Massimo Genchi: “Il bene del Museo non si persegue stando zitti per non dispiacere”

Riceviamo e pubblichiamo la controreplica del prof. Massimo Genchi alla lettera del prof. Rosario Schicchi precedentemente pubblicata su questo blog

Gentile Presidente,

a tutta prima avevo pensato di non replicare perché una lettera costruita sulla nota equazione ciceriana “critica = polemica sterile” non avrebbe meritato alcuna risposta. Poi rileggendo le sfuggenti e vaghe giustificazioni ho cambiato idea perché ritengo sia da scardinare questo modo di difendersi basato sulla negazione dell’evidenza, sul vittimismo del “ma io che cosa ti ho fatto”, sul buonismo da una parte contrapposto allo stile rude dall’altra. Se non risponderai alla mia replica certo non mi offenderò perché già nella tua, per quanto le abbia cercate, non ho trovato alcuna risposta alle domande poste in precedenza, anzi per alcuni punti ti sei guardato bene dal farlo.

Già l’incipit del tuo scritto “mi sorprende” rimanda a uno dei più amati tormentoni che, dal 2017, ci siamo dovuti sorbire ogni qual volta è stata mossa una critica. Ma lo stile, di cui qualche esteta ti ha compuntamente ringraziato, emerge quattro parole più in là allorché etichetti la mia lettera come intrisa di acidità “aggrumata”. Quali grumi? Quale acido? Forse per avere detto le cose come stanno e che non ti ha fatto piacere sentire? Una persona è brava se ti dice le cose belle che vuoi sentirti dire? Se c’è una cosa che io detesto profondamente è fare il salmodiante ipocrita. Mi piace, invece, dire le cose così come stanno o come mi sembrano anche se questo mi connota negativamente. Parafrasando Brecht direi che, anche stavolta, mi sono messo a sedere dalla parte dei cattivi perché i posti dei buoni erano tutti occupati. E tu, in ottima compagnia, stavi seduto da quella parte.

Ci sono cose strane nella tua piccata lettera scritta da uno che difficilmente appare piccato, a partire dal tono indispettito con cui dici di non essere stato alunno di De Luca, come se ti avessi detto che eri andato a scuola dal maestro Pipa. Non meno ricercatamente velenosa appare l’insinuazione circa il fatto che i miei rilievi nei tuoi confronti fossero solo strumentali (e perché mai?) e che le mie considerazioni (ma tu le hai chiamate accuse!!!!) sulle ultime attività del Museo fossero calunniose.

Gentile Presidente, sui pupi potresti chiedere quanti a Castelbuono sono al corrente del fatto che l’esposizione durerà due anni dato che non è detto in nessun atto deliberativo. Quando il sindaco scrive “in cui sarà allestito un nuovo spazio espositivo per i prossimi anni” non dice due anni. A parte il fatto che l’idea dei pupi nel museo naturalistico è di per sé inappropriata anche per un solo giorno. Non ho nessuna difficoltà ad affermare, benché i nostri rapporti furono sempre conflittuali, che al tuo posto il professore Pietro Mazzola si sarebbe fatto uccidere piuttosto che accettare di fare entrare i pupi nel Museo di Minà.

Quando io parlo del bar ne parlo per tutta quella serie di motivi che tu ben conosci ma che ti inducono a girarti dall’altra parte per non vedere e, successivamente, a guardarti bene dal trattare, dal prendere posizione, naturalmente, in ordine al fatto che quello è il bar del Museo di cui tu sei il presidente. Vedi, ogni termine da me usato è stato passato al crivello: non ho parlato del Comitato scientifico del Museo ma del CdA, di tutti i CdA delle istituzioni museali, non ho parlato di nomine partitiche ma di nomine politiche, che non sono la stessa cosa, ci siamo? Certo leggere la precisazione che non sarete impegnati nella prossima competizione elettorale, né direttamente né indirettamente, ha riportato la mia mente a Stanlio che, rispondendo al telefono a un tale che cercava Ollio, dice: “mi ha detto di dirle che non c’è”. Voglio ricordare, non a me stesso ma a te, che fare politica non significa solo candidarsi.

Per le attività programmate dal museo io non ho parlato né del 1999 né del 2014, ho detto “negli ultimi anni”. Negli ultimi anni, non c’è stato solo il Covid ma anche il 2019, il 2018, il 2017.  Cosa avete fatto? É vero che il valore di un relatore non si misura con la sua provenienza ma ogni tanto sarebbe interessante confrontarsi con un contesto più ampio, soprattutto per il rispetto dello scienziato che in tempi non proprio di comunicazioni facili fu in contatto con tutta l’Europa. E sull’evento al quale ha partecipato il premio Nobel per la fisica Michel Mayor, sarebbe più proprio dire che il Museo ha semplicemente ospitato una conferenza e che la prestigiosa presenza di Mayor si deve invece al Gal Hassin. Oggi, però, a differenza di qualche giorno fa, sappiamo che il Museo ha organizzato un evento di rilievo: la mostra fotografica del suo Direttore, presentata da te, la quale segue di qualche giorno la presentazione del tuo libro sulle piante, presentato dal Direttore del Museo. Immagino che troverai anche questa critica strumentale ma io ti dico candidamente che è quanto di più autoreferenziale si possa ideare.

Gentile Presidente, sui reperti sono andato veloce perché pensavo ricordassi. Ma visto che non è così, ti rinfresco la memoria: il 25 luglio 2017 con una mail ti avvertivo che a seguito di una indagine condotta in quei giorni al Museo, mi ero accorto che mancavano dei reperti cartacei di cui ti ho fatto un dettagliato elenco. Ho aggiunto “ti ho sottoposto l’elenco di reperti mancanti per tua contezza e perché tu possa farlo presente a chi di competenza. Io in seguito lo farò a mezzo stampa”. In pari data mi hai risposto ringraziandomi “per la preziosa comunicazione” e aggiungendo “dopo aver fatto una verifica interna chiederò notizie sulla documentazione da te elencata. Non appena sarò a Castelbuono ti chiamerò per fare una chiacchierata al riguardo”. Naturalmente non mi hai mai chiamato. Ora, però, mi rimproveri per non averti chiamato prima di pubblicare la mia lettera. Infine, a proposito di precisione, come fai a dire che “non abbiamo mai smarrito nessun reperto” se prima dell’inventario di Leone non sapete cosa avevate nel Museo? L’inventario redatto permette soltanto di dire che di chiddru chi c’è un manca nenti. Invece le tracce di quei documenti si erano perse prima del tuo insediamento. Infatti ho scritto ‘li avete cercati?’ non ‘li avete perduti’.

L’idea primigenia dell’orto non era certo quella di mettere i cartellini agli alberi. Ora ci dici che in autunno verranno adeguatamente potati gli alberi e, se permetti, a molte persone in paese viene u friddâ frevi perché si teme di assistere all’ennesimo scempio di alberi abbattuti per i quali, consentimi, tu dall’alto della tua autorevolezza botanica, non hai mai ritenuto di dovere prendere pubblicamente posizione. Ma in questo paese prendere posizione costa e il potere politico mal sopporta che si prenda posizione.

Nell’autunno del 2016 mi hai incaricato di organizzare il trasloco della biblioteca storica e di risistemarla nei nuovi locali. Cosa che io ho fatto e per la quale ho ricevuto il tuo ringraziamento. Oggi, quando dici “tale comportamento non può certamente essere ricordato come virtuoso o costruttivo almeno per il Museo”, non capisco cosa mi rinfacci, di cosa vengo accusato. Di aver svolto il lavoro che mi era stato richiesto? C’è un passaggio della lettera dove tu dichiari, naturalmente con tutto lo stile che ti riconoscono, che io detengo impropriamente un inventario. Nella tua lettera di incarico non si parla di redigere alcun inventario. Se io per mio metodo organizzativo ho predisposto un file, ciò non implica che lo debba condividere dal momento che si tratta di un file di lavoro e non di qualcosa di ufficiale per il quale si sarebbe dovuta prevedere tutt’altra impostazione.

Gentile Presidente, io vorrei ricordare a te, per ricordarlo a tutti, soprattutto a quanti parlano senza sapere cosa dicono che, con il mio lavoro e con moltissimi soldi che avrei potuto benissimo destinare ad altro, ho promosso una ricerca durata diversi anni sui lavori scientifici di Minà Palumbo confluita in un volume che ha permesso di elevare le pubblicazioni da 402 a più di 1100. Il tuo Direttore forse non si è reso neanche conto di ciò e continua a parlare di 402 lavori, ma tant’è. In più aggiungo, perché forse non lo sai, che nel 1985 durante il trasferimento dei materiali di Minà da casa Morici in contrada Barraca a Castelbuono, a cui prese parte anche lo zelante primo commentatore del tuo post di avantieri, tre scatoloni contenenti non meno di duecento libri fra cui opere di Calcara, di Petagna, di Savi, di Rafinesque, ecc. furono inopinatamente, ma con grande stile, abbandonati e dimenticati negli scantinati del municipio. Lì rimasero per un ventennio senza che nessuno li cercasse. Un giorno il sottoscritto, accidentalmente, li trovò, li riconobbe, avvertì il sindaco, l’attuale, il quale di concerto con l’assessore Scancarello decise di depositarli temporaneamente nell’archivio storico da dove furono successivamente trasferiti nella biblioteca del Museo. Capirai che in quegli scantinati sarebbero finiti male visto che di lì a pochissimo il vecchio municipio venne abbattuto.

Tutto questo lo dico non per menar vanto, ma per precisare che in ordine a contributi su e per Minà Palumbo, e non solo, la mia parte pubblica in questo paese l’ho fatta e continuerò a farla perché è nelle mie corde.

Sarebbe sicuramente più facile stare zitti, fare finta di non vedere, minimizzare o – ancora meglio -di non occuparsi di cose civiche che poi sono cose politiche. Ma ti dico che il bene del Museo, della figura di Francesco Minà Palumbo, della nostra comunità non si persegue facendo finta di non vedere per non dispiacere. Proprio perché non cerco consenso, né direttamente né indirettamente, non ho paura di perderlo. Ritengo, invece, tanto doveroso quanto urgente avviare una riflessione sul profondo senso del dibattito che a Castelbuono negli ultimi anni è stato immolato sull’altare della perpetuazione del potere politico, con tutto ciò che ne è seguito in termini di perdita di vivacità, di dialettica e di civismo.

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