Lettera aperta alle Sorelle Clarisse e alla Comunità di Castelbuono

(Di Domenica Conoscenti) – Care sorelle clarisse, la pace sia con voi! Ieri sul sacrato del convento del Monastero, ex convento dei Cappuccini, come è stato sottolineato, è stata celebrata la messa per il vostro venticinquesimo anno di arrivo a Castelbuono, alla presenza del Vescovo, dei Parroci e di Padre Antonio Raimondi della Comunità di Gibilmanna, unico frate cappuccino. 

C’eravamo anche noi, semplici fedeli delle diverse comunità parrocchiali e alcuni componenti del Terz’ordine francescano. In sintesi forse c’eravamo tutti, in rappresentanza. Nei venticinquesimi in genere si festeggia la sostanza di un’esperienza che dura e la memoria di un ricordo, di un inizio. C’eravamo anche allora, venticinque anni fa, me lo ricordo bene e siccome credo nella memoria e nella sincerità, voglio con questa lettera dare voce ai sentimenti che ieri ho provato, e sono sicura che come me alcuni dei presenti abbiano provato.

Perché è vero il parroco, in questo caso Don Marcello, si è fatto voce della comunità nelle sue parole augurali, ma a volte noi laici abbiamo bisogno di esprimerci anche direttamente, personalmente. Venticinque anni fa ero a piazza San Francesco, insieme a tanti, era appena finito un concerto e Padre Remigio, allora Padre guardiano del convento e per tanti di noi una sicura figura di rifermento religioso e culturale, ci avvicinò; eravamo un gruppetto di giovani che vivevamo praticamente in convento dove facevamo tante attività, il coro polifonico, l’Aresc, l’animazione, i convegni, i ritiri.., e ci chiese: ” Cosa ne pensate se ospitiamo nel Convento una comunità di suore clarisse?”

Ci siamo messi a ridere increduli: “ma come suore clarisse, intendi suore di clausura?” Evidentemente quella di Padre Remigio non era una domanda, era una di quelle decisioni già prese in altro luogo che vogliono apparire condivise. Ricordo la sensazione di doccia fredda che all’improvviso sentii alle spalle, uno stupore improvviso, un no sussurrato, ingoiato dalla consapevolezza che ormai nulla avremmo potuto fare e che la nostra storia e quella di tante altre persone, da sempre vissuta intensamente in quel luogo, sarebbe cambiata irrimediabilmente.

Non abbiamo avuto il tempo di salutare i nostri cortili, il refettorio dove tante volte avevamo cucinato e fatto festa, il salone grande al primo piano dove si svolgevano le prove del coro, le attività con i ragazzi, le feste, i convegni che tanta partecipazione e interesse avevano sollecitato in tanti altri giovani e non, i corridoi, la lunga scala che portava su, la cappelletta con i vetri dipinti da Maria, il balcone lungo che si affacciava sul Castello, e le salette degli incontri, e la stanza con il camino e la palestra grande e il roseto di Pino Bonafede e ..all’improvviso la separazione, delle cancellate hanno inghiottito tutto, intrappolando lì dentro i nostri ricordi più belli di bambini, di giovani, di giovani adulti. Care sorelle ancora oggi, ve lo confesso, fa male. E forse voi là dentro ogni tanto avete sentito l’eco delle risate, delle urla dei ragazzi, il vento delle tonache dei monaci che correvano giocando a gatto e topo con i bambini che dovevano nascondersi nei quattro angoli del cortile, i canti, i mormorii delle preghiere silenziose, le note delle chitarre, le novene, i campi scuola, i canti degli scout, le catechesi di Padre Filippo, l’estate ragazzi, il via vai di gente..in cammino.

Voi avete portato il vostro sorriso di donne di fede, il vostro carisma contemplativo e la vostra donazione ai fratelli che vi hanno chiesto aiuto e soprattutto quella presenza orante tanto bella che stimola alla profondità e tutti ve ne siamo grati. Ma vedete ieri mi sarebbe piaciuto che qualcuno ricordasse che prima di questa nuova storia c’è stata un’altra storia, altrettanto bella, forte, incisiva per tutta la Comunità di Castelbuono e sarebbe l’ora di alzare questa coltre di silenzio su un’esperienza che ha visto I frati cappuccini e in particolare il nostro amato Padre Domenico protagonisti fondamentali e ineguagliabili di quella storia. Non so se e quando questo succederà, non so quanto di questo silenzio siamo tutti colpevoli, compresa la sottoscritta, ma oggi il mio cuore è più leggero perché l’ho detto, non tutti abbiamo da subito accettato con apertura la vostra presenza in quel luogo, che non era un convento chiuso e inutilizzato, ma piano piano abbiamo provato a trovare un senso a ciò che la vita a volte ci propone senza chiederci il permesso, ad apprezzare la vostra realtà. Aiutateci a comprenderla ancora di più e a fare pace con il passato. Auguri sinceri e un abbraccio dal profondo a voi e al caro Padre Domenico… ovunque tu sia. Mimma Conoscenti

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