Passato castelbuonese, «Villaneggiatura»… «Sbilliggiatura»… Villeggiatura…
«Villaneggiatura»… «Sbilliggiatura»… Villeggiatura…
di Giuseppe De Luca
[Pubblicato su Le Madonie, 1 LUGLIO 1989]
Oltre mezzo secolo addietro, ogni anno: alba del 28 luglio. Le ultime note della «Bersagliera», proprio le identiche della classica marcia musicale di Gastoldi e Giorza, echeggiando, svanivano per quelle strade del paese che, poche ore prima, erano state attraversate dalla solenne processione del Sacro Teschio di Sant’Anna.
Bisogna precisare però che la «Bersagliera» castelbuonese, come per tradizione veniva chiamata, era ben diversa, era ultratipica, era insomma qualcosa di più che altrove: era data da un complesso che si può rassomigliare ad una veloce, fugace e rumorosa cometa.
Il nucleo sostanziale veniva composto, a furor… di gioventù, da una fanfara di formazione, racimolata, senza tenere conto né di tecniche strumentali, né di esigenze melodiche, fra i più volenterosi ed… affiatati giovani elementi delle due bande «paesana» e «forestera»: coloro, fra i musicanti, che, avendo sostenuto, in tre giornate consecutive, le estenuanti fatiche della festa patronale di allora, per le vie di Castelbuono e sui palchi della Chiazzetta e della Chiazza-nnintra, conservavano ancora una ben magra residua possibilità di aria nei polmoni, all’ultimo momento venivano circondati, trascinati e spinti, intruppati a viva forza: erano costretti così a suonare la «Bersagliera» dei baldi soldati di Alessandro La Marmora.
Altra caratteristica paesana era costituita pure dal fatto che bisognava riprodurla nella maniera più forte possibile, di corsa a perdifiato, anche nella salita della Rrua-fera, senza alcuna sosta, senza alcun intervallo.
La coda della cometa che seguiva lo schizzante nucleo era impinguata invece, in ordine sparso, da una torma di centinaia e centinaia di insaziabili adolescenti festaiuoli, effervescenti e schiamazzanti.
Quella cometa assordante e stravagante, partendo dalla Chiazza-nnintra, completando il giro di qualche chilometro in pochi minuti, ripetendo uno strano bis della corsa podistica, doveva e voleva esaltare un beneaugurante significato di cordiale arrivederci alla festa dell’anno susseguente e intendeva richiamare anche, a mezzo di quei sonori squilli di trombe, l’attenzione di tutti gli assonnati o sonnolenti castelbuonesi, anche di quelli rimasti ad occhi aperti o quasi socchiusi (a pampineddra), al fatto che ormai era necessario… «svegliarsi» e rientrare nella regolare, monotona e cadenzata, quotidianità dello scorrere della vita di sempre.
E, dopo qualche ora, pertanto, alle prime luci dell’aurora, ci si rimetteva a vivere, sebbene sotto altra forma e sotto altri aspetti: aveva inizio, infatti, a carriata dî robbi. Che cosa era? Era il trasloco delle masserizie per il trasferimento delle famiglie nei luoghi, chiamiamoli così, di villeggiatura.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe pensare…. No!… Non era stato Carlo Goldoni, comunque, con le sue famose quattro commedie “Smanie per la villeggiatura”, “La villeggiatura”, “Le avventure della villeggiatura”, “Ritorno dalla villeggiatura”, ad accendere, nei tempi trascorsi, nei castelbuonesi, istinti sopiti, passioni reclinate, tendenze ricognitive. I castelbuonesi, esenti ed immuni, come sempre, da ogni possibilità di plagio esterno, erano stati, fin dai giorni più remoti, convinti assertori, in originale assoluto, dei benefici effetti del campare all’aria aperta, per conseguenza dell’elioterapia e della ricarica di ossigeno.
È ben vero che per tutto il mese di luglio, ogni anno, si sentiva la solita domanda: E tu quannu ti nn’acchiani? Per acchianari (perché, poi, questo vocabolo siciliano, che sembrerebbe contenere nell’etimo l’idea di qualcosa di pianeggiante, debba, invece, rendere il significato della salita?… Mah!… è uno dei tanti misteri della nostra terra!…) s’intendeva il trasferimento in campagna, in quella che oggi è chiamata zona climatica.
Poiché allora la malaria, soprattutto con la terribile terzana e la quartana, infestava quasi tutto l’agro castelbuonese, questa zona climatica era ristretta alla fascia che, partendo dai Cumuna (forse dall’arabo Kumunia = torrente del mal tempo), costeggiando il sud del paese, passava per la zona pedemontana delle Madonie e, attraverso Liccia, Barraca, S. Guglielmo, Passuscuru, Pidagni, Vuscamientu, arrivava a Vinzirìa, venendo quasi a lambire anche la periferia dell’abitato e cioé Vitidda, Chian’‘i monaci, S. lppolito, Pontisiccu, Scunnitu, Santuzza, Vigniceddra, Pitraru, Surufu (forse dall’arabo Shur-huf = pianoro sul fiume). Pressoché sconosciute tante altre odierne zone di villeggiatura, specialmente quelle adiacenti ai fiumi ed ai torrenti delle zone basse, dove le acque stagnanti favorivano il moltiplicarsi delle zanzare anofeli. Appropriato quindi il verbo acchianari trattandosi di contrade raggiungibili quasi sempre dopo discrete o sensibili salite.
Però a quella domanda era già implicita, perché conosciuta, la risposta: si sapeva, cioé, che la villeggiatura, per gli assistiti dalla buona sorte, cominciava dopo sant’Anna, l’indomani della festa al più presto o, al più tardi, nei primi giorni di agosto.
Le vie di comunicazione? Erano mulattiere e sentieri allo stato naturale al completo di buche ed intasate di pietre, dove le cavalcature, inciampando, rovesciavano spesso carichi, some e poveri cristiani e dove il meno che si poteva fare era richiamarsi all’autenticità della frase ogni petra un truppicuni. Queste vie erano costeggiate da folte siepi di rovi che, se dispettosamente agli adulti agganciavano i panni addosso, si mostravano però generosamente esuberanti con i piccini offrendo grosse e succose more, che i più golosi non si lasciavano mai sfuggire potendole raccogliere allungando le mani. Erano larghe appena tanto da consentire il passaggio di un solo animale, specialmente quando era caricato di ingombranti some: un asino o un mulo alla volta: raramente si incontrava qualche giumenta o cavallo appartenente a persona facoltosa o a raro professionista: gli incontri, in queste condizioni, erano, talvolta, problematici…
Spesso ci si imbatteva in nere pozzanghere che servivano da accoglienti… vespasiani per le cavalcature e che, all’arrivo di queste, liberando nugoli di mosche, mosconi e moscerini, esalavano incredibili… effluvi.
La prima via carrozzabile della zona di villeggiatura fu la trazzera che da Pontesecco porta alla Mandrazza. Venne trasformata in rotabile abbassando in più punti, all’altezza di quelle che oggi sono Villa Virginia e Villa Barreca, di alcuni metri di profondità e per la lunghezza di alcuni decametri il duro terrapieno, a colpi di piccone (sciamarru) e di pala. Venne spianata e venne lastricata con selciato squadrato a spese dei privati, interessati localmente, riuniti in cooperativa; tutto questo, che negli anni trenta sembrò un autentico miracolo, fu reso possibile per l’iniziativa e l’abnegazione dell’appassionato avvocato Antonio Guzzio, il famoso pioniere della corsa podistica di sant’Anna, il quale, sul posto, alternava la richiesta ai passanti di offerte per pagare la giornata lavorativa agli operai con la personale partecipazione al lavoro manuale.
CONTINUA