Ultima puntata: il soprannome impazza Funciazza, Setti purcieddri e Manazza (Parte 3)
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Accanto ai soprannomi decognominali, altra grande categoria è quella in cui prevale la motivazione ludico-scherzosa che, prendendo spunto da caratteristiche vere o presunte del soggetto, “ne suggerisce una connotazione irridente o laudativa, ingiuriosa o affettiva, talvolta anche triviale”.
Di questo gruppo fanno parte soprannomi riguardanti caratteristiche fisiche: u Lùongu, u Curtu, u Rùossu, u Siccu, u Nanu, Pilu rrussu, u Nìviru, u Pilusu, Scajjuni, u Sciancatu, Tali soprannomi possono anche ricorrere nella storia di una comunità nel senso che, per esempio, Patàcchiu è stato riferito da sempre alla stessa famiglia Coco, e anche Campanìeddru pur transitando dalla originaria famiglia Oddo, ai Barreca e infine ai Cicero (sì, Campanìeddru è andato a finire lì) si è propagato attraverso lo stesso ceppo familiare mentre u Curtu, u Rùossu ecc. si ripresentano, anche senza avere un filo di parentela, non appena le caratteristiche fisiche del soggetto lo permettono. Pur non essendo stato accertato, è possibile che in passato a qualcuno sia stato apposto il soprannome Scajjuni. Non lo sappiamo, ma certamente sappiamo chi fu l’ultimo di essi: Peppino, provetto sagrista nella parrocchia di sant’Antonino, indaffarato con i fedeli ogni anno la sera della processione del Crocifisso allorché tutti volevano entrare in chiesa prima del rientro del Santissimo. Una volta, al colmo della sopportazione, Peppino, nell’esercizio delle sue funzioni, li paralizzò sull’uscio con la sua voce stentorea: òouu!, siddri unn’arriva u Cruggifissu ccà un trasi mancu Ggesù Cristu!!!!! Che è quanto dire.
Sempre attinenti alle caratteristiche fisiche, ma più pregnanti di paesanità sono, invece, le nciùrie Aricchï, Bbuffu, Chiàfara, Cùoddru-lùongu, Facciuni, Funciazza, Misirra, Mìecciu, Mùoddru, Nasca, Naschi-mpinti, Naschitta, Naticuni, Panza, Piruzzu, Tatarànchiu, Test-ê-riddru, Tistazza, Tistuni, Tri-ttesti, Uaddrarusu, Vrazzuddru.
Se qualcuno se lo sta chiedendo, vi dico che Manazza non fa parte del novero di queste nciùrie perché la motivazione non va ricercata in ‘grande mano’ bensì in ‘faccendone’, ‘lavoratore alacre’. Simile ambiguità, non ancora sciolta, presenta il soprannome Vrazzuddru che potrebbe essere stato riferito a una persona avente il braccio offeso o più piccolo o, più verosimilmente, a un avaro. Analogamente, Tistazza, soprannome di tutti quei Minà, che vanno da Neluccio Minà, a Mariuccia Genchi, dai Minà della Valigeria Quattrocchi di Piazza Massimo, a Gianni Minà, potrebbe significare ‘testa di grandi dimensioni’ ma anche ‘persona ostinata’ o ‘geniaccio, persona di ingegno forte ma indisciplinato’. Qualcuno della famiglia magari propenderebbe per questa ultima motivazione ma come si fa a escludere che non sia la seconda ipotesi o addirittura la prima? Non è facile. Per contro, è certo che il movente del soprannome Funciazza risieda nelle labbra prominenti del titolare il quale, sentendoselo dire, non faceva certo i salti di gioia. Così come non si rallegrò, màsciu Sariddru Funciazza quando una sera, tantissimi anni fa, nel corso di una maschera di carnevale alle Fontanelle intrisa di presunto umorismo e dubbio gusto, si parlò, del povero màsciu Sariddru e di suoi fatti privati, per tutta la durata della stucchevole maschera, che finì a dolorosa scena per via dei non brevi e tutt’altro che piacevoli strascichi. Forse magari sarà per questa non allegra vicenda che oggi qualcuno, una pasta di humour, mostra grande idiosincrasia per Le Fontanelle.
Fra i soprannomi che connotano chi li porta, alcuni hanno valenza positiva quali Bbeddraffacciatu, Bbellizza, Bbiddrìcchiu, Sciacquatu, Paciuzzu, Pilidoru, a Bbona. Che poi sarebbe tutto da capire il significato di questo aggettivo, Bbona, quando viene riferito a un maschio: voi prendete, per esempio, il master di CastelbuonoLive, lui è Ntòniu a Bbona, since 1773. E uno dice: mah! cc’è pirchì! Effettivamente, a volte, i soprannomi appaiono un po’ incomprensibili. Poi vai a studiare le cose come si deve e ti accorgi, rimanendo parecchio deluso, che la formosità non c’entra nulla e che invece la motivazione è da ricercare nel cognome Di Bono di un antenato del Seicento. Altri soprannomi di significato diametralmente opposto ai primi sono per es., Cosci-lùordi, Facci-lorda, Facc’i-càntaru, Testa-lorda fino ai triviali Caca-feli, Culu-atturratu, Culu-cacatu, Piscia all’aria, Piscia-cantunera, Piscia-lìettu, Tira-piciolla. Ora, lasciando perdere la motivazione di Culu-cacatu per il quale possiamo filosofare quanto vogliamo perché, pur cambiando i termini della questione, il senso della disquisizione non cambia, cerchiamo di chiarire, en passant, il senso della nciùria Facci lorda. Dietro a essa non si nascondono ataviche ed ininterrotte liti con l’acqua e col sapone né controversie con la pulizia e neppure con la liscìa. Più semplicemente, il soprannome è dovuto a una patologia dermatologica, una forma di melanodermia, che, quando è localizzata sul viso, in Sicilia, ggiustu ggiustu, è detta facci lorda. Quindi non solo il poveretto ha avuto una vita di guai estetici, per giunta ha dovuto subire l’onta, con tutti i suoi discendenti, di essere ritenuto un lùordu.
E a proposito di soprannomi malintesi, mi sembra giusto ridimensionare – che è proprio la parola più adatta – la trivialità che aleggia su Tira-piciolla dal momento che non è per niente detto che debba sottendere la peccaminosa pratica che un po’ tutti abbiamo nella tarlata testa. Mentre è più verosimile che questa colorita nciùria abbia avuto terreno di coltura nella innata e innocente camuliddra che hanno i bambini, piccoli e anche meno piccoli, di allora ma anche di oggi, di prendere l’aggeggio per l’estremità libera e fare tira-c’allonga rimanendo piacevolmente sorpresi nel vedere quel coso che si comporta quasi come un elastico. Niente di strano che il bambino in questione, oltremodo curioso, con fare da fisico sperimentale, abbia ripetuto tantissime volte l’operazione, forse nel tentativo di trovare la legge matematica in grado di legare la forza applicata all’allungamento. Certo, se veramente è stato così, sarebbe stato più giusto dire Tira-cirichilleddra, ma ovviamente hanno pensato che dal punto di vista comunicativo tirasse di più l’altra, come di fatto è stato.
Per rimanere in tema – addrìccati e vacci – di soprannomi connotativi, un gruppo fa esplicito riferimento agli organi genitali, maschili e femminili, senza che la cosa, a parti – come si chiama u survizzu – c’entri necessariamente qualcosa. Le più conosciute sono Bbàcchiu, Picicallàcchiu, Minchiazza, Piciùciu, Picicanìeddru, Piciolla-sicca, Piciulleddra che hanno un’accezione assai scherzosa e per niente offensiva. Essendo in argomento, non è mai inutile tenere presente, se mai ce ne dovesse essere di bisogno, che in dialetto l’organo sessuale maschile è rigorosamente di genere femminile e viceversa. Cioè u Bbàcchiu, come si sa, pur essendo di genere maschile attiene alla femmina ma non c’è dubbio sul fatto che Màsciu Vicinzinu u Bbàcchiu sia màsculu. Vabbé, ci siamo capiti, va’. Allora, Màsciu Vicinzinu u Bbàcchiu, dei La Grua, da non confondere con la genia dei seven little pigs ‘sette piccoli porcellini’, falegname di professione, suonava il sassofono nella banda e frequentava assiduamente il teatro, come la stragrande maggioranza degli artigiani castelbuonesi di allora. Non come quelli del Comitato per Le Fontanelle che al teatro non ci vanno mai… Dunque, una sera di veglione nel vecchio teatro, non ancora “Le Fontanelle” e meno che mai “Le Cammaron”, presenti lui e la sua signora, un gruppo mascherato attaccò:
– u llu sa a mmàsciu Vicinzinu?
– quali màsciu Vicinzinu?
– chiddru,….u mascirasci dâ stratê Pùrpuri
– ma cu u Bbì?
– no, chiddru ccû strummìentu tùortu (terribile allusione…. al sassofono)
– ah!, u Bbè!
– no
– ma neca è u Bbò?
– ma quali Bbò!
– ah!, allura siddri unn’è u Bbì, u Bbè, u Bbò, cu è, u Bbà?
– se!, u vidi ca u capisti! U Bbà, u Bbà, u Bbàcchiu.
Il povero Màsciu Vicinzinu, colto di sorpresa, non solo dovette pazientemente sopportare tutta quella sarsa, che si protrasse per un bel po’, ma subì anche le rimostranze della moglie: – disgrazziatu, mi purtasti ô teatru ppi ffàrimi accampari a facci di nterra?
Altri soprannomi di natura ludico-scherzosa, ma stavolta afferenti a tratti comportamentali sono Annoia-varca, Bbriatera, Cannilivari, Ciacialanu, Frascazza, Lagnu, Lùoccu, Malatrama, Manciuni, Mariùolu, Mischinu, Nchiana-ticchiena, Peppacugnu, Picicuni, Spropòsitu, Stizzusu. I titolari di quest’ultima, di cognome sono sempre La Grua, come a màsciu Vicinzinu, ma sono anch’essi disgiunti dalla genia dei Magnifici sette che, naturalmente, non è il film che ha consacrato Steve McQueen, Yul Brynner e Charles Bronson ma la genia dei sette porcellini, addirittura più che raddoppiati, forza della prolificità, rispetto ai tre della ben nota favola. Un po’ tutti, penso, ci siamo chiesti quale sia il movente del soprannome Setti purcìeddri. Scartate le ipotesi più fantasiose, ho ipotizzato che la motivazione potesse risiedere nel fatto che una Porcelli, sposata a un La Grua, avesse dato alla luce sette figli, magari non contemporaneamente, ma – comi i chistiani – uno alla volta. I sette figli di una Porcelli, per il popolo, senza dubbio sarebbero stati setti purcìeddri. Bellissimo! Peccato che le verifiche anagrafiche, abbiano dato esito negativo. Se fosse stato confermato, sarebbe stato spettacolare. In compenso però, sappiamo che Picicuni non è un refuso della parola più nota del parlato castelbuonese ma fu apposto a una persona noiosa e molesta, Annoia-varca, deformazione di Annea-varchi sta per uno che tende ad agire in maniera raffazzonata, cioè uno che ha la capacità di mandare in malora tutto ciò in cui si cimenta, in breve, uno che nzocchi tocca stocca (alberi inclusi). Anche se il soprannome è attestato fin dalla fine dell’Ottocento, non sarebbe difficilissimo fare un esempio, riferendolo all’oggi.
Tante volte si è identificati con una nciùria, a partire da un oggetto caratterizzante, come nel caso del soprannome Pompa, riferito al noto idraulico, ma allora si diceva màsciu di l’acqua, non tanto per le pompe idrauliche quanto per essere stato, in gioventù, addetto a manovrare la pompa del distributore di carburante, allora ubicato Sopra il ponte. Casi come questo, che non sono isolati, pur non importanti in sé, potrebbero rivelare un indizio per capire i moventi alla base di certe nciùrie, che si riferiscono a oggetti come Caddrùozzu, Cargiteddra, Cavijjuni, Chiacchitìeddru, Chiùovu, Ciarameddra, çiaschitìeddru, Jjiòmmaru, Muzzuni, Pateddra, Pignatuni, Pisciarùottu, Quararuni, Rrucchellu, Rrumanìeddru, Rrunca, Rrùocciulu, Sciàbbula-vècchia.
I meno giovani di voi ricorderanno Enzo Macaluso, infaticabile animatore di Radio Antenna Italia e organizzatore di diversi veglioni di Carnevale al Cine Astra che costituirono una vera attrattiva. Allora, non c’era bisogno di ricordare ai tantissimi appassionati che sabato, domenica e martedì c’era il veglione. I posti a sedere si esaurivano e la pista da ballo si riempiva senza bisogno di essere raggiunti fino a casa con amorevoli messaggi di Alert system. Si era nella prima repubblica, a livello centrale c’era ancora il ministero delle partecipazioni statali. Oggi che siamo tutti imprenditori, liberisti, financial e, da tempo, non esiste più il ministero delle partecipazioni statali, dicono si abbia intenzione di istituire localmente un istituto per le partecipazioni comunali ad iniziative private. Una concezione non proprio olivettiana dell’imprenditoria. Quei veglioni, dal 1986 al 1989, furono organizzati a cura, e soprattutto a tasca, di Enzo Macaluso senza paracadute e senza spocchia ma solo mettendo manu a sacchetta, la sua. Che c’entra tutto questo? Quid hic in hac re? Niente! Dunque, la nciùria di quel ramo di Macaluso è Carrata la quale non si lega con i carri e le carrarecce, ma forse con le botti. A carrata è, infatti, il volume di un insieme di doghe, tutte delle stesse dimensioni, disposte a strati, in modo da formare un cubo. Carrata deriva dal francese carre, ‘angolo, spigolo’ e in dialetto quarra è lo spigolo vivo di un’asse. La trasformazione del nesso qua in ca si riscontra in diversi termini come quarusu, oggi quasi sempre carusu e iuquari, oggi quasi sempre iucari. Ciò potrebbe avere determinato il prevalere di Carrata su Quarratu, che a Castelbuono è attestato anche come cognome. Però, se la motivazione di Carrata è da far risalire al cognome o al cubo di doghe non lo sappiamo ancora.
Le nciùrie derivanti da oggetti, anche se possono richiamare aspetti del carattere (per es. Chiùovu, un tipo cavilloso; Rrucchellu, un discoletto) o fisici (per es. Quararuni una persona tarchiata; Pateddra, un grassone), rimangono al di sotto della connotazione offensiva. Molte persone, specialmente se di spirito, hanno saputo ridere del proprio soprannome e, all’occorrenza, lo hanno saputo ritorcere.
Sul finire degli anni sessanta, Antonio Castelli raccolse, dalla viva voce di alcuni contadini, varie testimonianze attorno al lavoro e alla vita campestre che dovevano costituire le Parti del discorso contadino, in parte rimasto inedito. Fra gli altri intervistò u zzu Pasquali Pignatuni, bella figura bucolica d’altri tempi il quale, dopo avere parlato in maniera evocativa di una vigna ô Scifu presa a mezzadria, di conigli stanati nelle cavità dei tronchi degli ulivi ai Bergi e di cosce palpate alle donne mentre le aiutavano a salire in sella, raccontò che uno dei suoi figli fu costretto alla fuitina perché la madre della fidanzata era decisamente contraria al matrimonio: u Pignatuni un ci l’ava a ddari a sso fìjja. Ma, anche se la madre non voleva – assolutissimamenti – che la figlia si nfilassi nnê Pignatuna, andò a finire, concluse u zzu Pasquali alquanto soddisfatto, che ma fijju si nni fuivi e si cci ivi a nfilari iddru nnô pignatuni di so fijja.
Una dinamica simile a quella vista per gli oggetti potrebbe avere determinato la formazione dei soprannomi Bbraccocu, Carduni, Cerza, Cipuddruni, Citrùolu, Cucuzza, Minniliddra, Passuluni, Piriddru, Viscìjja derivati dall’universo vegetale, e quelli di derivazione animale Cardiddru, Chiò, Ciàula, Cicaleddra, Lapuni, Mìerru, Muçiddra, Musca, Prùciu, Puddricinu, Scravàjju, Sùrciu.
Anche in questo caso, quasi tutti i soprannomi potrebbero derivare da aspetti fisici (Cerza potrebbe essere un colosso, Piriddru un tipo piccolo e smunto, Passuluni uno dall’aspetto allampanato) o caratteriali (Carduni è connesso ai modi zotici del destinatario, Ciàula all’indole ciarliera, Chiò ai toni dimessi, Cicaleddra all’essere assillante) o da entrambi. Si pensi, per esempio, a Citrùolu che rimanda immediatamente a ‘spilungone’ ma anche a ‘persona insipida’ oppure a Prùciu che potrebbe riferirsi alla bassa statura o anche al fatto di essere importuno, così come Scravàjju.
A proposito di Scravajji. Una sera si ufficializzò un fidanzamento, si rrumpìu u scaluni, da parte dei parenti più stretti del fidanzato i quali – come si diceva una volta – acchianaru nnâ zzita. E’ inutile dire che entrambe le famiglie avevano una nciùria: Scravàjju quello di lei, Mancia-rracina quello di lui, per non dire che per parte di madre era Lapuni. Il ricevimento, come da prassi consolidata, si svolse nella saletta a primo piano, dove sboccava la rampa della scala. Costituivano l’arredo una filarata di sedie di zzabbara, che si snodava lungo i muri, e diversi ritratti di antenati che campeggiavano alle pareti. Superati i convenevoli, il discorso prese una piega avvolgente e tutti erano presi. Tutti, tranne uno zio del fidanzato che, invece, mostrava vivo interesse per i quadri degli antenati. Con lo sguardo ammirato li passò in rassegna ad uno ad uno, più volte, annuendo. A un certo punto, rivolto al padre della fidanzata che gli sedeva accanto, constatò con tono serio: – Ou!, misca quanti Scravàjja cci su ê mura-mura…. Al che l’altro rispose prontamente – e zzì-zzì!, ca cci l’èppimu a mmèttiri pp’un ci fari manciari a rracina ê lapuna.
Incomprensibili ma affascinanti sono i fonosimbolici Bbaibbì, Bbaicò, çè-çè, Ciapacià, Ciù-ciù, Ficofà, Nfunfurunfù, Paiò, Piccibbò, Picicù, Pitè, Pupù, Rrarò, Scacciò, Tipallù, Tirichitìeru, Tiritùppiti, Trimmi-trimmi che, attraverso suoni onomatopeici riproducono qualche caratteristica del soggetto come accade per il soprannome Ciù-ciù, costruito sui temi ciò ciò ‘individuo insulso, vacuo’ e ciuciuliari ‘far cicaleccio’ oppure per Nfunfurunfù costruito sul tema nfuscu ‘distratto, confuso, offuscato’. Trimmi-trimmi risale ai primi caroselli TV e al noto detersivo per bucato Super Trim, prodotto dall’Agip, e pubblicizzato in televisione con un cartone il cui protagonista si chiamava Angelino, come il personaggio al quale il soprannome venne apposto. Anzi, per essere precisi, fu un po’ lui che fece di tutto per appiopparselo, poiché giocando a carte, tutte le volte che vinceva, rivolto verso i suoi avversari, a mo’ di scherno, intonava la marcetta di Angelino: ‘sono Angelino Trim trim’ volendo dire ‘anche stavolta vi ho ripuliti’.
Un’ultima categoria è quella in cui la nciùria, introdotta da un verbo, indica un’azione ricorrente e, dunque, alla lunga diventa caratterizzante il soggetto, come succede con Affuca-iumenti, Abbruçia-pajjuni, Mancia-cajjuni, Mancia-rracina, Nfurna-pàssuli, Pèrcia-lòggia, Scàccia e mmància, Serra-serra, Strazza-sita.
Del significato di Nfurna-pàssuli si è detto nella puntata introduttiva di questa nuova serie di soprannomi, Scàccia e mmància – anche se non è provato – potrebbe essere assimilato al precedente, nel senso che anche qui traspare una scorpacciata di mandorle (o di noci) mandate giù senza soluzione di continuità. Affuca-iumenti, però, non è uno che soleva trastullarsi impiccando giumente. Più verosimilmente, si trattava di un tipo particolarmente maldestro nel legare le giumente al palo, durante la permanenza alla pastura, al punto che, più di una volta, finirono col rimanere strangolate. Ora se qualche book-maker pensa che io abbia portato il discorso a questo punto per parlare del cane che si è suicidato confezionando da sè il cappio con cui si è incollanato, non ha capito niente, in quanto auspicherei che del cane parlasse il giudice, certamente con maggiore efficacia. Ritorniamo al nostro discorso sulle giumente rimaste strangolate. Non so se può risultare utile specificare che Affuca-iumenti di cognome era Tumminello e non so neppure se ci sia contiguità parentale con un altro Tumminello. So soltanto che quest’ultimo, al pari del primo, era piuttosto maldestro nel legare accuratamente giumente e anche qualche recalcitrante puledro al palo durante la pastura ô mannaruni. Infatti Tumminello u chiaccu l’ava attaccati lìenti. Fu così che di notti e notti, in una sola volta, quasi tutti i cavalli di Tumminello finirono, stavolta non strangolati, ma sciolti e scavezzati. Ma mica furono portati via. Ancora oggi, a distanza di cinque anni, se andate a vedere, li trovate ancora lì, ô mannaruni. Semplicemente è cambiato u curàtulu, il mandriano. E Tumminello? Antonio, pirdivi …i cavaddri e cerca i campani…..
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