Note, divagazioni e stravaganze toponomastiche – prima puntata

 

Su gentile richiesta del dott. Giovanni Noce, raffinato cultore di esclusività castelbuonesi e direttore di fresca nomina di uno dei più ambìti seggioloni delle istituzioni culturali locali, la seconda serie di Storie è dedicata alla perigliosa questione toponimica. Avrei fatto volentieri a meno di trattare questa ostica materia, che nel corso degli ultimissimi anni è stata oggetto di serio e approfondito studio da parte delle migliori teste pensanti del paese, ma l’autoritudine del richiedente, non mi ha consentito di declinare l’invito.

Mi rimetto perciò alla benevolenza del malcapitato lettore avvertendo che:

1)      l’argomento è più serio che serioso;

2)      molte delle notizie riportate, prima che qualcuno mi accusi di plagio, sono attinte dai fondamentali studi sull’argomento dei proff. Cancila e Magnano di san Lio;

3)      l’ordine cronologico delle vicende non potrà essere, e non sarà, rispettato;

4)      se qualcuno cerca notizie in ordine all’etimologia di Via Mustafà rimarrà deluso;

5)      chi, per i motivi più svariati, dovesse ritenersi leso nella propria onorabilità può presentare istanza di risarcimento al dott. Noce, non già al Centro Polis (ubi conquibus non sunt), ma direttamente alla cassa del Banco di Sicilia-Unicredit. Garantita max riservatezza.

 

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La convenzione di dare un nome ad una strada per localizzare una casa che vi sorge, per identificare un personaggio che vi abita o che vi svolge un’attività ma anche per la registrazione in atti ufficiali, è abbastanza recente.

Solo dopo l’Unità d’Italia venne fatto obbligo a tutti i Comuni, anche i più piccoli, di dare un nome alle strade urbane. Prima di quella data, negli atti assieme al nome, veniva registrato soltanto il quartiere di residenza. Ciò costituiva un grave inconveniente per più di una ragione.

Si racconta che un merciaio di Castelbuono, un giorno, vendette (a ccridenza, naturalmente) della tela ad una signora in avanzato stato di gravidanza della quale sapeva soltanto che abitava nel rione di sant’Antonino. Avendo dimenticato, tra l’altro, di chiederle come si chiamasse, sul libro dei crediti annotò: “venduti due tocchi di tela a signora prena di sant’Antonino”. Nel frattempo la signora partorì e il povero merciaio non la rintracciò più. Né lei fece più di tanto per farsi rintracciare.

Anche se, fino al 1881, non esistevano le targhe viarie, a Castelbuono come altrove, le strade avevano una loro denominazione popolare che traeva origine dalla famiglia benestante che vi risiedeva (a stratê Pùrpuri, a statê Minà (foto 2 e 3), a stratê Culotta, a stratô Capitanu, a calatê Faiddra), dalle sue caratteristiche morfologiche (a strata ranni, a strata longa), da evoluzioni urbanistiche (a strata nova, a vaniddruzza rrutta), da elementi consolidati e riconoscibili (u chianû puzzu) o da pratiche che vi si svolgevano (a rrua fera, u chianâ bbaddra, a puntâ cursa).

Questa consuetudine popolare si perde nella notte dei tempi, tant’è che già in alcuni atti del Cinquecento si riscontra, per esempio, una Strata dell’inchiancato, una ruga nova e una ruga del muro rutto.

La prima, tradotta alla lettera, significa “strada del selciato” o forse meglio “strada delle selci battute”. Nel siciliano antico, infatti, chianca significa ceppo, ma anche base in legno. Nchiancari ha perciò il significato di battere il selciato con la mazzeranga per assestare le pietre. Nel lessico, anche ottocentesco, di Castelbuono il selciato è detto chiacatu, l’attrezzo per battere il selciato màjju o mataffu e l’operazione di battere le pietre (i mazzacani) si chiama ammataffari. In un atto dell’Ottocento quella strada, con ogni probabilità, sarebbe stata indicata come “via nchiacatata” o “via dell’ammataffato”.

Al di là di queste considerazioni, la strata dell’inchiancato (che per avere quel nome doveva essere l’unica con quelle caratteristiche), arteria principale sia per il numero di nuclei familiari che vi risiedevano sia per le botteghe commerciali e artigiane che vi sorgevano, deve essere riferita, quasi certamente, all’attuale Corso Umberto.

Si deve notare che fino al Settecento le strade, di norma, venivano inchiancate soltanto nella parte centrale per favorire il transito dei carri e che la selciatura delle parti di strada antistanti le porte delle case non era di pertinenza della Comune ma un vero e proprio optional, quindi a completo carico del proprietario dell’immobile.

Un po’ quello che succede oggi nelle strade extraurbane dove la manutenzione del manto e delle cunette è a cura e a tasca dei proprietari dei fondi che vi insistono. Un po’ meno per la manutenzione delle rràsule, tanto che c’è voluto un imperioso editto del precedente borgomastro per richiamare all’ordine i cittadini più recalcitranti e refrattari ai propri doveri.

La ruga nova o strata nova è un modo ovviamente comune per indicare (per un tempo anche lunghissimo) una strada di recente costruzione. Alla fine del Cinquecento essa era riferita all’attuale via Cavour, che allora si andava costruendo, la quale in alcuni atti risulta specificata anche come ruga di li perguli in viridarium di li Cherasi vale a dire strada delle pergole che si trova nel giardino [del quartiere] dei Cerasi.

E’ probabile che questi numerosi pergolati costituissero un’appendice del mirabile giardino della villa Belvedere, che merita un discorso a parte. In linea di massima, detto giardino può essere pensato coincidente con la vasta zona triangolare delimitata dalla via Cavour, dalla Strata longa e da via Garibaldi.

A partire dai primi del novecento e fino ad oggi, la strata nova è invece la via Principe Umberto.

 

Già alla fine dell’Ottocento era stato eliminato il ponte in legno della Piazza e la stessa fu sistemata in quegli anni. All’inizio del nuovo secolo, poi, venne abbattuta la casa che chiudeva in basso a sinistra la Piazza del Popolo e demolito l’abbeveratoio che si trovava all’angolo sinistro di essa.

 

Quindi fu costruito, quasi tutto sul letto del torrente proveniente dalla Strata longa (da Sopra il ponte in giù prende il nome di Burrone della fontanella), questo collegamento con la rotabile per Geraci, tracciata attorno agli anni ’40 dell’Ottocento.

La bonifica del Burrone della fontanella fu completata con la sua copertura fin sotto la rotabile Castelbuono-Geraci alla fine della grande guerra.

 

La foto 7, scattata il giorno dell’inaugurazione, mostra il palco delle autorità (e fra essi il deputato socialista Drago) costruito in piazza del Rosario, che allora era un terrazzo naturale sull’attuale via Cefalù, priva di quella stecca di case.

La ruga del muro rutto, rintracciabile anch’essa in atti del Cinquecento, si trovava nei pressi della Chiazza nnintra e qui vale la pena specificare che allora con tale denominazione si intendeva anche la via sant’Anna.

La ruga del muro rutto, ipotizzano gli storici che si sono misurati con i documenti di quell’epoca, potrebbe essere la stradina che, correndo dietro la Chiazza nnintra mette in comunicazione la via Alduino Ventimiglia con la rrua fera. Evidentemente per realizzarla furono demolite costruzioni preesistenti. Ma ci sono elementi sufficienti per affermare che potrebbe trattarsi di un collegamento fra la via Alduino Ventimiglia e la via sant’Anna che corre dietro l’ex carcere. (Nella foto 9 tratto in viola)

 

I segni dello sbocco sono quanto mai visibili in quel tratto di muro sotto il terrazzino di casa Petagna, oggi Castrovinci. Osservando da via Alduino Ventimiglia in quella direzione si  possono notare degli archi e un edificio a pianta ottagonale che, incastonato fra quegli edifici, sembra non avere alcun senso.

 

 

Così come è successo per la ruga nova, anche per il muro rutto, qualche secolo dopo, il nome è stato utilizzato dal popolo per indicare il collegamento creato (forse nei primi dell’Ottocento) fra la strada del Belvedere e la via Cavour, che ancora oggi nella parlata popolare viene vaniddruzza rrutta.

continua…

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