Trentasette ragioni per amare gli Ypsini
(di gianfrx – www.ypsigrock.com).
E’ il 5 agosto e tutto procede vorticosamente alla trasformazione, siamo a Castelbuono, e ci sono 37 buone ragioni per sorridere.
Nel frattempo è il 5 agosto anche in 37 comuni siciliani nei quali fervono i preparativi per autentici colossi dell’intrattenimento per i quali ci sono cinquecentomila ragioni per sorridere.
La Sicilia, per chi ancora non lo sapesse, è strategicamente posta al centro del Mediterraneo, ce lo hanno ripetuto circa un milione di volte, ma se il Mediterraneo è enorme rispetto al mio vasino da notte stessa cosa non si può dire rispetto al mondo.
Già il mondo, dunque è il 5 agosto anche a Budapest, Oslo, Goteborg, Helsinkii e molte altre città famose in quella settimana per tirare su colossi dell’intrattenimento quali Sziget, Oya Festival, Way Out West, colossi sì ma non così colossi quali quelli troppo colossali dei 37 comuni siciliani.
Il nostro esperto musicologo italico il 5 agosto è già reduce da qualche data di Rock in Roma, è stato al Primavera, lo vorrebbe al Pukkelpop, ha in agenda il quaranta percento dei contatti del Miami e col sessanta ci ha bevuto gratis, altrimenti son cazzi nei forum e sui social network.
Se il 5 agosto il nostro non è stato a Glastonbury, non ha in mente lo Sziget, resiste al Burning Man meglio conosciuto come notte della Taranta oltre ad una vagonata di festival italici, allora lo vedremo allegramente recarsi con precise pretese a tiro degli Editors e contorni a Castelbuono, Indio, California.
Origliando qua e là scopro essere stata la prima volta della pioggia in diciassette edizioni del Festival.
E’ una frase da colpo di fulmine, me ne innamoro ma c’è una crudeltà dietro a tanto amore.
Anzi due.
Agli inizi degli anni zero Ypsi era roba per purissima affezione inoltre stava male e quasi spirò. Accadde tre volte in due anni sotto tre diluvi con i seguenti effetti: interruzione definitiva dello show di Mr. T- Bone, benedetta pioggia ma stava male siete state avvertiti, spostamento acrobatico dei Kech e trionfo romantico degli Zu sugli Yuppie Flu.
Accadde ciò e l’estremo gesto romantico degli Zu fu di riportare in piazza pochi sparuti temerari là dove il cielo non gocciolava più e la dura pietra era un enorme lago.
Dieci anni dopo.
Un piccolo festival italiano si è affacciato in Europa nonostante la terribile crisi di questi ultimi anni. Un caro amico, assente solo stavolta, disse piccoli segreti ben tenuti, dunque non è il caso di svelarli in quest’occasione.
Un festival con tanti soldi e senza pubblico non farà molta strada, e tra il pubblico di questo Festival troverete i tanti volontari, esperti in previsioni meteo, che ne animano il corpo senza che essi scelgano per sé posizioni privilegiate, sono tra il pubblico, sono il pubblico nella sua pancia più fiera.
Li troverete sempre tra il pubblico ovunque decideranno di andare, acquistando un biglietto, affittando una casa e comprando una birra e un panino.
Vivono da spettatori, organizzano da spettatori e sono gli spettatori.
Ypsigrock deve la sua vita al suo pubblico, gli Ypsini di cui ne è commosso fino alla fierezza.
Quando le prime gocce d’acqua son cascate su piazza Castello Ypsigrock ha scoperto qualcosa di inimmaginabile solo qualche anno prima, anche al tempo degli Zu, e cioè di essersi meritato finalmente un pubblico estremamente stupefacente e contrario ad ogni stereotipo italico.
Hanno vinto gli Ypsini e rimanga sempre in gloria l’immagine degli Shout Out Louds che ne hanno percepito e rilanciato l’unica perfetta spiegazione chiamata amore viscerale per il rock and roll and we still love it.
Basterebbero solo queste parole per spiegare ai professionisti dell’accredito, quelli per cui è lesa maestà pagare un biglietto per sé ma anche per fidanzate, amanti, vicini di casa, meccanici di fiducia e compari di clan, quanto siano loro lontani dal concetto puro di spettatori.
Non pagano, possono anche permettersi il lusso di trincare altrove, lontani dal cuore ma vicini ai loro esseri prevedibili e noiosamente di parte.
C’è un pubblico che paga e gente che lavora duramente e pure gratis per lasciare intatti i portafogli dei professionisti degli accrediti, le sanguisuga dei sudati sogni altrui.
Il futuro è già nostalgia, ma lo era delicatamente il presente di quel venerdì, dieci incredibili ore per aspettare una coincidenza, band e pubblico si prendono per mano, If you fall asleep down by the water, è un coro, lo senti, un coro, i won’t stop loving you, e brillano gli occhi come le stelle appena intraviste lassù.
Gli Ypsini si sono scoperti inglesi nel sangue, una molla pronta a scattare ovunque qualcuno lo meriti, niente ruote ad Ypsi, il pubblico fa sempre tagadà e gli Editors sono enormi così, ad un passo.
Nel mio torricelliano frigo ci sta una bottiglia con le bollicine, il cui tappo fa stap, di una certa importanza, almeno credo, l’aprirò insieme a qualche altra per svariati motivi tra cui un brindisi a quel lungo weekend di sussulti per intervalla insaniae.
Faremo stap e diremo alla tua Mr. Y, ai ceffoni del 2012 restituiti con delirante magnificenza, diremo alla tua trentasette volte e poi sbronzi insieme abbracciati correndo alla festa della Vendemmia e alla Fera di San Gandolfo.
Tu, Festival, non sei normale, la tua storia è lunghissima ma è sempre l’ultimo fortissimo a ubriacarti e piangere. E così fu anche stavolta, bastardo.
Brevi note a margine.
Ypsigrock Festival 2013: best acts Giovanni Sollima, Niccolò Fabi, Max Gazzè, migliore scoperta Emma.
Lontana eco del Salento, il Futuro è già nostalgia, in cui i Piccoli si divertono in uno scrigno svelante Indians, Deptford Goth, Black Eyed Dog e Une Passante, con gli Editors tre ore dopo ai nudi e immortali Metz, con Werto l’elettronico tra gli orsi, con Johnny Cash e la faccia da Rover, in un esteso unisono cullati dai Local Natives, ammaliati dall’eleganza degli Efterklang, accarezzati dagli Youarehere e e sorpresi da HLMNRSA, tra le scosse telluriche di Alkan, Omosumo e Shirt vs T-Shirt, Il Futuro è già nostalgia, i wont’t stop loving you, Taranta power is comeback