Portando la guerra in casa (come fosse la spesa o la macchina in garage)
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(Di Francesco Di Garbo) – I saldi languono, i consumatori incalliti non spendono. Son cominciati da una settimana ed è tempo di un primo bilancio: “Non decollano, c’è maruffa”. Dicono i negozianti intervistati, con lacrime malcelate piangendo miseria e il groppo al pomo d’Adamo va su e giù. “Vanno peggio rispetto alle previsioni più rosee ch’erano di già oscure”. Affermò il proprietario d’una boutique con querimonia per la iattura dell’imponderabile avversità di mercato.
Il servizio del TG era partito, la linea era passata alla reporter in strada per indagare sugli affari in saldo. S’era recata in centro dove i negozi sono uno dietro l’altro insinuati in ogni buco disponibile. Dopo gli addetti ai lavori tocca intervistare la clientela. Partirono dalla torma chiassosa di Corso Vittorio Emanuele dove subito abbordarono alcuni passanti a mani vuote, i quali all’unisono risposero. “No, non compriamo nulla. Abbiamo speso tutto in bollette, non ci sono più soldi”. Con gesti espliciti. E svicolarono via per i loro affari. Due signore intente a guardar luci dentro le vetrine furono con garbo importunate. Trasognate trasalirono e dopo un attimo realizzarono spiazzate per il riflettore/microfono e d’acchito si ripresero per farsi intervistare.
“Niente shopping quest’anno, abbiamo gli armadi pieni. Prima bisogna far spazio. Poi ci sono le vacanze che incombono, vedremo…”. Risposero flebilmente per non sbandierare la penuria incalzante. Una, due, tre interviste sulla medesima falsa riga. La troupe quindi si trasferì dalle parti del quadrilatero per constatare se il lusso tirava.
Due signore, forse madre e figlia, guardavano una vetrina con fare interessato. Col microfono in mano la reporter le approcciò:
“Scusate avete già acquistato qualcosa?”. Chiese di prassi. Le donne con nonchalance mostrarono un minuscolo sacchettino griffato e la più grande rispose: “Niente di che, un accessorio per un regalino”. La reporter prese nota e rilanciò: “Avete già in mente un budget da spendere?”. Le due si guardarono in volto indecise cosa dire per non fare figuraccia. Poi la minore disse: “No, per il momento osserviamo. Poi, buuh”. Disse con sufficienza derubricata e salutando declinarono altre seccature.
Nel quadrilatero dello shopping di gusto tra Montenapo e Spiga in Via S. Andrea la reporter vide una signora dall’apparenza altolocata e le si fece incontro per intervistarla. Lei d’acchito un po’ riluttante si concesse per non sembrare zotica.
“Mi scusi a quanto ammonta il suo budget per i saldi?”. Chiese la reporter.
“No, no, non compro. Sono contraria ai saldi”. Rispose.
“Ah, preferisce fare shopping al di fuori dei saldi?”. Ribatté la reporter.
“Assolutamente sì. Non mi piace comprare a stagione finita, moda passatista”. Ribadì la sciura.
“Certo gli abiti nuovi vanno messi nel pieno della stagione. E in quanto consiste il guardaroba?”. Alla domanda capziosa della reporter sull’armamentario la sciura fece un ghigno refrattario, poi obtorto collo rispose: “Ho dodici ante in camera da letto, più altre sette in un’altra stanza alte tre metri”.
“E quante macchine ha in garage?”. Affondò il dito nella piaga la reporter.
“Ah un mille metri quadri con più di cinquanta posteggi auto e una ventina di moto inclusi tre sidecar”. Disse con lo sguardo dissimulato dagli occhiali da sole vamp d’avorio istoriati con lamelle d’oro e imperlati con micro pietre preziose, che fanno da surrogato alle perle di sudore in fronte, griffati Cartier. Nonostante tutto il sogghigno di quei sensi di colpa che l’opulenza suntuaria fa germogliare in chi ha tanta sostanza grazie al defraudare a mani basse non riuscì a camuffarlo. Poi la reporter chiese delle scarpe.
“Ah non mi ricordo. Ho perso il conto, saranno 400 o 500 paia”. Rispose con un sorrisino ammaliante e le gote arrossate in un mix di verecondia e vanagloria. Quindi rifuggì dal riflettore invasivo che sbirciava dal buco della serratura violandole il profilo basso da facoltosa signora che nondimeno preferisce il riserbo. E se il detto popolare dice il giusto che “le donne dicono il vero ma non tutt’intero”, allora chissà cos’altro nascondeva la sciura.
Al repentino ritorno in studio la conduttrice del Tg non fece in tempo a ricomporsi dall’espressione basita per cotanta opulenza e non riuscì a trattenere quel piglio del viso stupefatto e strabiliato un po’ abbiliato dal sorriso sardonico un po’ invidioso. Come dire che all’obbrobrio non c’è limite. La stessa identica notizia venne data nell’edizione serale, ma la conduttrice in studio fu imperturbabile, e ligia non si curò più di tanto della sciura in grana, dando ad intender che in una città come Milano è cosa normalissima cotanta suntuaria ricchezza.
“Beati i poveri in tasca perché di essi è il regno dei cieli”.
Ringraziando per il pensiero, tuttavia sarebbe preferibile essere meno poveri di tasca in questo mondo che nel regno dei cieli in barba agli orripilanti chic.
Per “chic” s’intende una categoria di persone arrivate, arrampicati parvenu, rampanti realizzati, che hanno fatto i soldi; cioè chi ha avuto fortuna nella vita in genere artisti, sportivi, imprenditori: una mentalità di vita individualista di stampo calvinista. Chic è anche un atteggiamento, stile di vita conseguenziale che costoro assumono come modo d’essere. Gente a cui piacciono le cose carine costose, à la page (abiti, arredamento, abitazioni: beni di lusso) di raffinata eleganza. Da qualche lustro va di moda la locuzione “radical chic” per additare gli chic di sinistra in senso derisorio. Come a dire che: “dato che sei chic non puoi essere di sinistra: sei un rinnegato!”. Oggigiorno la locuzione per ovvi motivi e diventata desueta, un idiotismo scemo che non ha senso d’essere pronunciato. I radical chic hanno il peccato originale di prendere le difese dei meno abbienti, di sostenere che agli indigenti venga garantita una vita dignitosa per una questione di giustizia, difendono la libertà e il progresso ugualitario, la sostenibilità e il rispetto per la natura, l’inclusione etc. Naturalmente gli chic non sono solo di sinistra, vi sono quelli conservatori di destra, (cicisbei, galoppini, intrallazzisti, etc.). Quindi questi chic non sono radical bensì conformisti, che si conformano allo status quo ante, e degli indigenti, dell’inclusione, dell’ambiente gliene può fregar de meno. In realtà distinzione più appropriata è quella tra Vip e Vop (very important person, very ordinary person) aldilà della dicotomia destra/sinistra.
In ogni caso, morale della favola, è meglio essere Radical chic che chic e basta, come la “sciura” di sopra, per ovvie ragioni morali e politiche. Una cosa è badare al proprio ego in termini egoistici, altra cosa lo è se si è altruistici; o quanto meno ci si prova. Il semplice “chic” infatti è qualunquista-egoista, ipocrita-incoerente, come la “sciura” di sopra dimostrerà. La buona fede del Radical chic non ha nulla a che fare con la vanità, con la nostalgia del fango, la povertà da dov’è venuto fuori. Se gli esce dal cuore lo fa per nobiltà di spirito, quello che manca ai conservatori-conformisti.
Il consuntivo del bilancio dei saldi fu drammatico, peggiore rispetto alle più nere anticipazioni della prima settimana. Tanti piccoli esercenti e tante boutique dovettero chiudere. Alcuni restarono a galla annaspando a filo d’acqua per motivi contingenti, in quanto con le spalle coperte del tipo che avevano le mura di proprietà. Il commercio s’era destrutturato con l’avvento dell’e-commerce e delle grandi filiere. Il servizio giornalistico sul consuntivo fu confezionato come al solito con perizia professionale obiettiva e approfondita. All’ultimo momento, tuttavia, il Direttore decise di non mandarlo in onda infognandolo in magazzino con grande rammarico della troupe che laboriosamente c’aveva lavorato con dovizia deontologica.
Alla richiesta di spiegazioni da parte della giornalista il Mega Direttore (vice) se ne lavò le mani indicando con gesto eloquente dell’indice i piani alti che l’avevano catechizzato. Cioè l’aver ricevuto forti pressioni ed essere stato costretto ad ubbidire negletto per ingraziarsi il capo struttura MediaNews e a salire nei piani l’A.D. dell’azienda per future promozioni carrieristiche.
“Non si può mandare in onda”. Disse categorico.
“Come…? cos’ha di sconveniente?”. Chiese Renata.
Il Mega Direttore sollevò gli occhi dal quotidiano tenendoli abbassati, restò qualche secondo meditabondo poi con occhi bassi disse: “Non rientra nella nuova linea editoriale”. Come dire punto e basta. Renata abbozzò una tenue apologia del pezzo senza tanta convinzione e desistette subito dal questionare. “Mi sono attenuta alle direttive esposte, non ho scavallato”. Il Mega Direttore, che poi era vice ma per tracimante estensione di ruolo veniva chiamato Direttore, rimase sbadato con aria disfatta non ascoltando neppure. Renata si rese conto ch’era un parlare col muro e cheta cheta se ne uscì.
Non si doveva allarmare il pubblico che l’economia andava male a singhiozzi, facendo singhiozzare chi non può reggere il peso del carovita. Che il danaro non circolasse come si deve, non nella finanza dove lì circolava a meraviglia e nel lusso che andava a gonfie vele; non circolava nelle tasche dei meno abbienti in primis, e poi anche tra il fu ceto medio impoverito. Il denaro sembrava inceppato nelle dighe dei castori dei grandi laghi da una certa élite che lo maneggia e se lo trattiene.
Come dicevano gli antichi romani, di cui tanto elogiamo la grandezza imperiale ma obliamo la saggezza popolare e culturale; “Ubi maior minor cessat”. Se il superiore decide il subordinato si deve adeguare. Funziona così la scala gerarchica, cosicché Renata non poté replicare alcunché e fece buon viso a cattiva sorte. In realtà nel servizio, come in quello precedente, si parlava di certi paperoni sfondati dalla dirittura crematistica facile e facoltosa statura che drenavano, come i castori, eccessiva pecunia che avrebbe dovuto circolare nel mercato e democratizzare la società. Mettendo le élite alla berlina denigrandone la dirittura morale il reportage non piaceva ai piani alti. Bisognava tacere la realtà e propalare cazzate dal quieto vivere, messaggi per non disturbare il sonno agiato delle élite.
Passarono alcuni mesi e tutto era finito nel pozzo nero dell’oblio, silente assoluto. Una mattina di pioggia infuocata e devastante con gli stivali di gomma e la mantella cerata inforcata la bici Renata, dopo aver pedalato sotto la pioggia e sopra mega pozzanghere basculanti, arrivò bagnata fradicia in sede Corso Sempione. Nel camerino impiegati s’era dovuta cambiare dalla cintola in giù, una sistemata ai capelli col phon e una imbellettata veloce al trucco. Per fortuna nell’armadietto aveva un ricambio con cui accomodare il bagnato. Quindi salì in redazione, negli uffici a compartimenti dell’open space entrò nel suo cubicolo. Sulla scrivania trovò un plico diretto a lei, cosa strana e inusuale se ne stupì a crepapelle. Spedizione cartacea in via d’estinzione, era camuffata come “plico stampa” tipo rivista o report. Lo prese lo girò e rivoltò da tutti i lati e pieghe più volte. Le venne in mente l’antrace ma non mise i guanti. “Chi poteva avere male d’una innocua sconosciuta giornalista?”. Si chiese e proseguì nell’esame, però deterse la busta. Infine la aprì con una certa cautela essendo anonima e pensò alla pista anarchica, ma lei con gli anarchici era in buoni rapporti e ci aveva una vaga condivisione d’intenti.
La missiva conteneva una memoria, alcuni ritagli di giornali, un’informativa, un documento d’archivio e uno scambio di messaggi epistolari tra agenti segreti d’Italia e Israele. Era una velina! Se ne accorse subito, non ci voleva granché a capirlo. Proprio a lei? A che pro? Non svenne per combinazione. Prese la bottiglietta dalla borsa e bevve un sorso che a momenti le andava di traverso. Si schiarì la gola e fece un respiro profondo, mente locale esaminando alla rinfusa il materiale con fare circospetto guardandosi attorno che nessuno vedesse. L’addetto alla distribuzione della posta fa il suo giro di routine e sorvola via preso dai suoi pensieri. Nulla da temere. Era proprio una velina e come la carta velina bisognava trattarla con cura, esaminare minuziosamente. In quell’istante una collega, segretaria di redazione, affacciò il capo nell’entrata senza porta per come s’usa nel nuovo stile d’arredo per uffici alla moda. Renata trasalì appena si sentì chiamata, si ricompose e fece finta di nulla come se avesse per le mani normali fogli di produzione.
“Cosa c’è? Tutto bene?”. Chiese Clara. “Sì, si. Ero sovrappensiero. Scusami”. La Clara chiedeva se voleva farle compagnia per la pausa. “Eppoi ti vuole parlare nel suo ufficio il vicedirettore”. Capocronaca sociopolitica. Disse Clara. Renata richiuse il plico e lo ripose nel cassetto della scrivania, richiuse e tolse la chiave dal nottolino come mai aveva fatto.
“Caro direttore eccomi. Mi dica tutto”. Renata toglieva il “vice” non per adularlo ma per canzonarlo. Dopo l’affaire moda i rapporti s’erano ulteriormente freddati. Sapeva, intuiva che le voleva assegnare un nuovo servizio da inviata speciale ed era pronta all’uso. Succedeva almeno una volta a settimana. Lui a distanza disse: “Mi devi confezionare un servizio sulle occupazioni abusive in città. Lo voglio pronto in due giorni”. Datti da fare, questo non lo disse ma era implicito. E le porse un foglio con le specifiche di massima da seguire. “D’accordo”. Disse Renata ed uscì dall’ufficio di corsa senza sbattere la porta come l’ultima volta. A sera incartò il malloppo dentro una busta flessibile di plastica colorata e se lo portò a casa.
Si sedette comoda nella poltroncina ergonomica sbarazzando d’ogni cosa il tavolo da lavoro casalingo dopo una frugale cena per non appesantirsi ed essere lucida ad analizzare il materiale. Distribuì i fogli in ordine da detective indagatore alla ricerca di ricomporre il puzzle. La prima sorpresa, non poi tanto sorpresa per Renata, fu chi fosse il soggetto (la sciura), alla quale diresse all’istante la mente locale: nella memoria rivisse fulmineamente in toto il primo servizio andato in onda sui saldi. La velina parlava della “sciura” intervistata a proposito dei saldi. La scheda anagrafica esaustiva di status sociale-economico, hobby e frequentazioni la diceva lunga di quanto fosse immanicata, mani in pasta, nei meccanismi di potere sottotraccia dal profilo basso per non farsi notare e passarla liscia indisturbata.
S.ra Delia Borlotti: Stato civile, separata, divorzio in via di definizione. Ex moglie di Arturo Sberletti vicepresidente dell’omonima azienda di famiglia. La separazione specchietto per le allodole per opportunismo fiscale. Scheda 2: Sberletti Arturo vice… responsabile vendite, best seller 2024 (elicotteri, carri, turbine, droni, devices etc.), top ten in the world. Scheda 3: Ariel Zivi. Agente segreto del Mossad a riposo. Deceduto nel famigerato battello del Lago Maggiore fatto affondare con la tecnica del “cloud seeding”; nuova arma segreta dei servizi segreti, innescare una turbolenza con allegato vorticoso tornado e far inabissare le barche.
Per ammazzare persone i servizi segreti la sanno lunga e usano tutti i ritrovati immaginabili e inimmaginabili, hanno a disposizione le migliori scoperte scientifiche, qualunque congegno tecnologico prima che divenga di dominio pubblico passa dalle loro mani: internet ne è un esempio lampante, i cerca persone idem, messinscena di suicidi, incidenti vari etc. Insomma si ammazza a cuor leggero per il bene dello Stato la salvaguardia della Patria. E chi muore, muore. Per essi non c’è alcun limite confine tra la vita e la morte, giusto o ingiusto che sia. Dunque nella vicenda del battello sul Lago Maggiore hanno messo in atto un downburst (tornado improvviso) causato apposta con il cloud seeding (manipolazione climatica). Questa tecnica Renata non la conosceva e l’ha dovuta studiare: i conti tornavano matematicamente. La velina confermava tutto.
Doveva morire per non svelare segreti dirimenti sull’attacco del 7-10-23. Il Mossad ne era a conoscenza ma i politici avevano deciso di lasciar fare per avere il casus belli e fare pulizia etnica, genocidio dei palestinesi da “soluzione finale”. In più l’agente deceduto era stato mediatore per l’acquisto illegale e anonimo di materiale bellico dalle industrie aereospaziali del varesotto. Con l’ausilio di oliare, ungere per benino i vari attanti-attori effettuarono la magnifica impresa-transazione: operazione “lago nero”.
La relazione parlava di fondi neri, di Hamas, del “tzir filadelfi”, dispositivi di sicurezza e via dicendo. Tangenti pagate al gotha delle industrie per far uscire silenti armamenti per non destare scalpore e indurre il nemico all’errore. Un sacco, due, tre sacchi di iuta grandi pieni di soldi riciclati con i bit-coin sul conto della S.ra Borlotti con lussuosa percentuale a suo gradimento godimento.
Riassumendo: L’affare era stipulato a voce per non lasciare tracce, i pochi al corrente con compiti predefiniti a compartimenti stagni avevano dato parola e assicurato la buona riuscita. Le forniture imballate e spedite con un giro dell’oca irrintracciabile. Vie sicure protette dall’enorme pletorico-pleonastico commercio globale di merci. Facile far sfuggire qualche container, tenere fuori dai radar qualche cargo; per gente esperta un giochino da ragazzini. L’attacco di Hamas ci sarebbe stato di certo sebbene non si sapesse la data esatta, era in corso di perfezionamento.
Dove ci sono industrie belliche ci sono agenti segreti. La compravendita di armamenti, che non sono armenti (o forse sono gli armenti d’un tempo) in quanto gli armamenti sono ornamenti, gioielli di famiglia da esporre nelle sfilate patriottiche (sic!); patria di chi è un mistero. Il mercato degli armamenti avviene sotto l’egida, supervisione, dei Servizi Segreti. Essi sono gli intermediari, essendo merce delicata controllano chi e come compra e cosa si vende: l’utilizzatore finale. È un compito non ufficiale ma ufficioso, un ruolo favorito tacitamente dai governi. Se lo sono conquistato chiavi in mano col beneplacito dei politici, una sorta d’uso capione, diritto consuetudinario assodato elargito a scatola chiusa. Tanto che l’apparato svicola dalle direttive politiche, devia dai compiti democratici; insomma fa un po’ quello che vuole di testa sua. Tanto la fa sempre franca avendo in mano i bottoni giusti come giustificare e ricattare. Le industrie belliche per tenere buoni i politici li foraggiano, inserendoli nei cda o in altri ruoli di sinecura e prebende a iosa.
In tutto ciò precipuo compito dei servizi è quello che le armi non vadano a finire in mani sbagliate, l’assurdo è che ci finiscono lo stesso; o perché non fanno buona guardia, o perché chiudono un occhio. Anzi spesso col loro consenso mettendosi in affari da mediatori incalliti con le mani sbagliate. “Pecunia non olet” sostenne Vespasiano: quindi niente fisime morali di fronte ai soldi, informazioni, scambi di favori etc. Il potere è questo bellezza!!! Non per Renata, che non riusciva a farsene una ragione. Nel varesotto ci sono parecchie industrie belliche e tante cellule di Agenti segreti pullulano da quelle parti, dentro e fuori le fabbriche. Hanno contatti e negoziano, accaparrano commesse immediate e ordinativi futuri: per smaltire i magazzini e produzione avvenire.
Le armi costano, si consumano, per consumarsi si devono usare devono ammazzare. “Settimo, non ammazzare”. Non fa una piega!!! Questo modo di funzionare dell’industria bellica si riverbera di pari passo nella vita sociale del mondo. L’uomo concepisce così il mondo, non il è mondo che rende così l’uomo: è il contrario, è l’intelletto camulato che determina questo mondo, questa atroce realtà. Guerre, guerre, guerre per produrre armamenti ornamenti come armenti da sangue non da latte. Devastazione, distruzione, ammazzamenti: fungo atomico non pianeta blu. Il fungo velenoso, mefitico-mefistofelico, non ci ha insegnato un bel cazzo, e continuiamo ad avvelenare l’unico pianeta blu che abbiamo. “E chiamatelo pure progresso se volete per placare i vostri illustri sensi di colpa subconsci”.
L’operazione pulizia etnica procedeva alacremente. Solo l’agente riottoso e tentennante dai sensi di colpi facili bisognava mettere a tacere.
Per celebrare la buona riuscita del business decisero di prendere una barca sul “lago nero” e fare una gita indisturbati. Il meteo prevedeva instabilità e se le nuvole si fossero presentate bastava solo dirigerle, cloud seeding, e innescare il tornado, downburst, per non farlo tornare più. Alle prime avvisaglie l’agente fu invogliato-plagiato a scendere sottocoperta per non prendere acqua e cautelare i reumatismi, cervice inclusa. E così fu. Le prove si basavano su fonti registrate, foto di straforo e una chiavetta spessa come quella un piccolo lucchetto.
Renata esaminava oculatamente i documenti, li mise in ordine in un fuoco di fila. La ricostruzione era perfetta, quasi completa. Mancava la cornice, qualche dettaglio ininfluente ed era fatta. Lo scoop ben congegnato, rilegato; una bomba atomica da fare esplodere su Israele.
Se sei in possesso di documenti scottanti che farebbero tremare uomini importanti ultra potenti canaglie dal cuore di pietra e anche il mondo tremerebbe volentieri se ne sbarazzerebbe buttandoli nella ciofeca dell’ultimo girone dell’inferno e tra la feccia della feccia li confinerebbe, allora cosa fai? Sei cosciente d’essere a rischio di morte, tante volte è successo; inutile citare esempi.
Quindi cosa fai per nasconderli? O li distruggi per non correre rischi? Sarebbe la cosa più semplice per evitare rogne, una fine immatura. Nasconderli non è sufficiente perché potrebbero da un momento all’altro saltare fuori. A distruggerli rimane sempre qualche traccia e loro, gli agenti, le tracce le fiutano come i cani e in più esigono che se ne lascino in giro: lavoro pulito. Scontato! Ma anche tu ora che li hai non li vuoi distruggere per la tua dirittura deontologica morale. Quindi o li divulghi subito una volta per tutte, ma la minuta la devi conservare, una copia al sicuro bisogna metterla come prova e come salvacondotto per la tua incolumità.
L’unica soluzione è quella di farteli rubare. Quindi architetti un furto senza spifferare nocumento alcuno e suspicione riconducibile a te. Un furto normale, topi d’appartamento mentre sei in vacanza. La stessa tecnica che adoperano loro. Ci metti un po’ di gioielli non importanti, pochi liquidi scadenti, qualche devices intonso e vai. Nella denuncia dichiari atti notarili e documenti di lavoro, inchieste su politici e gente dello spettacolo. Poi nascondi i veri documenti in modo tale che se ti succede qualcosa escano fuori con enorme scalpore: prove inconfutabili. Infine cerchi di pubblicare con le debite cautele del mondo giornalistico lo scoop appena confezionato.
“Se non li freghi tu fregano te”. La dritta ricevuta da Renata non faceva una grinza.
Parafrasando Arthur Rimbaud
Le bateau ivre
Siam partiti per una gita al lago
disgrazia volle che non tornassimo
ebbri di vino con le bollicine
ci siamo annacquati e brindato
doveva essere un incontro di lavoro
segreto per addetti ai naviganti
non so dove abbiamo peccato
tutto era perfetto e calcolato
no la tromba d’aria vicino la riva
mi chiedo come sia stato possibile
il repentino cambiamento climatico
inaspettato inascoltato, non mi do pace
ho l’impressione che c’abbiano affondato
la verità non si può dire se non a metà
ammainare la falsa bandiera
e innalzare quella a mezz’asta
con calma il fatto si dovrà analizzare
a tutto tondo nei suoi contorni
criptici ineffabili si vedrà, si vedrà,
i nostri flyeye vedono dappertutto
ma i panni sporchi si lavano in famiglia
nel buio misterioso del nostro fare
non c’è nulla da pubblicizzare se non confusione
per abbagliare i boccaloni, l’opinione pubblica
la resa dei conti a riflettori spenti all’OK Corral
sarà ce la vedremo noi senza la magistratura
la spy story s’infittisce e s’imbastardisce
nell’alveo limaccioso del fondale verrà insabbiata
quello che viene a galla sono solo panzanate
non per niente Servizi Segreti siamo
l’apparato trasparente democratizzato
col ruolo di guardiani oscuri del potere,
e che nessuno tocchi caino o rischiare
un incidente mortale ben camuffato farà.