Revoca Mussolini: Cicero che ieri disse no a Prestianni, oggi dice sì al PD

(Di Massimo Genchi) – Il 10 giugno 1924, per una singolare coincidenza, mentre i fascisti rapivano e uccidevano Giacomo Matteotti, reo di avere denunciato in parlamento i brogli elettorali che avevano fortemente condizionato il risultato delle elezioni politiche del 6 aprile, la sottoprefettura di Cefalù rendeva esecutiva la delibera del consiglio comunale di Castelbuono del 23 maggio con la quale si conferiva la cittadinanza onoraria a Mussolini.

Il 10 giugno 2024, esattamente allo scoccare del centenario, il consiglio comunale di Castelbuono –onorando la figura e la memoria di un grande uomo morto per la libertà e per l’affermazione dell’Idea – non senza pretattiche, strategie, infingimenti, ripensamenti, stratagemmi, imbarazzi e strani silenzi, ha finalmente revocato la cittadinanza onoraria a Mussolini, mandante di quell’infame omicidio.

Dal momento che questa vicenda non nasce in occasione del centenario del 23 maggio ma si trascina ormai da diversi anni, con alterni esiti, differenti approcci, punti di vista e prese di posizione, a revoca ormai avvenuta, non appare inutile mettere in sequenza i fatti, così come si sono svolti, per renderli ancora più evidenti ed evitare, come sempre succede in questi casi, furbastri rimescolamenti di carte e salti della quaglia.

Prima di entrare nel merito, mi permetto un inciso. Naturalmente, l’auspicio del prof. Martino Spallino che nel giorno di Matteotti il famoso quadro impropriamente detenuto dall’ineffabile personaggio, ritenuto fin dall’infanzia una facci di maruni crudu, potesse fare ritorno a Castelbuono, si è rivelato vano. Ma, d’altra parte, nessuno si faceva alcuna illusione.

Ma ritorniamo alle vicende che, dopo tante determinazioni, hanno portato alla fatidica revoca che oggi, dal mio punto di vista, equivale ad affermare la netta opposizione al fascismo e ai suoi rigurgiti di cui ci sentiamo vieppiù soffocati, altro che « l’antifascismo è un termine strumentalizzato».

Il 12 agosto 2016 sul GDS apparve un articolo in cui si rendeva noto che nell’archivio storico era stata ritrovata la delibera consiliare del 23 maggio 1924 con la quale si conferiva la cittadinanza onoraria a Mussolini e le opinioni politiche circa l’opportunità di revocarla, raccolte fra le varie componenti il consiglio comunale di allora. Precisamente, il capogruppo Pietro Mazzola della parte politica del sindaco dell’epoca, si dichiarava contrario. Nella maggioranza si registrava una netta spaccatura perché se il capogruppo Giuseppe Fiasconaro era del tutto favorevole, Castiglia era contrario, Capuana Fabio sostanzialmente contrarissimo, mentre nulla emergeva circa le posizioni dei consiglieri che avevano abbandonato il sindaco in carica né di quelle dell’ideologo e regista di quella sporca operazione, nonché attuale sindaco. La cosa morì lì, nel senso che per quindici mesi non se ne parlò più.

Il 17 novembre 2017 il neo consigliere Prestianni ritornava sulla questione intervenendo, ancora sul GDS, con un articolo attraverso il quale avanzava espressamente la richiesta di revoca della cittadinanza a Mussolini. Richiesta che non sembrava avere i crismi dell’azione politica quanto, piuttosto, di una uscita in solitaria tanto che il suo sindaco Cicero, intervenendo nella qualità di Coordinatore Politico del Movimento Democratici per Castelbuono, puntualizzò che «il contenuto della riflessione del Consigliere Prestianni, [che] sicuramente non impegna il gruppo politico che ha vinto le elezioni a Castelbuono». E concludeva auspicando «che Castelbuono sia capace di riflettere non di rimuovere», affermando molto più chiaramente di averlo detto chiaramente, che era contrario alla revoca. Punto. Qualche giorno dopo, rispondendo a una interrogazione consiliare, di quella spinosa questione, più che altro interna al suo gruppo, sbrigativamente se ne lavò le mani dichiarando: «Non sapevo nulla della proposta del capogruppo Prestianni» e «fermo restando che il consigliere Prestianni è libero di esprimere il suo parere, personalmente non esprimo nessun parere, poiché la richiesta di revoca non è un aspetto amministrativo, ma politico, se ne dovrà discutere all’interno del Movimento Democratici per Castelbuono». Un modo come un altro per posteggiare l’intraprendente neo capogruppo, anche perché, da quel momento a quando poi se ne parlò, fece passare circa ventuno mesi e il neo capogruppo rientrò definitivamente ai box dato che «la sua proposta, però, non ha trovato la maggioranza necessaria in seno al Consiglio comunale, anzi ha riscontrato l’opposizione della destra del suo movimento, come la vice presidente del consesso consiliare Lucia Sapuppo e il consigliere Angelo Puccia». Ma non solo loro due, si capisce. Non c’è, infatti, alcuna ragione per ritenere che tutti gli altri aderenti al centro destra e facenti parte del «Movimento Democratici per Castelbuono», da sempre formazione di sinistra-sinistra, dovessero essere propensi a revocare la cittadinanza e non essere, invece, in perfetto accordo di fase con i due consiglieri della destra dello stesso Movimento. Insomma fu decretato il game over.

Il neo capogruppo, naturalmente, non la prese bene, anche perché l’opposizione di allora lo incalzò, invitandolo a valutare quel diniego come uno scaricamento politico. Con i suoi lui subito si affunciò, le dimissioni da neo capogruppo presentò, nel frattempo qualcuno lo lusingò, l’accordo si trovò, la funcia gli passò e le dimissioni ritirò. Anche perché dopo poco tempo sarebbe stato nominato assessore, poi anche coordinatore del Movimento di sinistra-sinistra «Democratici per Castelbuono», oltre a ricevere l’investitura di erede al trono, però in data ancora oggi tutta da destinare. Insomma c’erano grandi ragioni di opportunità per non riprendere la questione cittadinanza onoraria, onde evitare di mettere pulcini al sole. Insomma, da quel 2017, non se ne parlò più.

E forse non se ne sarebbe mai più parlato se, nel marzo di quest’anno, il coordinamento politico del PD, in concomitanza con il centenario della delibera, non avesse riproposto la questione della revoca, sottoponendola all’attenzione dei due gruppi consiliari per le necessarie valutazioni politiche. Come sappiamo, le tre forze politiche si sono riunite, confrontate, hanno allestito un programma succulento, strutturato su più date che si sono snodate dal 25 aprile al 10 giugno, centenario di Matteotti, attraverso il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci e centenario della cittadinanza onoraria, e il 2 giugno festa della Repubblica.

In tutto, quattro incontri non molto partecipati, a dire le cose come stanno, soprattutto da parte di ben determinate componenti di ancora più determinati gruppi politici. Certo, c’è da dire che nel nostro caso, diversamente dal solito, gli assenti hanno sempre ragione, perché fra essi e gli appuntamenti istituzionali, giusto giusto, si interposero inderogabili impegni lavorativi. Certo, Il 25 aprile e il 2 giugno sono due giorni notoriamente consacrati al lavoro. Come no!

Dal momento che questo appunto, niente affatto irrilevante, venne mosso dalla minoranza nell’ultimo consiglio comunale del 7 giugno, il Capo, da provetto e irriducibile piccolo scrivano fiorentino, giunto a casa, nottetempo, si produsse in una pièce politico-letteraria delle sue, nella quale, ammurtù, non abbondavano le lavòrnie ortografiche, a parte il CONFINE al quale erano stati spediti «Gramsci o Pertini» (e diverse altre migliaia di oppositori del regime, mi permetto di aggiungere). Non c’erano lavòrnie, caso strano, ma non c’erano neanche contenuti, come invece era naturale attendersi. E allora perché, questo intervento dall’onirico titolo UN SOLO SOGNO, just one dream, anzi per dirla col suo amico Cuffaro, just one drink?

Persone bene informate dicono che quella nota sia stata una precettazione in codice destinata ai suoi, che avevano disertato le tre precedenti iniziative, elaborata anche per prevenire la prevedibile assenza nel consiglio del 10 giugno, evitando così di votare la revoca, che si rendeva palese nel momento stesso in cui il capogruppo di maggioranza, signora Sapuppo, non aveva firmato la richiesta di convocazione del consiglio del 10 giugno. La motivazione ufficiale era per indisposizione, ma il presidente Piscitello ha condito la frittata dicendo che «la capogruppo era al lavoro per malattia». Bellissima! Ma in tutto questo non dimentichiamo che nel 2017, la signora Sapuppo, in quanto componente della destra del Movimento di sinistra-sinistra, si era opposta alla richiesta di revoca avanzata dal neo capogruppo. Ovviamente, se ciò dal punto di vista della libertà di opinione è ineccepibile, politicamente ha il suo peso.

Il Capo, date le contingenze e le autorità che sarebbero state presenti in aula il 10 giugno, non poteva rischiare in Consiglio di rimediare una così grama figura e, come suole fare in questi casi, deve avere chiamato a rapporto i malintenzionati e detto loro non più di due paroline. E siccome in paese ci conosciamo tutti, sappiamo esattamente cosa può avere ricordato a ciascuno di loro. Ovviamente alle paroline non è seguito alcun dibattito ma solo la pedissequa ripetizione da parte dei consiglieri di ciò che Garibaldi disse a Teano. E infatti l’altra sera in consiglio nessun assente, nessun voto contrario, ma l’imbarazzo e il disappunto si tagliavano con la scimitarra e non è un caso che la votazione non sia stata preceduta da alcuna dichiarazione di voto né da alcun intervento da parte del capogruppo di maggioranza signora Sapuppo né del vicecapogruppo.

Lo scialbo post notturno di Cicero sarebbe passato del tutto inosservato se non fosse stato impreziosito dall’autorevole parere dell’architetto Marsiglia, politico di lunghissimo corso, il quale, da sfegatato fan di Cicero qual è, si è voluto congratulare di persona, ma impersonalmente, con l’estensore del post per la «Ottima risoluzione» con la quale tarpava le ali a chi dei suoi quella sera avrebbe voluto volarsene via. Quindi ha concluso fiducioso che «La discussione della deliberazione potrebbe servire a far venire fuori collocazione politica dell’opposizione».

Ora, l’architetto Marsiglia, o per suoi strani esperimenti è stato per tanti anni nel freezer, lontano dalla realtà, o la cosa è davvero grave (ma non seria, come diceva Flaiano), se davvero deve realmente capire quale sia la collocazione politica di questa opposizione. Auspicando che la discussione in consiglio «potrebbe servire a far venire fuori» qualcosa di scabroso, forse magari nelle sinapsi dell’architetto Marsiglia si annida il fondato sospetto che l’odierna opposizione consiliare possa essere una propaggine di Casa Pound o di Forza Nuova, o anche una cucciolata di nipoti di Concutelli. Sicuramente il dato netto è che oggi, in Italia, serpeggia un malessere interiore molto più che diffuso.

All’architetto Marsiglia, ho detto del freezer non per dileggiarlo ma perché sicuramente gli è sfuggita, fra le mille altre, l’iniziativa di questa opposizione che, provocatoriamente, in apertura del consiglio comunale del 4 novembre 2022 invitò la maggioranza a cedere loro gli scranni di sinistra e a prendere posto in quelli di destra, coerentemente, data la palese esposizione politica con le forze di destra di diversi consiglieri, assessori e presidente del consiglio, ignota forse solo all’architetto Marsiglia, impegnato come deve essere, nella qualità di presidente della commissione tecnica di riqualificazione dell’area castellana, a stabilire se l’acquario in vetro e metallo del bar di piazza Castello si confà alla sua weltanschauung urbanistica dell’area del baglio grande del Castello. Così come devono essergli sfuggiti gli innumerevoli atti amministrativi non proprio di sinistra posti in essere da questo sindaco e dalla sua giunta, oltre che i diversi comizi tenuti dallo stesso in amoroso pendant con l’iperdestro GB Meli, con Pantò, sotto le bandiere di don Totò Cuffaro e con Ismaele Lavardera, omologo meridionale di Calderoli. Allora, architetto Marsiglia, precisamente da quale parte del consiglio comunale deve venire fuori la relativa collocazione politica? Dopo questa lunga ricostruzione può arrivarci anche da solo.

Invece, per il lettore, è d’uopo chiedersi come mai Cicero, che nel 2017 riteneva congruo «riflettere» e non «rimuovere», oggi invece si è trovato pronto a rimuovere? Forse perché stavolta la proposta di revoca aveva una valenza politica più forte, rispetto all’uscita in solitaria del neo capogruppo del 2017, essendo stata presentata da un grosso partito nazionale e sposata anche dall’opposizione consiliare? Forse perché nell’iniziativa venne subito coinvolta anche l’ANPI di Palermo, di cui Cicero è tesserato e sarebbe stato imbarazzante «non rimuovere»? O, più verosimilmente, perché apprestandosi Cicero a rientrare nel PD, questa revoca costituisce un biglietto da visita eloquente? Boh! Forse tutte e tre, forse qualcuna, oppure nessuna delle tre. In ogni caso, quale che sia la reale motivazione, state pur certi che questa revoca, presto o tardi, il signor sindaco se la spenderà per suoi tornaconti politici.

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