Quando a Giacomo Matteotti fu impedito di tenere un comizio a Cefalù
(Di Mario Lupo) – Durante l’estate appena trascorsa, per difendermi dal gran caldo, sono rimasto praticamente chiuso in casa. E siccome non tutti i mali vengono per nuocere, mi sono dedicato particolarmente alla quotidiana lettura. Fra i vari libri, ho ripreso e riletto voracemente il documentatissimo libro di Matteo Di Figlia dedicato ad “Alfredo Cucco – Storia di un federale” (Quaderni Mediterranea Ricerche Storiche – 2007) che ricostruisce la complessa vicenda umana, professionale e politica dell’illustre personaggio castelbuonese, insieme alla società e alla politica locale e nazionale di quei tempi. Cucco, nazionalista confluito nel 1923 nel partito fascista, di cui divenne dirigente, fu eletto alla Camera dei Deputati nel 1924 nella Lista Nazionale. Fu insigne medico oculista, docente universitario, giornalista, scrittore. Fu vittima di una faida interna al partito fascista palermitano, ingiustamente perseguitato ed accusato di vari reati per i quali fu espulso dal partito. Subì vari processi ma fu sempre assolto con formula piena. Fu riammesso nel 1936 nel partito, del quale nel 1942 fu nominato vice segretario nazionale, e poi, nella Repubblica Sociale, fu nominato sottosegretario al Ministero della Cultura Popolare. Nel 1953 ritornò alla Camera come deputato del MSI e vi rimase fino al 1968, anno della sua morte. Ebbe sempre grande attenzione per i problemi del paese e si adoperò per la loro soluzione. Curò nel 1920 il “Libro d’Oro dei Caduti di Castelbuono” nella guerra mondiale del 1915-1018, promosso dal locale Gruppo Nazionalista, contenente le note biografiche di oltre novanta caduti (in totale, compresi i dispersi, furono 160 i caduti, come si legge nel numero 14 del 25 luglio 1927 “Il bancarello”, che li elenca con nome, cognome, grado, corpo di appartenenza).
Il libro di Di Figlia è arricchito dalle intense note autobiografiche e chiarificatrici con cui lo stesso Cucco descrive le sue vicissitudini dal 1923 al 1947, note che la famiglia ha permesso che venissero pubblicate.
Premesso doverosamente quanto sopra per sottolineare il contenuto principale del libro, voglio riportare, sia pure in sintesi, quanto vi si apprende, sulle elezioni nazionali del 4 aprile 1924 e relativamente a quanto accaduto in particolare a Cefalù.
Tali elezioni, annota Di Figlia, furono controllate ovunque dagli organi dello Stato (Prefetti, Questori, Sotto Prefetti) per evitare che gli oratori delle altre liste esprimessero giudizi negativi sul governo nazionale.
Singolare fu quanto avvenuto a Cefalù il 23 marzo a Giacomo Matteotti, il quale doveva tenervi in serata un comizio dopo che a Palermo, mentre comiziava, era stato oggetto di aggressione da un gruppo di fascisti. Ebbene a Cefalù, un gruppo di «cinquecento persone circa, fra cui tutte personalità spiccate luogo, emisero indirizzo Matteotti grida: abbasso e fuori da Cefalù» (come scrisse il Sotto Prefetto di Cefalù al Prefetto di Palermo il 24 marzo) e «Non piccoli gruppetti –si sentì di specificare il Sotto Prefetto il 26 marzo- ma quasi tutta la parte della cittadinanza che si interessa della vita pubblica e partecipa alle lotte politiche agì contro il Matteotti, giudicando il proponimento di lui di tenere un comizio come una vera provocazione non avendo qui il seme del sovversivismo mai dato larghi frutti» (…) e dunque «saggia era stata la decisione di Matteotti di ripartire immediatamente, poiché se egli avesse persistito nel suo proposito di tenere un comizio, ne sarebbe potuto derivare qualche fatto assai spiacevole, dato che gli animi dei cittadini erano pieni di fervore patriottico e di ostilità verso i sovversivi».
Insomma, anche qui da noi, chi era contrario al Governo e al Partito Fascista, era oggetto di ostilità, e veniva definito semplicisticamente “sovversivo”. Ostilità che due mesi dopo, a seguito anche del forte discorso alla Camera con cui il deputato socialista aveva denunziato i tanti brogli elettorali compiuti dai fascisti, avrebbe portato alla sua uccisione da parte di una squadraccia di fascisti con il beneplacito, espresso o tacito, dei più alti livelli del partito e del governo.