“Lina la Talpa e l’Acqua” un racconto di Francesco Di Garbo

Proponiamo di seguito un racconto di Francesco Di Garbo:

Francesco Di Garbo, 1960, Castelbuono (PA).

Autodidatta con Laurea in Filosofia.

Dal 1990 Bibliotecario per il Comune di Milano.

Dal 2022 esodato volontario dedito allo studio e alla scrittura.

LINA LA TALPA R L’ACQUA

(Di Francesco Di Garbo) – Al mondo, che io sappia, ci sono solo due modi per andare in profondità. Il primo è quello umano di carattere spirituale. Riguarda quelle persone che non si limitano e non s’accontentano della semplice superficialità d’acchito e sono capaci d’essere profonde con sé stesse e verso gli altri; in pratica della profondità ne fanno una questione di vita. In genere questa virtù è prerogativa di artisti, filosofi, poeti, i quali hanno questa facoltà quale dote d’essere quelli che sono. Infatti, si dice che una poesia, un quadro o una lezione sono molto più belle e interessanti quando sanno toccare le corde dei fruitori sino nei remoti recessi dell’animo. Ma anche un falegname, un parrucchiere o un gelataio nella loro precipua arte possono essere profondi quando fanno il loro lavoro con passione e amore. Il cosiddetto tocco del maestro consiste proprio in questo. Poi ci sono tutte quelle persone profonde nei sentimenti, e in genere lo sono quando sanno ben relazionarsi con gli altri. Cooperare è meglio che competere.

Un certo modo d’essere profondi lo si può ritrovare anche nei cattivi, nei delinquenti; questi lo sono in senso strabico verso quelle persone a cui vogliono bene, ma non lo sono in toto verso la natura umana in senso lato. Perdipiù essi sono profondi vivendo in forte contraddizione con sé stessi e ciò comporta una montagna d’ostacoli nella coerenza ad essere profondi: di fatto sono incoerenti! Di suo la contraddizione è superficiale a priori e a prescindere. Essa è sintomo di non profondità in quanto si prendono le cose, i fatti e i comportamenti alla leggera in base ad una distorsione logica alquanto perversa. Ci possono essere delle eccezioni ovvio, ma sono come le mosche bianche, e in base a fattori contingenti ed eccezionali. In genere, queste, sono persone che sopperiscono alla perversione dovuta all’incoerenza con la profondità solo e soltanto per chetare i morsi della coscienza sporca, come la filantropia compassionevole.

Il secondo tipo di profondità è quella materiale. Essa consiste nello scavare sotto la crosta terrestre con cunicoli e gallerie per realizzare miniere, pozzi, metropolitane etc. Però questa attività non è un’esclusiva umana in quanto anche alcune specie di animali ne hanno fatto una ragione di vita e si adoperano in tal senso a creare cunicoli e gallerie nel profondo della crosta terrestre. Formiche, topi, talpe, vermi serpenti etc. ce l’hanno nel Dna per la loro sopravvivenza.

Ora, ciò non toglie che l’uomo di suo senza l’ausilio di alcun mezzo motorio non possa volare spiritualmente alto, però è bene tenere i piedi ben piantati a terra con dovuta circospezione, altrimenti se si dovesse cadere dall’alto senza avere i piedi per terra lo schianto avrebbe conseguenze mortali. invece coi piedi per terra si possono limitare i danni.

Io personalmente, talpa di nascita e costituzione, adoro andare sia in profondità quanto in superficie, sempre con debita precauzione. Infatti onde evitare equivoci e malintesi, per una migliore e appropriata sicurezza personale, per togliere il disturbo ai tanti seccatori che vanno porta a porta, controlli e restrizioni preferisco essere invisibile a costoro perniciosi cacciatori umani di frodo, quindi ho risolto il problema costruendomi la mia personale tana sottoterra.

Con questo non voglio affatto dire che mi trovo in una bara a marcire al cospetto dei vermi; non creiamo equivoci per carità. D’altronde nella mia reggia sottoterra mi ci trovo a meraviglia essendo arredata ad hoc per tutte le esigenze primarie, secondarie e terziarie; e qui mi fermo per non andare oltre il quaternario. Ci sto comodo al calduccio con tutte le comodità del caso, beata come un pascià. A meno che… beh a meno che  non mi sfrattino naturalmente. Devo confessare, a denti stretti, che sono mezzo abusiva stando agli standard umani. O meglio abusivi sono gli uomini; io in quanto talpa sarei venuta prima al mondo, ma loro vogliono così, e loro comandano. Ultimamente è già successo due volte, ahimè, nel giro di un anno purtroppo. Neanche tempo di trovare una nuova sistemazione e ‘tà eccoti di nuovo a spingere il carrello della spesa con i miseri averi raccattati in fretta e furia e dover sloggiare.

Il problema fastidioso è che ogni volta devo ricominciare da sottozero, sottoterra, e non vi sto a dire con quanto enorme dispendio di energia e di tempo maledettamente prezioso: maledetti! Maledetti lor-signori! Devo ricostruire gli ambienti, sistemare le suppellettili, stendere la moquette e via dicendo: cucina, salotto, camera da letto; in ceramica, in massello o in cachemire dipende dai gusti che ho al momento. Del bagno per fortuna non ho bisogno, i bisogni li lascio all’esterno dove capita capita. E non ho bisogno di lavarmi se non nel fiume quando lo devo attraversare. Di pulito sono pulitissima, ci mancherebbe essendo la regina dell’igiene totale. Non parliamo poi della toeletta, quella non la faccio mai e la trovo disgustante per certi versi; ma da femmina capisco le donne che la usano con moderazione e non per camuffare i difetti di natura. Infatti quello che odio sono gli imbelletta-menti, le ciprie, e tutto il make up eccessivo di stampo maschile. Comunque da noi il metodo “Nature” è automatico, non ha bisogno di aggiunte varie: “Più naturali si sta meno affettati si è, e più attraenti si risulta in società”. Dice bene il detto: “Se mettessi il rossetto mi rinchiuderebbero al Cerletti”. Comunque quella delle talpe è una società aclassista e non ci sono differenze di genere, di razza, di colore e similari. Anzi nel nostro vocabolario non esiste neppure la parola “differenze” inteso nell’accezione semantica di profonda discriminazione tra gli uni e gli altri. Non guardiamo l’apparenza, ci piace la sostanza!

Come dicevo nell’ultimo anno sono stato sfrattato due volte da casa mia, con tanto d’invasione abusiva che se ci fosse un diritto per gli animali vincerei la causa alla Corte dell’Aia a mani basse. Purtroppo non c’è modo di rivalersi e dobbiamo soccombere. Costretti a sloggiare, e senza preavviso per giunta come diritto naturale vorrebbe. Ma la natura viene solo violentata di brutto proprio perché non può opporsi naturalmente. Così avvenne che una mattina stavo stiracchiando i muscoli nel giaciglio paglia e fieno, quindi mi sono avviata dritta dritta in cucina per la colazione che un certo languorino mi piglia di brutto appena alzata. Mi giro intorno tranquilla giusto per vedere se è tutto a posto, alzo di fuori la testolina in superficie a pelo d’erba, come il periscopio di un sommergibile, per buttare un occhio come vedetta comanda, e considerata la bella giornata frizzante primaverile che fuori si sta d’un bene eccellente faccio un profondo respiro a pieni polmoni, dopodiché sono andata nell’angolo cottura. Preparavo sul fuoco un pasto frugale e nel frattempo lavavo qualche stoviglia della sera precedente. La cena era stata succulenta grazie a delle ghiottonerie racimolate a sbafo per tenere buono l’equilibrio dell’ecosistema. Arraffo a mio piacimento senza che nessuno riesca a beccarmi. Satolla e spensierata dopo colazione lavavo ad acqua corrente piatti, padelle e bicchieri in mezzo allo sciabordio del rubinetto. Ho fatto una deviazione per un allacciamento abusivo dalla rete idrica per non pagare il canone e nessuno se n’è accorto; tutto pulito, fatto bene, liscio come l’olio. La nostra colonia è debitrice di cotanta ospitalità gratuita tra Ponte Secco e San Calogero. Prima abitavamo aldilà del fiume verso Stalluzze. Ma lì il terreno era troppo duro e poco prolifico, allora abbiamo deciso di fare il salto del Rubicone passando nella sponda opposta. Devo dire che mi ci trovo molto bene e sono parecchi anni che stiamo di qua.

Quindi tra lo sciaguattio dell’acqua nel lavello, non ho la lavastoviglie perché ancora non è arrivata la corrente elettrica dalle mie parti, e lo sfrigolio metallaro ad un certo punto ho iniziato a sentire un rumorino in sottofondo. Vago, quasi impercettibile, se non fosse che l’udito mi funziona a meraviglia per ovvie ragioni di sopravvivenza non l’avrei sentito. Col passare delle ore e dei giorni il tedioso rumore si fece più persistente e intenso, tuttavia non mi capacitavo cosa fosse di preciso nonostante facessi indagini approfondite, anche in superficie. Non si vedeva niente di strano o di anomalo nei paraggi. Un pomeriggio un leggero tremolio scosse tutta la reggia, pensai si trattasse di un leggero assestamento del terreno dovuto a qualche strano motivo, come quelle scosse minime che ogni tanto capitano anche dalle mie parti. In passato ne sono capitate, tipo una trivella per saggio o fondazione, o qualche escavatore. Pensai dunque ad una cosa passeggera e non gli diedi peso, ma feci male i conti e non ebbi la lucidità mentale necessaria per realizzare subito di cosa si trattava. Infatti il tremolio e il rumore non la smettevano mica di cessare: cominciai a preoccuparmi un po’. Indagai ancor di più ma niente. Poi all’improvviso nel giro di niente mi resi conto che una frana era in corso in quella zona e veniva indefessamente e inesorabilmente nella nostra direzione.

“Oh cazzo! Oh merda! Che minchia è ‘sta cosa? Chi sono questi? Cosa vogliono?”. Un putiferio di domande presero a frullarmi vorticosamente. Tanto che la frana me la sentivo già quasi dietro il culo. Una sorta di countdown s’impresse nell’aria e sebbene ci fosse tempo a sufficienza dovevo sbrigarmi a trovare un exit strategy, essendo ormai ad un punto di non ritorno. Sbaraccare subito, l’imperativo si palesò. Se vogliamo mantenere il vantaggio bisogna darsi da fare. I nostri denti sono buoni aguzzi e incisivi atti a scavare in modo lento e ordinato, ma non di diamante come la talpa per le gallerie umane. Che se avessero la punta brillante al buio i nemici ci scoverebbero subito.

Non ci fu nemmeno il tempo di prendere le poche cose senza valore, bensì importanti, e abbiamo dovuto lasciare baracca e burattini al loro destino. Ho svegliato in fretta e furia i miei tre pargoli per metterli al lavoro insieme a mio marito per scavare, scavare, scavare alla ricerca d’una via di salvezza. Facevamo a turno h 24 in continuazione per stare al passo della frana e mantenere l’esiguo vantaggio pregresso che ci rimaneva e non farci raggiungere che sarebbe stata la fine.

Poi ad un tratto ci siamo trovati come Mosè di fronte alle acque del Mar Rosso. Sta di fatto che qui le acque non avevano intenzione d’aprirsi. Di fronte al muro d’acqua e terra come una marcite padana si voleva quasi quasi tornare indietro, quando mio marito ebbe la bella idea che da qualche parte ci doveva pur essere un qualche pertugio, uno sfiatatoio o cosa del genere dove potersi infilare e bypassare l’enorme ostacolo, dato che in quel mare di fango ci veniva difficile scavare sia verso la superficie quanto in profondità. Finalmente cerca e ricerca abbiamo trovato una feritoia nella quale ci siamo intrufolati lemme lemme. Purtroppo, come fu come non fu l’incidente accadde, e fu uno strazio indescrivibile. L’ultimo mio figlio, debole e impacciato, in coda non fece in tempo a passare del tutto di là dalla frana restando travolto e stritolato dalla terra molle dalla cintola in giù. Ho fatto appena in tempo a voltarmi, (ce l’avevo dietro alle calcagna cribbio!) giusto per vedere i suoi occhietti dolci guardarmi con tenero amore e la sua boccuccia con i denti sporgenti come a voler dire: “andate pure voi per me è finita”, prima d’esalare l’ultimo respiro e la sua testolina accasciarsi sul lato sinistro. Abbiamo seguito le sue ultime volontà e dopo avergli mandato un ultimo bacio l’abbiamo abbandonato.

In questa tragica occasione, più tardi a mente fredda, ho avuto la stessa sensazione come quella che avrà provato una madre durante la traversata del canale di Sicilia quando affondato il caicco non riuscì a salvare il suo pargolo strappato dalle sue mani dalle onde del maroso mentre all’orizzonte vedeva arrivare la nave Ong della salvezza, pronta a soccorrerli.

***

Alla fine trovammo un rifugio che pensavamo sicuro. C’eravamo di nuovo appena accasati in contrada Scifo, belli e tranquilli, quando, un bel pomeriggio dopo il pranzo di Carnevale, stavamo in pennichella pendente e rilassante, ci siamo accorti di alcune macchie d’umidità nel soffitto della parete nord del loft. Se n’è accorta la mia figlioletta che ha la sua cameretta da quelle parti. Tutta angosciata, memore del recente casino, s’è precipitata ad avvisarmi. Mio marito com’è solito era in giro per appagare i suoi vizietti, dato che la curiosità lo tartassa geneticamente.

“Guarda mamma, vieni a vedere -disse Lepora- cosa c’è in camera mia”. La sua espressione stravolta mi fece preoccupare all’istante. “Cavolo, cosa ci sarà mai di tanto grave?”. Di corsa sono andata a guardare e ho notato tra il soffitto e la parete in alto un colore marrone scuro, più scuro rispetto al normale, tipo colore marrone del terreno. Era di uno scuro come fosse bagnato, la stessa differenza che si nota tra la sabbia bagnata e quella asciutta nella battigia-bagnasciuga. Tuttavia non mi sembrò una cosa tanto preoccupante di primo acchito. Pensai alla solita perdita della rete idrica colabrodo. Eravamo tra luglio ed agosto d’una estate secca e afosa e poteva succedere qualcosa del genere. Non mi preoccupai e tranquillizzai mia figlia con cura e amore dicendole che la nostra casa è ben impermeabilizzata e coibentata a prova d’alluvione. E dai… si lo ammetto esagerai. L’alluvione non lo regge nessuna costruzione al mondo. Anche se progettata apposta quantomeno s’allagherebbe.

“Appena aggiusteranno la perdita tutto si risolverà. Dissi. E il soffitto si asciugherà da solo. Altrimenti lo faremo noi ancora più bella. Vedrai e il colore lo sceglierai tu”. Cosa vana e assurda speravo nell’efficienza dei superficiali. 

Comunque un po’ di pensiero mi è rimasto, un lieve sospetto di penetrazione acquifera da un tubo mastro rotto mi sovvenne. Aspettai che ritornasse mio marito per sottoporgli la questione. E infatti in base alla sua esperienza la cosa era più grave del previsto.

“Dobbiamo stare in campana, disse, bisogna monitorare la cosa continuamente”. Come sentinella fissa abbiamo delegato il compito ai nostri figlioletti, il maschietto al momento l’abbiamo invitato a dormire in stanza con sua sorella anche per rassicurarla. Io e mio marito ci siamo accollati il compito di fare la ronda ogni quattro ore da quelle parti per sicurezza ulteriore.

“Embé, si scherza mica con queste cose, prevenire è meglio che curare, se ne ricava un guadagno enorme. Voi che dite? Convenite o dissentite?”.

Intanto in superficie i superficiali si cullavano sugli allori del tutto va bene madama la marchesa, stravaccati nelle poltrone vellutate in pelle Chester, degli uffici riscaldati, con la bandiera ostentata e un luccichio di marmo e legno brillanti a dar adito che col loro ufficio sono i migliori del mondo. Nel frattempo canticchiavano:

“Tutto funziona e a meraviglia va’

e tra le nuvole ci stiamo a imbelletta’

cullandoci nell’oro ce la spassiam.

in ovattati ondeggiamenti vogliam oziar

(last but not least)

sulla cresta dell’onda stiamo a navigar”. Bella vita se durasse! Viene da dire.

Le innumerevoli segnalazioni che qualcosa non andava, e si pregava d’intervenire con urgenza passavano sotto silenzio, rimanevano nel cassetto.

“Ma sai… lì c’è un grosso problema…”. Si avvisava.

“Stai zitto! Tu che sei l’ultimo chiodo che ne vuoi sapere”. Rispondevano sollecitamente.

“Ma, veramente sarebbe il caso d’approfondire la faccenda prima che sia troppo tardi…”.

“Ancora insisti. Io non vedo niente”.

“Per forza a chilometri di distanza cosa vuoi vedere. Neanche col binocolo vedresti nulla”.

Non si schiodano dalla poltrona se prima non vedono il morto. Certo, così poi arrivano i riflettori.

“Ascolti buon uomo, egregio dirigente, guardi che la perdita d’acqua è enorme. La prego gentilmente quantomeno di mandare qualcuno a dare un occhio. Un preposto, un misero tecnico, se proprio non si vuole schiodare lei direttamente. Sia gentile per cortesia”. Suppliche e preghiere svaniscono nel vuoto, e che si può fare? Poi, però quando succede qualcosa di grave la colpa è tua, ci mancherebbe. Cornuto e mazziato, la solita solfa. Ma lì allo Scifo ci voleva una manutenzione straordinaria immediata per tamponare le falle nelle tubature. La scusa che come ritornello veniva reiterata, era che il contratto per la manutenzione era scaduto, non era stato ancora rinnovato: non c’erano i soldi. E tutto va bene madama la marchesa. Il Comune, best of the best , che fa tante cose e tira su il PIL sostiene a spada tratta di saper navigare a vela in mezzo ai marosi dell’oceano, e se ne esce che non ci sono i soldi.

“Forse naviga a vista? O no! Forse manca la bussola”.

Per fortuna questo svasamento va a finire per le terre e nessuno se ne accorge e non crea altri problemi di sorta, effetti collaterali come si suol dire. Grossi rivoli d’acqua ramificati come capillari si sprecavano qua e là: “Bene prezioso? Bene Sprecato! Con la siccità che incombe a peso morto sulle teste degli abitanti. Lo capiscono questo i dirigenti? Mi sa di no. Ma chi sono gli inadempienti i dirigenti, i dirigenti-politici o l’ultimo chiodo della carrozza che si sbatte a denunciare il malfunzionamento delle cose?”.

La nostra pelliccia pur non essendo pregiata come quella del visone comunque fa gola a tanti, ci vogliono far fuori come ermellini allo sbando o in gabbia.

“Ah, se fossimo visoni tutti ci darebbero retta”. Mi suggerisce il consorte.

Già, la rettitudine al giorno d’oggi è solo un optional a discrezione dei caporioni, nel senso che loro sbandierano per dritti, i torti; i dritti sono loro i torti gli altri. Noi povere talpe abbiamo un ruolo ben delimitato e circonciso ai cunicoli della trincea.

“Sai che pena vedere quel ben di dio d’acqua sprecarsi a vanvera mentre i contadini si lamentano per la siccità. Mi mangio le unghia coi denti (a merenda) per non farmeli strappare quando sarò torturato per colpa dell’acqua”.

Mi fa venire un nervoso che non ti dico vedere l’acqua che viene meno, diminuire a vista d’occhio, scarseggia e si va estinguendo. Non vorrei correre il rischio di morire disidratato. Un’ecatombe s’annunciava e prendeva piede in superficie mentre noi nel profondo qualche vena la troveremo sempre.

Nel giro di poco tempo un sacco di pozzi si sono rinsecchiti e prosciugati. Hanno dovuto chiudere alcune saracinesche. Meno male che siamo talpe di profondità perché anche gli animali in superficie se la passano male. Sono i primi a rimetterci se non possono bere.

Se le segnalazioni avessero avuto un riscontro immediato ciò si sarebbe evitato, ma sono rimaste lettera morta a dimostrazione che tutto va bene madama la marchesa. Ovviamente noi talpe che abitiamo nei recessi in profondità rispetto ai superficiali non abbiamo voce in capitolo, e dunque ci tocca sobbarcarci solo il classico gioco dello scaricabarile.

“Muto e pensa alla stecca si diceva al soldatino al servizio militare”.

Ora poiché la rete idrica risale ai primi anni cinquanta le tubature sono usurate e consumate e quindi non reggono la pressione, per cui è evidente che qualche tubo possa forarsi. Pressa e pressa c’è un punto di restrizione ad imbuto causa calcare, l’acqua spinge che la pressione è forte ed esplode la tubatura deteriorata. Sarà andata così pressapoco.

Ma noi dalla nostra tana-loft ci godevamo lo spettacolo sperando che non intaccasse anche noi, che più che allarmare non potevamo fare. Un giorno, tuttavia, mio marito come ogni mattina era andato in perlustrazione a controllare i confini della nostra proprietà a monte in direzione del guasto e s’accorse ad una cinquantina di metri di distanza che il pericolo si faceva grave anche per noi; una minaccia imminente si profilava per la nostra abitazione. Tornò a casa distrutto e non c’era tempo da perdere prendemmo armi e bagagli arraffando alla meno peggio il necessario e traslocammo di buona lena verso lidi migliori, ma non c’era tanto da scegliere.

“I superficiali non si danno da fare e quelli che ci rimettono  a momenti la pelliccia siamo noi. In ogni caso perdemmo il grosso dei nostri averi e dobbiamo ricominciare daccapo. Si riparte da zero ma ci siamo abituati”.

Non c’è stato verso di far capire a lor-signori che l’intervento era d’estrema urgenza per evitare il peggio. Le nostre implorazioni cadevano invano nelle maglie della burocrazia e nelle menti svogliate delle autorità. Sembrava che sapessero fare solo orecchie da mercante, lo scaricabarile a portata di mano e la mente rivolta ai massimi sistemi a cui solo sono interessati. Per fare bella figura ovviamente. Credono d’essere i migliori velisti in solitaria del mondo e traversare l’oceano a cuor leggero vogliono fare, solo che non sanno nuotare nemmeno dentro la vasca da bagno.

“Ah beata infingardaggine!”. Esclamò l’ultimo chiodo della carrozza. L’acqua si dissipava velocemente tra le terre sottostanti ramificandosi in mille rivoli e ci stava allagando il loft intero. Fummo costretti a lasciare i giardini di latte e miele della terra promessa in fretta e furia. Era l’unico modo per impedire l’estinzione della nostra specie…”.

“Ecco l’ignavia molesta dei superficiali. Pensai che non sanno scendere in profondità delle cose e comprendere appieno le varie sfaccettature di tutta la Natura naturans. E con i paraocchi inforcati i lor-signori con le brache bianche e i maglioncini di cachemire felpati fatti di lana caprina nepalese li ostentano con sicumera opulenza per la poltrona conquistata, e di tutto il resto se ne stanno a fregare ”.

D’altronde, cari lettori il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro per cui come fare per sopperire alle inettitudini di chi sta comodo in poltrona col mastice alla chiappe a discettare sui massimi sistemi astrofisici? E lì si cullavano nel tutto va ben finché non scoppiasse il bubbone e il pus mefitico nauseante non fuoriuscisse riversandosi nelle strade impuzzendole di putridi miasmi. Le autorità preposte e supposte se ne stavano a guardar le stelle in attesa di qualche nuvola carica di pioggia, sperando nel Padreterno a cui addossavano pure la colpa per lavarsene le mani senza acqua che si doveva risparmiare.

La loro fortuna era quella che l’acqua se ne andava nel sottosuolo senza che si vedesse in superficie. Se fosse fuoriuscita da un qualche tombino e avesse allagato la strada col cazzo che avrebbero preso la cosa a cuor leggero. Avrei voluto vedere la strada allagata e lor-signori comodi in poltrona. Minchia! Avrebbero corso a piedi nudi i cento metri piani in una pista di brecciolino della Roccalupa.

Ebbene, voi non ci crederete ma il fatto è che a noi talpe nessuno crede. Subiamo la stessa ventura dell’ultimo chiodo, siamo e saremo bistrattate e nessuno ci caga, tapine come le tappinare di Palermo che stazionavano a ridosso del muro delle cattive e relativa passeggiata, dalle parti di Piazza Marina, Foro Italico.

Viviamo con quella sensazione d’essere alla fine, vivendo un presente senza futuro, un adesso senza un dopo; l’oggi come ieri, domani come oggi. Non scorre niente e niente diviene, l’acqua è sempre la stessa di prima e sarà quella di dopo: la medesima solfa che si ripete. Inamovibile, con la sua potenza crea un fiume carsico nella terra nuda e cruda, dove va a finire non si sa, forse una voragine lì si nasconde e tutto crollerà. L’oro blu l’hanno incatenato, fagocitato dal totalitarismo dell’ideologia capitalista. La totalità dell’interesse personale.

Tutto ciò è dovuto al fatto che si predica bene ma si razzola male. Il politico di turno o il dirigente preposto salgono sul pulpito vellutato con grande verve e sicumera, e da lì si mettono a propalare in maniche di camice, perché lì fa caldo anche a gennaio, e io, Lina la talpa, vi riporto le parole testuali: “L’acqua è un bene prezioso, bene comune nonché patrimonio dell’umanità; bisogna risparmiarla e salvaguardarla in tutti i modi evitando gli sprechi superflui se si vuol bene a Madre Natura. Ne va della nostra esistenza in questo pianeta”. Poi il politico armato di demagogica sofistica continua: “Io per esempio, quando mi lavo i denti non tengo aperto il rubinetto per tutto il tempo, quando friziono i denti con lo spazzolino lo tengo chiuso e lo apro solo quando devo sciacquare. Così, sembra niente ma è un bel risparmio. Se lo facessimo tutti…”. Parlare non costa nulla agire è più complicato, ma un vero governante si vede dall’azione aldilà del mero flatus vocis (aria fritta), invece di sistematicamente deresponsabilizzarsi.

Il punto focale della questione che si vuole evidenziare è il fatto che agli infernali non dà retta nessuno, mentre tutti restano a bocca aperta quando si tratta dei superficiali. Infatti l’errore originario che si commette, e di cui non ci si accorge, è il fatto che si reputa che la profondità sia appannaggio dell’inferno, cioè sia attinente al fuoco incandescente del nucleo terrestre. Di contro il superficiale viene accostato al cielo, all’eden paradisiaco, ai giardini edonistici di latte e miele. Su questo bias cognitivo fa leva il potere, piccolo o grande, per sottomettere gli altri ed elevarsi loro, affondare gli altri e restare a galla loro.

N.B. In memoria di Lina, voce afona nel senso di voce soffocata o messa a tacere.

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