Semiti e antisemiti oggi
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(Di Francesco Di Garbo) – Per giustificare l’immane carneficina e l’atroce aggressione perpetrata nei confronti dell’inerme popolazione palestinese Israele e tutti gli israeliani presunti e/o certificati patrioti hanno l’improprio ardire di perseverare a battere a coppa quando la briscola è a bastoni. L’alibi, il chiodo fisso a cui si aggrappano è quello dell’antisemitismo. Riportano continuamente la questione e il discrimine della guerra al concetto di antisemita, facile riduzione che rivanga e fa eco al terribile olocausto nazista su cui viene spontaneo costruire e inalberare il paravento antisemita dove mistificare e travisare ogni scusa e giustificare gli efferati crimini.
Nel modo in cui l’ebraismo propala l’antisemitismo e lo innalza a giustificazione rivolgendolo alla memoria del genocidio altro non fa che buttare fumo negli occhi all’opinione pubblica per tirarsela dalla propria parte e screditare gli avversari (nemici). Giocoforza devono battere a coppa, non possono dire che la briscola è a bastoni. Non possono dire che non è l’antisemitismo bensì l’antisionismo quello che si manifesta nelle piazze e in ogni luogo contro Israele, cioè che si va contro il fascismo neosionista fondamentalista e terrorista che gli ultraortodossi ebrei praticano religiosamente. Altrimenti inequivocabilmente passerebbero dalla parte del torto: si scoprirebbe l’altarino e cadrebbe l’alibi.
Nel sancta sanctorum della coscienza ebraica, sadducea-farisea, si cela l’antisemitismo di comodo che fa da pretesto al neosionismo. Per inciso questa era quella cattiva coscienza contro cui si è battuto Gesù e per questo motivo l’hanno condannato a morte. Quindi l’Onu per Netanyahu altro non è che una palude antisemita, per le comunità ebraiche le manifestazioni pro Palestina altro non sono che espressioni antisemite. Loro il bene gli altri il male. In genere per il ponte di comando chiunque cerca di sovvertire l’ideologia occidentale, lo status quo del potere costituito viene considerato terrorista, è additato come il male.
Da quanto detto mi sembra implicito scontato e pacifico che non difendo l’islam radicale, tanto meno gli annessi e connessi del fondamentalismo religioso: secondo me ogni suzione religiosa è intollerante e nociva per la pace e la convivenza tra i popoli, soprattutto ebraismo ed islamismo. Una cosa è cercare di far capire con le buone agli islamici che i diritti civili, le libertà personali vanno rispettati e che sarebbe bene cambiare certe usanze troglodite. Ma questo va fatto senza creare contrapposizione, odio, rancore: quel Noi/Loro esiziale che crea guerra e distruzione; col risvolto di incancrenire le cose senza nessun risultato a lungo termine.
È stato ragionando in questi termini che Hitler s’è convinto della superiorità dall’arianesimo, la razza ariana, e ha concepito la soluzione finale. Alla stessa stregua è ragionando così che Netanyahu e i suoi accoliti ultraortodossi stanno attuando il genocidio dei palestinesi giustificandolo con l’antisemitismo, e quindi lo usano quale pezza d’appoggio per l’Olocausto in atto: la soluzione finale.
La storia dimostra che le crociate non hanno risolto nulla, anche stavolta sarà così. L’idea di voler ridisegnare la geopolitica del medio oriente è talmente peregrina che sarebbe come pensare un mondo senza medio oriente. Tale e quale l’idea del cancelliere austriaco Metternich che sosteneva che l’Italia è una mera espressione geografica e quindi era ovvio tenersi il lombardo-veneto. Risultato: l’Austria ha perso l’impero, (gli imperi vanno e vengono i popoli rimangono). Se ci riusciranno, cosa molto improbabile, in ogni caso sarà una vittoria di Pirro funzionale a breve termine finché i musulmani non si riorganizzeranno. In effetti tutti gli analisti militari e geopolitici sostengono che Israele non ha una benché minima strategia per il dopo; la strategia è: intanto si va poi si vedrà. Accadrà come con gli Usa nella seconda guerra all’Iraq, risultato: il Califfato, l’Isis. Fare dell’antisemitismo il presupposto del dominio semitico nella regione non sta né in cielo né in terra, è solo mera illusione.
L’altro puntello a cui i sionisti, gli israeliani, si attengono è quello del diritto alla difesa: difesa dal terrorismo arabo. (Sul terrorismo ci sarebbe molto da discutere, non è questa la sede). Ma dalla difesa all’offesa il passo è breve, infatti nel giro di poco negli israeliani è subentrata l’idea di sbarazzarsi una volta per tutte del male passando all’offesa in modo indiscriminato facendo di tutti i palestinesi un fascio: tutti terroristi. Cosicché hanno buttato la maschera e i veri terroristi sono diventati loro. Con la sistematica rapina coloniale dal 1948 lo sono sempre stati.
Gli israeliani a furia di dichiararsi vittime vanno ad alimentare essi stessi l’odio antisemita. L’antisemitismo viene usato come arma del vittimismo e da lì per l’imposizione del dominio semita. In realtà, a parte una sparuta minoranza nazifascista, nessun altro si reputa antisemita. Quindi l’antisemitismo, il diritto di difesa, agli ebrei serve come alibi squinternato a cui aggrapparsi per la conquista di nuovi territori.
Il patriottismo ad ogni costo, abbia la Patria torto o ragione in quanto è pur sempre la mia Patria, si regge su una logica incongruente. Il patriottismo giudeo-fariseo si informa e conforma sull’arrogarsi il diritto di difesa ribaltandolo in quello d’offesa; cioè dell’efferata pulizia etnica, genocidio, dominio militare in tutta l’area. Lo fanno scambiando di ruolo la condanna truce e cruenta della guerra che i pacifisti reclamano ad alta voce nelle piazze di tutto il mondo additandoli come rigurgiti antisemiti e ribattendo che si tratta di difesa dell’ebraismo. In questo modo Israele tramuta la difesa in offesa. Avuto il casus belli del 7-10-23 dichiara guerra all’Islam e persegue la pulizia etnica per accaparrarsi i territori circostanti con la scusa della difesa.
Il patriottismo giudeo-fariseo oltre ad avallare il genocidio lo alimenta inviando aiuti finanziari al macellaio Netanyahu e relativi accoliti. Finché il Grande Altro dell’impero occidentale, Usa in primis, gli daranno corda Israele farà la voce grossa e se ne sbatterà dei richiami all’ordine dei vari leader, Macron, Biden e quanti altri. Intanto la Meloni va in sinagoga ad omaggiare i farisei-sadducei e ai palestinesi non rivolge nemmeno lo sguardo, anzi vieta il diritto di manifestare. Finché l’industria militare italiana farà affari con gli israeliani, noi italietta per un millesimale di Pil in più avremo le mani macchiate di sangue e non saremo assolti bensì coinvolti nell’eccidio palestinese. Il vile denaro, sterco del demonio, l’avrà vinta. Il demonio lascerà perseverare i malefici costruttori di armi assassini che lucrano sulla guerra: tutte le guerre. Finché l’opposizione non si degnerà d’alzare la voce prendendo posizione netta e recisa nei riguardi di Israele avrà la coscienza sporca da nascondere agli elettori.
Il rapporto Draghi sulla competitività presentato a Bruxelles si basa su due pilastri portanti: 1) difesa europea, 2) tecnologia. Sono le due facce della stessa medaglia: riarmo e armamenti. La difesa implica un enorme investimento sul militare, la tecnologia serve prima di tutto al militare e solo dopo in seconda o terza battuta per la società civile. Più armi significano più guerre, l’equazione è scontata; loro non lo danno a vedere, a capire, perché la raccontano sotto forma di deterrenza, mostrare i muscoli per deterrenza; ma non ce la possiamo bere questa medicina perché è un farmaco avvelenato. Più che di armi e disciplina militare c’è bisogno d’acqua, strade, servizi (scuola, sanità) etc. ed è necessario opporsi a questa ideo-logica concezione del mondo.
A Strasburgo, a Roma, a Palermo, a Castelbuono è necessario far sorgere una nuova idea di mondo, di società, di vita. Non si può avallare, votare per l’invio di armi anche d’offesa, non si può avallare votare a favore dell’industria militare, non si può non opporsi al Ddl 1660 di repressione e disciplinamento sulla società: da un lato si declama la libertà (anarchia capitalista) e dall’altro la si vuole circoscrivere, delimitare: si vuole reprimere il dissenso all’anarchia capitalista. Non si può avallare il capitalismo caritatevole, la beneficenza di un telescopio quando più che altro si ha bisogno di industrie produttive da mettere in condizione ottimale per potersi ulteriormente sviluppare. Tutti questi no non sono no tanto per non volere, sono no che significano sì, sì alla vita, sì alla pace, sì all’uguaglianza e sviluppo, sì alla convivenza civile reciproca.
In un mondo non più bipolare e nemmeno unipolare, bensì multipolare è ora, è arrivato il momento di riconsiderare il ruolo atlantico dell’Italia. Riprendere a parlare di alleanze, riportare in auge il dibattito sulla Nato, guardarsi attorno e aprire gli occhi verso dove dirigere lo sguardo, se ad est o ad ovest, o verso entrambi nel rispetto di tutti. Veniamo dalla tradizione di Berlinguer, di Pio La Torre, di Capanna e Pertini, del comitato della pace castelbuonese contro i missili a Comiso, e da lì si può ripartire. Da quando l’occidente ha preso in mano le redini del mondo non ha concluso nulla di buono in tutti i sensi, (economico, politico, sociale), la Nato men che meno.
Dovrei concludere con un accorato appello a tutte le forze sociali e politiche, a tutti i cittadini a rimboccarsi le maniche, vorrei ma non lo faccio. Mi sembra che quanto detto sia più che sufficiente.