Un’esperienza di turismo razionale a Castelbuono (1961-68)
(Di Massimo Genchi) – Il termine turismo ha assunto una valenza tanto notevole quanto impropria, specialmente quando si usa con scopo utilitaristico e quindi poco oggettivo. Davvero qualunque flusso di persone, qualunque orda, può essere ricondotta a turismo in senso proprio? In via preliminare, per uscire dal buio in cui tutte le vacche sono nere, bisognerebbe distinguere sia fra turismo d’élite e turismo di massa, sia fra turismo residenziale e turismo mordi e fuggi. E il nostro turismo, oggi, senza tanti infingimenti, e checché se ne voglia continuare a dire, non è dello stesso tipo di quello che si registra a San Gimignano o a Caltagirone, a Lecce o ad Erice. Innanzitutto, le origini del turismo, come ritengono coloro che fanno coincidere l’anno zero della Civiltà con l’avvento delle Porte aperte, cadono in corrispondenza della distribuzione urbi et orbi dî cuddruri fritti?O sono da riportare al 1949, alla prima Sagra delle ciliege? Al di là della datazione, però, nell’un caso e nell’altro si è trattato di pure carovane di turisti, magari valutabili positivamente, arrivati di primo mattino ma che al tramonto già viaggiavano verso le rispettive case. Cioè un turismo manifestamente non stanziale e in definitiva effimero. Nei primi anni Sessanta, per contro, vi fu un audace tentativo, un esperimento che, nel lungo periodo, forse mirava a un turismo di tipo residenziale, una forma sui generis che, perseguito a dovere, avrebbe potuto sviluppare una forma meno affastellata di turismo, più vicino a quello di Noto e di Modica che a quello della Sagra della pasta saliata che dir si voglia, ché tanto sono tutte uguali. Ma vediamo come andarono i fatti.
Nel 1957, a Cefalù, nella rada di Santa Lucia, Gilbert Trigano, abilissimo uomo d’affari franco-algerino, inaugurò il Club Mediterranée, di cui era il comandante in capo. A dirigerlo, nel 1958, fu chiamato Tony Hatot, un personaggio poliedrico e fuori dalle righe, mentre la gestione amministrativa del Club era nelle mani della francese Michèle Horvais, moglie dell’oculista professore Giovanni Cucco, che al direttore Tony Hatot era legato da profonda e non recente amicizia.
La sera di sant’Anna 1960, per accogliere il direttore del Club Mediterranée, giunto a Castelbuono per la festa, si tenne una serata di intrattenimento nella casa di Cucco alla Vignicella alla quale, oltre ai suonatori e a diversi invitati, parteciparono anche alcuni giovani che, attraverso il loro impegno e le iniziative per la Pro Loco, cercavano di migliorare l’immagine di Castelbuono all’esterno, i più determinati dei quali erano Peppe Spallino, che ne era anche segretario e Michele Bruno.
Nel corso della serata, la discussione scivolò sul paese, che aveva impressionato favorevolmente il direttore Hatot, e sulla vagheggiata possibilità di agganciarlo alle attività del Club Mediterranée, già famoso in tutto il mondo. L’idea messa a dimora quella sera alla Vignicella, in altri termini, era quella di un prodotto strutturato in un pacchetto di offerta turistica a forte prevalenza marittima ma con una quota che prevedeva esplorazioni dell’entroterra, segnatamente di Castelbuono e dei suoi boschi.
Peppe, Michele e tutta la Pro Loco, avuta carta bianca dall’amministrazione Mercanti, cominciarono a lavorare con la direzione del Club a quell’idea di dipolo turistico Cefalù-Castelbuono, in modo che già nella stagione successiva si potesse realizzare, anche in una formulazione provvisoria. E così fu. Nel 1961 a dirigere il Club arrivò Jean Paul Richez, un gioviale giovanotto parigino che, in continuità con la politica del suo predecessore, realizzò ciò che Hatot si era impegnato a fare per Castelbuono. Il programma delle attività prevedeva che, nel periodo compreso fra maggio e settembre, tutte le domeniche sarebbero arrivati a Castelbuono due pullman di turisti del Club Mediterranée per escursioni nei boschi, dove avrebbero fatto il méchoui, delle abbondanti grigliate di carne ovina.
Il sito in cui accogliere i francesi, un castagneto della Barraca, fu messo a disposizione dal dottore Cucco. Sembrerà una cosa da ridere, ma si rifletta sulla quantità di carne e altre vettovaglie, pane, formaggi, vino approntata settimanalmente per più di un centinaio di turisti dai commercianti di Castelbuono. Si consideri anche che l’ospite medio dei villaggi del Club Mediterranée era già allora un turista d’élite, che pagava una barca di soldi una vacanza a Cefalù e che pertanto non badava tanto a spese. Si aggiunga a ciò che nel tardo pomeriggio, alla fine del méchoui, il gruppo si trasferiva nel centro di Castelbuono, dove i negozi e le attività venivano presi d’assalto. Non ci vuole poi tanto per calcolare che i circa quindici appuntamenti di Castelbuono in festa, questo il nome di quell’appuntamento domenicale, avrebbero portato in paese una quantità non disprezzabile di contanti dalla Francia in un periodo in cui il commercio per molti versi languiva dato che quasi tutti i generi, anche di prima necessità, si compravano a credito, registrando i corrispettivi sulla libbretta. Ben presto, i francesi, non si accontentarono più del crasto arrostito e delle altre cibarie consumate sotto le fronde dei castagni e chiesero di potere effettuare anche delle escursioni a cavallo. Per loro, le vacanze erano fatte di divertimento, qualunque fosse il costo. Non fu difficile individuare dei vistiamari, pratici dei nostri boschi. Pietro Cucco, nonno materno del nostro amico blogger, e Giovannino Corradino, furono quelli di riferimento, approntarono i cavalli e si fecero carico di trovare altri del mestiere in grado di garantire questo servizio, dal quale ritraevano un utile considerevole.
Si andò avanti con la stessa formula a base di méchoui ed escursioni fino all’estate del 1963 che, con le due precedenti, fece registrare un numero eccezionale di presenze, non solo per l’epoca, e lusinghieri introiti per quello che si poteva già chiamare l’indotto del turismo a Castelbuono. La stagione 1963 venne suggellata da una mega manifestazione a Castelbuono della durata di tre giorni nel corso dei quali il Club Mediterranée chiuse i battenti, le sue attività si svolsero in Piazza Castello e tutti i turisti ospiti del Club si riversarono a Castelbuono. Balletti, rappresentazioni, spettacoli di equilibristi, mangiatori di fuoco, musiche, balli con tutto ciò che questo significò in termini di personale, scenografi, addetti alle luci, ai costumi. Una Babele, insomma. Il direttore Jean Paul Richez e suoi riferimenti locali Michele e Peppe, organizzarono ogni cosa nei minimi dettagli, invitando a tenersi pronti tutti coloro che, a vario titolo, si occupavano di ristorazione visto che ci sarebbe stato da far fronte all’arrivo di un imprecisato numero di turisti. Nel corso di quelle giornate indimenticabili si ebbe il reale convincimento che Castelbuono potesse diventare un centro di attrazione turistica.
Nel 1964, a dirigere il villaggio di Cefalù venne chiamato Avner, persona estremamente sveglia e lungimirante, uno che parlava di formula binomiale mare-monti del turismo in anticipo di cinquant’anni sui tempi. La formula vincente per il turismo a venire era, secondo Avner, quella di riuscire a offrire la bellezza del mare coniugata a quella dei boschi. Michele e Peppe, assidui frequentatori del Club, avendo familiarizzato con Avner, fiutarono l’occasione propizia e gli presentarono al volo la loro idea di estensione e integrazione dell’offerta turistica del Club all’entroterra che si sostanziava nel binomio: mare di Cefalù e boschi di Castelbuono. Nel dettaglio era previsto che nel periodo maggio-settembre, a parte la collaudata esperienza domenicale del méchoui, dal lunedì al venerdì, un gruppo di ospiti del Club, a rotazione, soggiornasse a Castelbuono per una giornata. Le attività prevedevano visite ai monumenti, pernottamento, escursioni a cavallo nei boschi, visita didattica agli insediamenti pastorali e degustazione dei prodotti. Questo programma, in cui Cefalù e Castelbuono si muovevano in fase, piacque molto ad Avner perché rafforzava il suo convincimento in base al quale il Club Mediterranée in nessun altro suo villaggio avrebbe potuto realizzare un tipo di turismo così innovativo da proporre alla selezionata e benestante clientela. Con le forti ricadute che ciò avrebbe determinato sulle presenze e sui bilanci del Club.
Scendendo nei dettagli, gli enfants terribles di Castelbuono riuscirono ad imporre che per queste attività il Club avrebbe dovuto agevolare la nascita di un indotto tutto castelbuonese, a partire da quello del trasporto. Infatti, l’incarico di trasportare i turisti da Cefalù a Castelbuono fu affidato ai noleggiatori di Castelbuono, Cosimo Sferruzza, Ciccio e Calogero Di Bella, Luigi Vaia Vaia e si trattò di un bel colpo, tanto che i tassisti di Cefalù incarogniti, per rappresaglia, tagliarono le quattro gomme della macchina di Michele, artefice dello sgarro. Il Club, ancora, approntò ogni cosa per il pernottamento, dalle brande alle lenzuola, e ogni tipo di utensile, dai pentoloni ai piatti, alle posate, ai tavoli per i méchoui. A ricordo di quelle bisbocciate Pietro Cucco conservò un cucchiaio, ma qualche altro utensile certamente si deve essere salvato, con le iniziali CM, che non significa quello che state pensando voi, ma CLUB MEDITERRANéE.
Con il programma a regime, ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, da maggio a settembre, un gruppo di venti francesi arrivava in piazza Margherita, dove aveva inizio il tour monumentale che si snodava per le vie del centro, toccando i principali siti di interesse: le fontane, la Matrice vecchia, il Castello e la Cappella palatina con le loro bellezze architettoniche e artistiche.
All’imbrunire, il gruppo si trasferiva alla Lanterna, trattoria già allora gestita da Vincenzo Biundo e dalla signora Santina, e assai nota per le prelibatezze, quelle sì a km 0, che mettevano in tavola. Altro che la posticcia cucina slow di oggi. Attorno alla grande tavolata che andava da una punta all’altra del locale, prima di iniziare la cena, fra un piatto e l’altro, e soprattutto alla fine si faceva gran baldoria, con chitarre, tamburelli, fisarmoniche, musiche, canti e tanta allegria fino a tarda sera, quando i noleggiatori li accompagnavano a San Guglielmo, al Romitaggio, dove avrebbero pernottato.
Michele Bruno, infatti, era riuscito a convincere l’avvocato Schicchi a concedere in locazione il primo piano del Romitaggio per alloggiare i francesi. Non era stato poi tanto difficile, a dire il vero, specialmente non appena il proprietario realizzò che, mille lire pro capite a sera per venti persone, significava un quarto di uno stipendio medio di quegli anni. In più, la contropartita era al netto di tutto, rimanendo le pulizie a carico della Pro Loco che, grazie ai contributi assicurati dall’assessore Benedetto Alessandro, a sua volta, aveva ingaggiato un gruppo di signore che curava la messa in sesto dei posti letto, il cambio biancheria, la pulizia degli ambienti. Una organizzazione pazzesca.
Alle quattro del mattino, con puntualità svizzera, nello slargo antistante il Romitaggio venti cavalli perfettamente bardati e incavezzati, più un paio, carichi di bisacce piene di vettovaglie per i pranzi a sacco, anche questi allestiti dalla Pro Loco, e venti mulattieri coordinati da Pietro Cucco e Giovannino Corradino erano già pronti a mettere in groppa venti francesi ed effettuare la quotidiana escursione attraverso gli impervi viottoli dei boschi di Castelbuono seguendo i quali, una volta sarebbero andati verso i Monticelli, una volta verso Vicaretto, una volta verso la Canna o anche verso i Gimmeti. Arrivati in quota, era prevista una sosta in uno dei tantissimi màrcati che allora si incontravano a breve distanza l’uno dall’altro in cui assistevano alla mungitura, al procedimento di preparazione e all’affioramento della ricotta che, una volta raccolta con la cazza, si poteva finalmente degustare.
I francesi andavano matti per la zzabbina, una zuppa di ricotta fresca, siero e pane raffermo spezzettato, piatto tradizionale della colazione dei nostri pastori. Naturalmente si era riusciti a monetizzare anche questa parte dell’escursione e i pastori dei vari màrcati traevano un bel profitto da quelle gradite visite mattutine. Quando oggi con toni stupidamente ieratici si sente parlare di turismo esperienziale mi ven’i rridiri pensando che noi, in forma ben strutturata, lo avevamo messo in pratica già sessant’anni fa, quando era ignoto ai più, dal momento che allora la tendenza era di proiettarsi nel futuro e a disperdere l’immenso patrimonio antropologico che ci eravamo trascinati fino al XX secolo.
Gli echi di quelle forme anticonvenzionali di turismo ebbero grande diffusione e ben presto giunse a Castelbuono una troupe di giornalisti del prestigioso settimanale americano LIFE per vivere in prima persona le emozioni di quella esperienza e imbastire un servizio che, corredato da belle immagini, apparve su quella celebre ed epocale rivista di fotogiornalismo. Potrebbe essere apparso in uno dei numeri di giugno 1964 ma purtroppo non tutti i numeri di LIFE sono consultabili online, e questo importante documento rimane perciò attestato oralmente. Dirò che una delle foto di quel servizio, raffigurante il nostro Castello, fu inserita in una mostra antologica che si tenne a New York, forse nel 2007, in concomitanza con la fine delle pubblicazioni di LIFE.
Dopo avere attraversato, lungo i consueti sentieri, un paesaggio fatto di balze e rupi, dove ai fitti boschi si alterna la pietraia, che spesso incanta anche noi che ben lo conosciamo, nel primissimo pomeriggio, si cominciava a scendere a valle, fino al Romitaggio dove trovavano ad attenderli i noleggiatori che già avevano caricato i bagagli e si poteva così fare ritorno a Cefalù.
Due ore dopo, un nuovo gruppo di turisti arrivava in Piazza Margherita e iniziava un altro giro. E così via, di giorno in giorno, per i mesi estivi di diversi anni ancora, fino a che – dopo un’ultima affollatissima kermesse di diversi giorni, come quella del ’63 – le vite di quegli infaticabili animatori, Peppe e Michele su tutti, non presero strade diverse. Ci voleva una continuità che non ci fu o forse quella intraprendenza che se non ce l’hai non la puoi comprare e, ultimo, ma non per minore importanza, l’entrée tra i vertici del Club Mediterranée, perché era lì che si chiudeva il circuito. Sta di fatto che, di colpo, finì tutto e, purtroppo, vennero dissipati sei o sette anni di impegnativo ma redditizio lavoro per Castelbuono dove, ogni giorno, ogni dente delle ruote del complesso meccanismo doveva ingranare più che perfettamente in un altro. Un vero peccato, perché questa simbiosi fra turismo di mare e di altura, che ruotava attorno a un ingegnoso programma di attività turistico-ricreative, riuscì a creare, come si è visto, forme di introito che, se pure non diffuse, certamente non furono dirette ad un unico comparto. Poteva essere l’inizio di una forma strutturata, razionale, di turismo, che accrescendosi per cerchi concentrici, avrebbe via via raggiunto nuovi e diversi settori della nostra comunità distribuendo ricchezza a tanti. Ma così non fu. E nel frattempo il treno passò.