato politico locale continua a dire, dato che il consiglio comunale non promulga leggi) 1985-90 fu l’ultima per l’ingegnere Guarcello, che era stato anche sindaco fra il 1968 e il 1969. Una sera l’ingegnere si produsse in un intervento iper tecnico sulle briglie del fiume san Calogero. Alla fine l’anziano consigliere, spossato dopo una lunga giornata di lavoro a Palermo, si mise a sedere e si appisolò. Seguirono altri interventi sul tema finché fu la volta di un consigliere, ancora in erba ma che già allora mostrava di essere particolarmente a proprio agio con la lingua italiana, il quale così esordì: “Come ha detto l’ingegner quasi Guarcello…”. L’ingegnere aprì di colpo gli occhi, inarcò le sopracciglia e disse abbastanza contrariato: “Senza quasi”. E si riappisolò.
Ma i terreni di coltura ideali degli strafalcioni, la loro culla naturale, sono senza dubbio i comizi. Un oratore dalla voce particolarmente pastosa, trasportato dall’enfasi per la profondità del concetto che stava esprimendo disse testualmente: “io ho colto in quel suo dire ciò che ho colto tante altre volte all’inizio di una rivoluzione sociale. Io vi ricordo che Vycpalek s’è dato fuoco a Praga”. Ora Cestmir Vycpalek diede fuoco sì, ma ai cuori dei tifosi della Juventus allorché vinse due scudetti consecutivi, nel ’72 e nel ’73 mentre lo studente che si diede fuoco in piazza san Venceslao a Praga nel gennaio 1969 si chiamava Jan Palach. La differenza è minima ma sostanziale. Financo uno dei decani dei comizi, una sera, fu indotto in gaffe dal diletto microfono. Presa la parola, si accorse che il dannato gracchiava maledettamente per cui, rivolto al pubblico, si sentì in dovere di avvertire: “scusate ma qui c’è cacofonia”. Certo, cu un ci passa un ci cridi, ma salire sul palco e misurarsi con un microfono che sembra dirti: avà, parra! e migliaia di sguardi puntati deve essere un’esperienza che sega le gambe. E qualcosa del genere deve essere accaduto a un oratore che, profferite una mezza dozzina di parole alla rinfusa, alla settima disse: “passo la parola perché non riesco a connettere il mio pensiero”. La piazza dei comizi è una brutta bestia, sia quando è vuota, sia quando è stracolma. Così una oratrice chiudendo, alle amministrative del 2002, la campagna elettorale per il suo partito, al cospetto di quella folla si sentì di esternare tutta la propria meraviglia per quella piazza “così grèmita di gente”. Ovvio, la parola era piana, lei la rese sdrucciola e scivolò. Invece, qualche mese dopo, sempre â chiazza nnintra ma non in un comizio, un suo insigne collega, allora sulla contrapposta sponda, oggi dalla stessa latata, forse perchè convinto che l’accento, in definitiva, è meglio posporlo che anteporlo, a proposito dell’arredo natalizio appena approntato, ebbe a dire, soddisfatto della realizzazione: “abbiamo dato un colore aùreo, perché il cielo stellato è di colore aùreo”. Effettivamente Kant deve essere rimasto affascinato dal cielo stellato sopra di sè proprio per averlo visto di colore aùreo.
Ma non è solo â chiazza nnintra, da sempre luogo di accese “discursioni” politiche, che si ha il privilegio di sentire il consigliere tal dei tali rassicurare gli astanti che “con la nostra azione politica non dobbiamo dare alito ad insinuazioni” o il politologo bene informato delle ultime novità affermare che “il nostro collegio elettorale è frainteso fra la Vicari e Miccichè”. La prosa aulica dei politici locali, infatti, ha trasvolato l’Atlantico ristorando persino gli italiani di Little Italy: “Cari castelbuonesi d’America noi siamo ai settimi cieli per essere qui con voi”. E così di perla in perla fino ai brillanti: “il Centro Civico è il nostro punto di diamante”.
Prendendo a prestito le parole di un illustre consigliere, autentico mago della citazione, possiamo dire, “a posteriori e non ad anteriori”, che quella fu veramente una stagione di grande dinamismo e movimento. Infatti, come si può leggere in una relazione semestrale vergata dal massimo artefice di quel formidabile ventennio: “noi non siamo stati mano nella mano: ci siamo mossi”, “abbiamo attenzionato la pratica con grande parsimonia”, “abbiamo presentato un cospiquo parco progetti”, “abbiamo nominato un commissario ad hacta” e “sul lavoro nero faremo una brusciù”.
Nel corso della relativa discussione in Consiglio, il consigliere delle citazioni così argomentò: “Ci sono aspetti legati al carattere caratteriale di ciascuno di noi, ma in queste cose ci vado a lume di candela. E questi fatti detti a verb volant mi sembrano un inciucio di impulsività. Perché, come ha detto il collega praticamente Città, per parlare bisogna avere presente il collettivo cartaceo [trad: l’insieme delle carte. Il consigliere Città si era espresso diversamente]. Mi scusi, ma era scevro da me di volere fare polemica”.
Parlare in pubblico costituisce pur sempre un rischio anche per chi ha alle spalle robusti corsi di studi. Così in occasione della ricorrenza del 550° anniversario dell’arrivo della reliquia di sant’Anna a Castelbuono, un amministratore ebbe a dire: “ci siamo mossi per intercettare la casa madre”. Per carità, niente di divino. Ma qualcuno lo pensò davvero, avendo quell’amministrazione le potenzialità per arrivare in cielo e anche oltre. Invece, ci si riferiva ai contatti che avevano cercato di instaurare con l’Ordine delle figlie di sant’Anna. Quando il sindaco aggiunse che il clou della manifestazione sarebbe stato nella “Cappella Paladina” tutti capirono a che cosa si stava riferendo.
E’ noto che, per diverso tempo, tenne banco negli ordini del giorno del Consiglio Comunale il problema della discarica e dello smaltimento dei rifiuti, risolto poi con la genialata degli scecchi. Per come si pose all’inizio, il problema fu drammatico. Il sindaco, bisogna dargliene atto, in consiglio cercò di rassicurare maggioranza e opposizione: “Castelbuono in tal senso si sta operando con delle iniziative”. A scoppio ritardato fu interrotto da un consigliere: “ma le iniziative che lei parlava quali sono?”. “Consigliere” – rispose il sindaco – “la Provincia la avevo invitato ad essere super partel, ma non è stato così. Noi, comunque, dai rifiuti faremo la concime”.
Il vero problema, però, era e rimaneva quello della discarica. Un consigliere di opposizione disse con eloquio greve: “il problema deve essere risolto, non si può indurre più” e un collega di parte avversa propose costruttivamente: “sediamoci su un tavolo e discutiamo sulle soluzioni possibili” trovando conforto nella constatazione fatta a voce alta da un compagno di schieramento: “Sì, dobbiamo uscire da questo inceppo”. Ma lo scavezzato consigliere delle citazioni esplose seccato: “Colleghi!, in questo Consiglio si lavora sempre a runfare. Qui ci stiamo cervellando su questo discorso. La verità è che l’Amministrazione in questa vicenda sta andando molto a tampone”.
Chiaramente il problema della discarica era legato all’impatto ambientale perché, rimarcò il consigliere dall’eloquio greve, “se si fa un grosso impatto il rischio che si corre è che la struttura vada in collasso e se la struttura vada in collasso…”. Il consigliere del tavolo intervenne subitaneamente in suo sostegno: “Quello che dice il collega è vero, perché sono stati pavimentati seri rischi in tal senso”.
Quando è capitato di dovere fare riferimento ad aspetti della fisica, ciò è accaduto fortunatamente solo rare volte, nell’aula consiliare è stato buio pesto. Una volta si sentì affermare con sicumera che una certa antenna “trasmette con la potenza di 6 ohm al metro” (mentre è noto a tutti che qualsiasi potenza si misura in Watt) e in un’altra circostanza, da parte di un altro consigliere, che “per attivare quel defibrillatore c’è un voltaggio di tantissimi ampère”, la qual cosa dimostrò ampiamente che fra amperaggio e voltaggio quel tale non si trovava per niente a suo agio.
Ma, a parte le insidie tese dalla fisica, è sempre la lingua italiana a mietere il maggior numero di vittime. Una sera un vicepresidente del consiglio dovendo sospendere temporaneamente la seduta comunicò: “prima di andare in pausa vorrei dire una cosa”. La disse e stranamente la sintassi non sussultò. Poi, alla ripresa della seduta, dal momento che molti indugiavano “sulla sogliola” della porta d’ingresso, il vicepresidente li richiamò: “si invitano i signori consiglieri a prendere posizione”. Presero posizione, nel senso che ognuno sedette al proprio posto, ma siccome le varie posizioni sul punto da votare erano distanti, in aula continuarono a parlare a gruppetti e il mormorio produceva un fastidioso rumore di fondo che disturbava il parlare del vicepresidente il quale a un certo punto sbottò: “signori consiglieri, silenzio!, qui c’è un po’ di cacileccio!”, interpretabile solo come metatesi di cicaleccio.
Nel corso della stessa seduta, prese la parola un consigliere che solitamente parlava unplugged, cioè senza microfono. Il vicepresidente premuroso lo interruppe dicendogli: “prego consigliere, si avvalga del microfono perché non si sente” e questo al primo come persona accorta: “no, grazie presidente, non c’è bisogno, sa, io ho la voce ridondante”.
Sull’efficienza delle commissioni consiliari qualcuno è intervenuto assicurando che la commissione di cui faceva parte aveva “esautorato il suo compito”, una frase che farebbe la felicità di ogni filosofo del linguaggio. Un altro affermò “voglio scagliare una pietra in favore delle commissioni”. E finì bene perché non si registrarono feriti.
Sul tracollo dell’agricoltura e della pastorizia rimase memorabile il laconico de profundis pronunciato dal consigliere del tavolo: “il mondo silvio pastorale comincia a scemare”. A queste parole, un collega di avverso schieramento, indotto a controbattere, non poté che rispondere: “adesso non so che dire perché non ho preso appunti ma se mi chiedete, sono disposto a rispondere a seduta stante”. In questo clima da parnaso italiano anche i meno avvezzi allo strafalcione finirono col farsi contaminare al punto che un consigliere che non sbagliava quasi mai finì col dire “questo è un acronisticismo”. Evidentemente anacronismo gli sembrò poco adatto in quel salotto letterario.
Le tante sedute consiliari dedicate, dal 1995 in poi, allo spinoso problema del piano regolatore si svolsero tutte in un clima particolarmente arroventato nel quale proliferarono strafalcioni di ogni sorta. Partì il consigliere dall’eloquio greve avvertendo: “Guardate che questo piano regolatore è come una donna incinta, poi nasce il nascituro e nasce deformato” e dai banchi dirimpetto si sentì rispondere: “Lei può dire quello che vuole, ma io condivido prettamente la politica che questa amministrazione sta facendo sul P.R.G.”. Al che il Nostro ribatté: “Io penso di essere stato calpestato nei confronti dei progettisti che hanno disatteso le aspettative del consiglio e dei cittadini. Noi ora possiamo fare molto di meglio”. Ed effettivamente molto di meglio fece il presidente del consiglio il quale, giustamente, invitò i consiglieri ad essere concisi negli interventi. Ma non disse “siate circoncisi” (come voi state malignando) bensì “siate coincisi”, che è un bella variazione sul tema.
L’argomento P.R.G. richiese, naturalmente, anche un lungo e appassionato lavoro in commissione. Qui, si parlò di “quartieri ad alta intensità abitativa” e di piano particolareggiato che “quando lo andremo a determinare, lo determineremo con tutti i carismi”. Vi furono elogi, segnatamente dell’assessore al ramo nei confronti di un componente: “l’architetto è sinergico nel ragionamento” e di un consigliere verso un collega che “ha dovuto intermediare” fra le parti. Ma soprattutto vi furono scontri senza sconti per nessuno. Era stata presentata una proposta che l’opposizione non accettò e per questo dalla maggioranza accusarono: “sul piano regolatore voi dell’opposizione state facendo il gioco del nascondiglio”. Uno dei puristi della lingua di opposto schieramento ribatté: “lei non sa neanche quanto è lunga la O col bicchiere”. Chi aveva avanzato la proposta non accettata si sentì più che responsabile di ciò che stava accadendo e cercò di sedare gli animi dicendo: “scusate, io avevo una proposta e l’ho eternalizzata, cioè esternalizzata”. Poiché si trattava del primo errore in assoluto, qualcuno sghignazzò in maniera irriguardosa. A questo punto il consigliere del tavolo non trovò di meglio che proporre: “Vediamo cosa dice il Zanichelli”.