Messaggio del Vescovo Marciante ai giovani emigrati
Il messaggio che il Vescovo di Cefalú S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante ha inviato ai giovani emigrati
Cari giovani, care figlie e cari figli che avete “lasciato” e continuate a “lasciare” la nostra amata Sicilia, ritorno a dialogare con voi.
Vi ho tanto pensato in questi giorni di fine agosto e inizio settembre.
Conosco anche io, in parte, perché vissute in famiglia, le dinamiche affettive e relazionali che precedono e accompagnano ogni vostro rientro in paesi, città e regioni dove trovate “il pane” del lavoro. Conosco lo scorrere velocissimo dei vostri giorni di vacanza; quel fare e disfare le valigie con la loro collocazione provvisoria nei diversi angoli delle case. Ho visto anch’io i bagagliai di tante macchine riempirsi di cassette con conserve di pomodoro, bottiglie di olio e di vino, formaggi e salumi sottovuoto: un pieno di sapori e profumi della nostra terra in “trasferta”. Un po’ mi ricorda il trapianto degli alberi da una terra all’altra con le loro radici.
Provo solo a immaginare quale possa essere la variegata schiera di sentimenti, più o meno celati, che si annida nei vostri cuori nel lasciare genitori, fidanzati, amici, luoghi e pezzi di vita; pezzi di anime e di storie.
Penso a un intreccio di amarezza, rabbia, tristezza e sconforto verso una terra che, pur restando madre, non sa darvi più da mangiare, da vivere. Non è più capace, a dire il vero non lo è da tantissimi anni, di imbandire la tavola del pane quotidiano per tutti i suoi figli. Perché si è ammalata. Perché nel suo corpo si annidano diverse metastasi “cattive” con una conseguente e progressiva paralisi di gambe e braccia.
È costretta, inferma, a stare immobile su un letto. Ma ha ancora un cuore che batte, occhi che vedono e polmoni che respirano. I parametri vitali sono ancora tutti presenti. Si tratta di una verità che non ha mai reso buia la speranza di una sua possibile e sempre attesa rinascita. Una verità che conosce bene anche “il male” brutto che la tormenta con tutte le sue cellule impazzite.
La forza che alberga nel suo cuore di mamma, infatti, non le ha mai permesso di spegnere le luci dei suoi tramonti. Di passare dal tramonto alla notte. Del suo corpo tutti ne conosciamo e ne vediamo le piaghe. Il vostro esodo inarrestabile, tra le tante laceranti, è la più profonda; sanguina senza tregua. Ne ho trovato una descrizione dettagliata nella Gazzetta del Sud di qualche giorno fa. Dalla Sicilia negli ultimi 10 anni sono andati via ben 200.000 giovani: si parla nel nostro territorio di un vero e proprio vuoto generazionale under 34.
La sola Palermo, tra le nove province dell’isola, occupa il primo posto di questa triste classifica con un ammanco di ben 50.000 giovani figli. Ma non basta: in questo ranking sanguinante, a livello nazionale, è la seconda città dopo Napoli.
Non siamo soltanto di fronte a una “incurabile” piaga corporale, a un taglio, a catena, affettivo-generazionale.
Questa è una piaga sociale, economica, culturale, politica, ecclesiale e pastorale.
Papa Francesco, nella lettera rivolta ai pastori siciliani nel ricordo dei 30 anni dalla morte del Beato Don Pino Puglisi, pare voglia ricordarcelo. “A voi pastori rivolgo I’invito a non fermarvi di fronte alle numerose piaghe umane e sociali dell’ora presente”.
E voi, miei cari giovani, che in queste ore e giorni avete riempito aeroporti, porti e stazioni ferroviarie, con le vostre inseparabili valigie, pare abbiate voluto ricordarcelo. Col silenzio ”virile” della vostra lacrima nascosta dietro la forza di un abbraccio caldo e “senza tempo”.
Ce lo ricordate col vuoto che lasciate nelle nostre case, piazze, comunità e parrocchie. Per non farci scivolare in facili e possibili amnesie che metterebbero a tacere le nostre coscienze di fronte a responsabilità comuni, istituzionali e personali su di voi, sul vostro futuro” emigrato”.
Dobbiamo ancora comprendere, rivestire di sapienza concreta e profonda quanto il Papa ci raccomanda nella lettera citata: “I giovani poi siano al centro delle vostre premure: sono la speranza del futuro”.
Ci manca forse il coraggio di una sinodalità progettuale e operativa che sappia unire ogni istituzione presente nel territorio verso progetti che prendano le distanze dal lavoro nero, sottopagato, “raccomandato”.
Dalle diverse e infruttuose forme di assistenzialismo “caritativo”che mascherano la dignità del lavoro e della persona.
Vorrei che il vostro esodo, cari giovani, divenga per noi “un gridato rimprovero” alle nostre omertà di fronte alla desertificazione dei comuni, alle facili rassegnazioni, agli ipocriti fatalismi, ai compromessi sottoscritti dagli interessi del potere e mai del bene comune e del domani.
Vorrei invitarvi a non lasciarvi abbattere dai facili commenti di coloro che, accecati dal successo, hanno dimenticato la loro terra; di giudici improvvisati che, dall’alto dei loro scranni, emettono facili sentenze; di chi vi considera dei fannulloni.
Voi ci date una lezione di coraggio, di onestà, di “pulizia”; ci insegnate che la legalità apre la via alla speranza.
Nelle vostre pesantissime valigie non c’è spazio soltanto per gli indumenti: a riempirle ci sono le vostre intelligenze, titoli di studio, talenti, energie, creatività e potenzialità.
C’è il vostro rifiuto a ogni forma di ozio, di pigrizia, di adolescenziale dipendenza economica dalle tasche dei genitori o dei nonni: c’è il domani.
Cari giovani, voi mi ricordate la ginestra e i suoi fiori.
Quella pianta di leopardiana memoria che sa lottare per crescere.
Quella pianta che non si spezza mai neanche di fronte ai venti più violenti.
Quella pianta i cui fiori profumano sempre.