Un abuso edilizio ogni chilometro: ecco l’Isola degli ecomostri.. A cominciare da Cefalù

Un abuso edilizio ogni chilometro: ecco l'Isola degli ecomostri.. A cominciare da Cefalù

 

Mille e quattrocento chilometri di costa e un abuso edilizio ogni chilometro. È il nuovo, triste primato della Sicilia certificato da Legambiente secondo i cui dati l’Isola è leader per abusivismo edilizio sul demanio e precede Campania, Calabria e Puglia con un’incidenza sul valore nazionale  –  3.171 infrazioni accertate, 4.762 tra denunce e arresti, 1.298 sequestri e 25.200 nuovi abusi edilizi di rilevanti dimensioni  –  del 19,8 per cento.

 

Un moloch di cemento che si dovrebbe abbattere, ma che sopravvive grazie all’inerzia dei Comuni e alla fitta rete di alibi e complicità (piani regolatori incompleti, mancanti o spesso attuati con eterne varianti) che consentono di prendere tempo. È questo il road book da cui partiamo per il nostro Grand Tour della Sicilia abusiva che comincia da Palermo alla volta di Cefalù. L’eterna promessa turistica e culturale sin dagli anni ’50 quando col Village Magique arrivarono i francesi e il bel mondo, ma che ha subito negli anni una trasformazione e una devastazione del territorio pesante e costante.

 

La coast houses è un albergo-residence a picco sul mare in contrada Kalura, con vista sulle Eolie con caletta “privata” e il cemento a pochi metri dai ciottoli della spiaggia. Abbandonato e in rovina dalla fine degli anni Novanta, depredato, vandalizzato, incendiato, con danni alle strutture in cemento armato e alle scalinate dei piani sottostanti e ai muretti di protezione, infine sequestrato dagli uomini del commissario di Cefalù Manfredi Borsellino nel settembre del 2009.

 

Nel provvedimento di sequestro preventivo il Gip di Termini Imerese Angela Lo Piparo scrisse: «È fuor di dubbio che sul proprietario di un edificio incomba l’obbligo di scongiurare il pericolo che sue modificazioni e cedimenti strutturali possano cagionare il deturpamento dell’area su cui esso insiste». Oggi è ancora lì, un ammasso di ruggine e vetri infranti caracollante sul mare.

 

Orrori a strapiombo
Da qui al lungomare della cittadina normanna il passo è breve e lo spettacolo non cambia. Proprio a metà della passeggiata si erge lo scheletro di un albergo iniziato e mai finito a cinquanta metri dalla battigia. La sofferta storia di questa costruzione — lavori bloccati, poi sbloccati, poi di nuovo bloccati — è dell’ultimo lustro, poco più, ma la parola fine forse l’ha scritta il responsabile dell’ufficio tecnico di Cefalù, l’ingegnere Ivan Joseph Duca, che il 18 settembre del 2012 ha rigettato sia le richieste di sanatoria che l’annullamento in autotutela del permesso di costruire.

 

Quel permesso, del resto, era già decaduto il 30 novembre del 2009 cioè esattamente tre anni dopo l’inizio dei lavori. In altre parole: l’area sulla quale insiste un vincolo preordinato all’esproprio — decaduto perché nel termine quinquennale di sua vigenza non è intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera — viene considerata alla stregua di un’area priva di destinazione urbanistica. Fine della storia.

 

Da Cefalù verso Messina la litoranea offre scorci da cartolina inframmezzati dal solito delirio edificatorio, come nel piccolo Comune di Piraino, fra Capo D’Orlando e Capo Calavà, in provincia di Messina, dove c’è un’antica torre di avvistamento e di segnalazione, la Torre delle Ciavole. È a picco sul mare, col ripido versante della collina di fronte che ha una pendenza quasi ad angolo retto. Ebbene, hanno costruito pure su questa parete buona per gli alpinisti, una lottizzazione infinita iniziata una trentina d’anni fa e contro la quale Legambiente e il suo alfiere locale Salvatore Granata combattono strenuamente. L’onda, però, è inarrestabile: ogni tanto in Comune si fa una variante o una proroga e il mattone avanza. Un inequivocabile biglietto da visita per chi arriva dal mare, magari dalle vicine Eolie e che scorge questa impenetrabile cortina di cemento a distanza di miglia e miglia. La Sovrintendenza di Messina è intervenuta e per abbassare l’impatto ambientale ha prescritto di passare una mano di vernice verde sui muraglioni. Siamo o non siamo in una zona soggetta a vincolo paesaggistico.

 

Le riserve violate
Dal Tirreno allo Ionio la natura non concede pause. E neanche l’edilizia. Lo scheletro dell’Aloha Mare, manufatto di cemento armato mai finito domina da 37 anni una scarpata a picco sul mare a Santa Caterina nei pressi di Acireale, all’interno della Riserva naturale della Timpa. Iniziato nel 1975 con uno scavo nella roccia, doveva diventare un albergo ma la sua costruzione provocò una forte reazione nell’opinione pubblica e due anni dopo il Comune bloccò i lavori, non prima però che un finanziamento dell’assessorato regionale al Turismo consentisse di realizzare la strada di collegamento. Oggi, anche l’intelaiatura in cemento armato e lo sventramento realizzato dalla strada sono in bella vista, affacciati sulla Timpa di Santa Caterina.

 

Sempre alla metà degli anni 70 risale la lottizzazione abusiva di vaste aree a ridosso della foce del fiume Simeto, poco oltre l’Alhoa Mare, giusto a metà fra Catania e Augusta. Qui in pochi anni sono stati costruiti diversi villaggi lungo la costa e a stretto contatto con le zone umide, alcune delle quali prosciugate per far posto ad intere lottizzazioni, nonostante le aree fossero inserite sin dal 1969 nel Parco territoriale urbano del comune di Catania, ma l’edilizia illegale proseguì anche dopo l’istituzione della riserva naturale nel 1984. Oggi si contano tremila costruzioni abusive, a fronte di 120 demolizioni.

 

Lido fra le correnti
Dallo Ionio al Canale di Sicilia, un centinaio di chilometri più giù, si arriva a Isola delle Correnti, l’estremo lembo a sud-est della Sicilia, una freccia scoccata fra la Grecia e l’Africa dove s’incontrano due mari, due mondi. Un’area destinata sin dal 1991 a riserva naturale e dal 2003 vincolata anche dall’Unione Europea. Ma fra le correnti dell’Isola si edifica, si costruisce. Concessioni e business.

 

L’ultimo allarme viene dalla manifestazione del 13 aprile scorso, indetta per dire no alla costruzione di un lido a ridosso delle ultime dune del Mediterraneo, in una zona inserita fra i siti di importanza comunitaria. Ma c’è chi giura che il lido sia solo la testa di ponte di un mega progetto con strutture alberghiere e parcheggi. Angelo Dimarca, responsabile Conservazione Natura di Legambiente Sicilia ha già firmato gli esposti alla magistratura più la richiesta alla Regione della revoca delle autorizzazioni e nuove norme a tutela del litorale e delle dune nelle aree protette: «Siamo davanti a fatti molto gravi che comportano l’alterazione di uno degli ambienti naturali più delicati e vulnerabili della Sicilia — denuncia Angelo Dimarca — si tratta di un posto unico a livello nazionale per suggestione e bellezza del paesaggio con dune uniche per interesse naturalistico e la cui integrità andrebbe salvaguardata in modo rigoroso, non si comprende come la Regione ed il Comune possano consentire la realizzazione di lidi o altre strutture balneari».

Le concessioni fai-da-te

Strutture per lo più potenziali, che rimangono scheletri, come a Capo Rossello, una baia nel tratto più bello della costa meridionale della Sicilia, nel comune di Realmonte in provincia di Agrigento. Un luogo di grande suggestione, reso unico da uno scoglio chiamato, per via di una antica leggenda, “Du zitu e da zita”, e cioè del fidanzato e della fidanzata. Nei primi anni Novanta, utilizzando uno strumento urbanistico scaduto ed in violazione del vincolo paesistico, alcuni assessori del Comune di Realmonte rilasciarono a sé stessi una serie di concessioni edilizie per realizzare palazzine in riva al mare, piantando i piloni nella sabbia e sbancando la costa di pietra bianca che completava il tratto costiero.

 

Nel febbraio ‘94 l’intera giunta municipale, la commissione edilizia ed alcuni imprenditori furono arrestati, processati e condannati. Le costruzioni sono ancora lì. A poca distanza da Capo Rossello, sempre in territorio di Realmonte, ecco Scala dei Turchi — una parete rocciosa che si erge a picco sul mare — dove si trova un altro monumento alla speculazione edilizia realizzato illegalmente grazie a concessioni edilizie compiacenti e del quale da qualche giorno è cominciata la demolizione. È un albergo, manco a dirlo mai finito, sul mare, proprio in spiaggia, su quel tratto di costa dove, come dice il nome, circa un millennio fa sbarcarono gli ottomani.

Il sindaco degli abusivi
Demolizioni pericolose. E scene degne di un film neorealista si sono viste la mattina del 19 settembre del 2011 in contrada Spagnola, sul lungomare di Marsala. Donne e uomini schierati a difesa di una casa abusiva di cui era programmata la demolizione. Bloccato il camion della ditta incaricata dei lavori, la folta e agitata pattuglia ha fronteggiato gli uomini delle forze dell’ordine in assetto antisommossa. Tensioni, minacce e carte bollate, col sindaco accusato di aver tradito il patto con gli elettori e la richiesta di un ordine del giorno contro le demolizioni.

 

E a proposito di sindaco che tradisce il patto con gli elettori e “amico” degli abusivi come non citare Ciro Caravà, che ha governato Campobello di Mazara, comune della provincia di Trapani nel cui territorio si trovano le Cave di Cusa, ovvero il luogo in cui venne estratto il marmo che sarebbe servito alla costruzione dei templi della vicina Selinunte — da un mandato all’altro, fino a quando, nel dicembre 2011, non è stato arrestato. Ma non si è dimesso, fino a che il Comune è stato commissariato, nell’aprile 2012. Perché la politica di Caravà è sempre stata imperniata, senza molti giri di parole, sugli abusivi e negli uffici del comune di Campobello (10.176 abitanti) giacciono 7.500 pratiche di sanatoria, così, a occhio e croce quanti sono gli aventi diritto al voto di questa striscia assolata lunga una decina di chilometri dove si va avanti a pane e cemento. Un assedio che soffoca anche la vicina area archeologica di Selinunte, visitata ogni anno dai turisti di mezzo mondo.

 

A due passi dai templi c’è Triscina — comune di Castelvetrano — con le sue cinquemila case abusive, di cui mille insanabili e che non hanno mai potuto usufruire dei tre generosi condoni (craxiani e berlusconiani). Neppure le strade da queste parti hanno un nome: qui si chiamano via Triscina 66, via Triscina 67, via Triscina 68.

 

Poco lontano ecco Tre Fontane — siamo ancora nel comune di Campobello — con un migliaio di case abusive realizzate entro i 150 metri dal mare sempre in barba alla legge regionale del 1976 d’inedificabilità assoluta. Traverse chiuse da aste e asticelle, muri, cancelli. Qui la proprietà privata è di chi se la prende. O di chi la difende. Tre Fontane è lo zoccolo duro del fu sindaco di Campobello Ciro Caravà.

 

Dopo il “tempio” dell’abusivismo il Grand Tour ritorna a Palermo, dov’è iniziato, e per toglierci di dosso la polvere di tanti chilometri di cemento decidiamo di fare un bagno nella riserva di Capo Gallo. Ma la famiglia Vassallo, proprietaria sin dal 1942 di quella che oggi è l’unica strada di accesso alla riserva, impone un balzello a chi vuole entrare scambiando l’invidiabile biodiversità e la beatitudine di sole e mare di Capo Gallo con: 50 centesimi a piedi, un euro in bicicletta, due in moto, cinque in auto, 15 in camper, furgone, legalmente e con tanto di tribunali e sentenze favorevoli.

 

Questo aggio però, è, forse, emblema della sicilitudine, la salvezza di questa riserva. Incredibilmente, infatti, per le polemiche senza soluzione di continuità che ruotano attorno ai Vassallo — ormai vassalli di un territorio fuori dal tempo — sembra essere proprio il loro feudo,
Capo Gallo, il territorio meglio conservato e rappresentativo di tutta la Sicilia, proprio sotto lo scempio di Pizzo Sella.

 

Da una parte il passato, dall’altra il futuro. Cambiare tutto per non cambiare nulla.

 

(http://palermo.repubblica.it/)

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