Polvere di stelle … e di neve: la nevicata del 1981
(di Paolo Cicero) – Nel gennaio 1981 Castelbuono fu coperta da una poderosa nevicata, al cui confronto quella attuale potrebbe sembrare una giornata di mare in estate. Fu interrotta per un paio di giorni l’erogazione dell’energia elettrica e le strade che portavano ô paisi rimasero diversi giorni non transitabili. Così anche molte strade interne, tanto che molti rimasero bloccati a casa, soprattutto chi viveva in campagna, come u baruni Mariu Zerbi. Il Gruppo 2001 (che, ahivoi c’era anche allora) descrisse gli effetti possibili di questa difficoltosa immobilità, nella maschera che rappresentò nel 1981, al veglione che allora si rappresentava ancora alle Fontanelle tra un mare di persone, in un passo ritmato sulle note di Shampoo di G. Gaber (un pezzo di musica bello in ogni tempo, che può essere considerato un rap ante litteram). Un pezzo che ritengo magistrale, a rischio di passare per immodesto, e che uscì dalla collaborazione con il mio grandissimo ed eterno amico Massimo Genchi (anzi, in questo caso specifico devo ammettere con contributo determinante da parte sua) assieme al quale già nel secolo scorso (e sempre) ci divertivamo a fari a màscara. Vi riporto il pezzo, che faceva pressappoco così:
[…]
Ma che brutta giornata
ccu ddra gran nivicata
i strati su bianchi
cchi cùorpi nnê çianchi
la neve ristagna …
e Zerbi arristavi ‘ncampagna.
«Misca, stamatina a slitta ccu i cani ci vò.
E ora com’a fari?
Ora scinni a peri».
E partìu.
Tutto filava liscio come l’olio
quanni a Madonna o parmienti,
in prossimità dû burruni,
Mariu Zerbu pigliavi u sciddricuni.
E quanni Campanieddri u susivi e s’û misi a cavaseddra
u Baruni ci dissi: “Vicinzì, u culi mi frij comi na pateddra”
Questo pezzo, tanti anni dopo, costituì una delle colonne sonore più gettonate, cantata con mia figlia Chiara e mio figlio Davide, nelle discese al mare estive a Santa Maria.
Si raccontava anche che i commercianti del tempo, dopo la nevicata del 1981, cercarono di sfruttare a proprio vantaggio sta cugnuntura”. Tra questi un esercizio commerciale, molto caratteristico e speciale in quei tempi, era quello sito sul lato sinistro di corso Umberto poco prima di Supra u ponti, inteso come: a putìa dû Puddrinitu. Anche in quel caso Il Gruppo 2001 prese spunto da ciò che si diceva in giro e lo riportò così:
Al mio paese nevica,
il campanile della chiesta è bianco,
i prezza si isari troppi presti
e c’era cu aviea misi i corna i festi
[…]
Ppi na cannila
a signura cci addumannava: dumila. [lire per fortuna, non euro]
E quanni uni cci dissi tuttu contrariati,
“nni Manazza su cchiù mircati”,
iddra c’arrispunnivi perfetta,
com’a chiddra ca avi sempri l’aglia nna sacchetta,
“ncà, Roberti si pigliavi u Vigliuni e ai u scanti
e ppi sì o ppi nò stai mittienni i mani avanti”.
Si dice anche che i panificatori dovettero trovare energie … alternative per la panificazione. Il Gruppo 2001 descrisse questa ingegnosa industriosità nella stessa maschera del 1981, di cui riporto parzialmente il passo specifico, che faceva pressappoco così:
C’è na cura i chistiani
Nnê furna un c’è pani
ma o chiani a Matrici
Michilini u furnari
senza tanti problemi:
u cucieva a via di bestemî!
Ricordo anche che la gente chiedeva con forza ai panificatori di fare il pane. Solo che la sola fase di “impastamento” di quantità significative di farina, avrebbe richiesto uno sforzo improbo per una sola persona, non avendo l’ausilio delle macchine fermate dalla mancanza di energia. Così, mio padre Pasqualino Cicero (che aveva il forno sutta u campanaru), rispose a chi reclamava il pane, con la sua solita concretezza: “Aiutatimi a ‘mpastalli e u faciemi”. Tantissime persone, pur di avere il pane fresco, aiutarono mio padre a impastare il pane, con buona lena e … pane fu, in barba all’indisponibilità di energia elettrica e di macchine, a significare – dovemmo ricordarcelo sempre, oggi più che mai – che l’uomo vince sempre se sa unirsi: neri e bianchi, operai e imprenditori, macchine o non macchine, connessione o non connessione, computer o non computer.