Verso i 100 anni dell’«assedio» di Gangi. Il primo maxiprocesso alla mafia
(Di Mario Lupo) – Nel numero 2 del 22 gennaio 1928 “il bancarello” (dal 1947 “Le Madonie-il bancarello”) dedicò tutta la prima pagina alla pubblicazione del dispositivo della sentenza, emessa l’11 gennaio precedente dalla Corte di Assise di Palermo, convocata presso il Tribunale di Termini Imerese, nel processo, annota il giornale, alla “masnada di delinquenti” (ben 153! Tutti elencati con nome e cognome e, per molti, anche con la paternità) «che ci diffamavano e ci facevano apparire negletti di fronte al mondo. Tutta la stampa nazionale e gran parte della stampa estera hanno salutato l’esito con i più lieti auspici per l’onesto e laborioso popolo siciliano. Noi che svolgiamo la nostra attività in seno al popolo lavoratore e battagliamo continuamente per il bene di esso, vediamo da vicino i benefici ricevuti dalle masse agricole, non solo, ma da tutti i cittadini che esercitano qualsiasi industria con dedizione, alziamo il nostro grido di riconoscenza a nome del popolo delle Redente Madonie a S.E. Benito Mussolini che lo promise nell’ultimo suo viaggio in Sicilia e al Prefetto Cesare Mori fedele alla consegna».
Le imputazioni comprendevano i reati di omicidi, estorsioni, abigeati, danneggiamenti vari e tutto il corollario dei delitti di mafia.
Sette imputati furono condannati alla pena dell’ergastolo, otto alla pena di anni trenta di reclusione. Tutti gli altri ebbero condanne varianti da 24 anni e 6 mesi ai 10 mesi di reclusione. Gli assolti furono solo otto. Da notare che le donne condannate furono sei con pene varie (da 24 anni e 6 mesi a due anni di reclusione).
Le parti civili costituitesi furono solo quindici, ed ebbero una provvisionale per importi da trenta mila a tre mila lire.
La bibliografia sui fatti che portarono a questo primo maxiprocesso alla mafia (“il bancarello” lo definì “il più importante processo alla mafia”) è vasta e non è mia intenzione riproporla. Voglio solo segnare agli eventuali pazienti lettori i vari momenti che “il bancarello” commentò nell’arco di quasi tutto il 1926, l’anno che vide il cosiddetto “assedio di Gangi” e dintorni (vari nostri comuni) con la cattura o la resa dei 153 “delinquenti”, il cui merito fu attribuito unicamente al Prefetto (“di ferro”) Cesare Mori.
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Nel numero 2 del 17 gennaio 1926, in prima pagina, c’è un ampio resoconto, col titolo “Viva Mori”, della visita compiuta il 27 dicembre precedente da Mori e dall’on.le Alfredo Cucco a Castelbuono. Cucco lo presentò al popolo dal balcone del Municipio, definendolo “l’uomo del momento. Guardatelo: dritto, forte, schietto, tenace, fiero di sé per i proponimenti che si è prefisso a favore della nostra provincia per risanarla completamente (…)”. “(…) Grazie a Voi Cesare Mori, il popolo castelbuonese vi ammira e vi esalta perché comprende che voi operate per il suo bene (…)”. “La fine del poderoso discorso, pieno di lirismo, durato circa un’ora, è accolto da interminabili ovazioni, mentre il Prefetto abbraccia l’On.le Cucco”.
Nel suo discorso il Prefetto, ringraziando i cittadini per l’accoglienza, si disse “lieto di porgere il saluto alla Vostra città e al Vostro concittadino On.le Cucco, che per la sua fede e per la sua franchezza e per quello che fa a Roma e qui, è degno della stima di tutti voi e di me che gli sono legato da vincoli intimi e fraterni (…)”. “(…) questo popolo di agricoltori siciliani deve essere salvaguardato e deve marciare sicuro, perché ha il diritto di procedere avanti e scacciare totalmente questa maffia schifosa (…)”. “(…) cuori all’erta, grida il Prefetto, voi vedrete che quanto prima a queste male erbe ci daremo fuoco come alle ristucce (si ride con compiacenza)…”.
A pagina 3, il giornale riporta la notizia dell’ultima ora “della grande offensiva in tutte le Madonie al comando del Prefetto Mori”. I titoli sono evidenti: “La pacificazione delle Madonie iniziata a fondo dal Prefetto Mori. Dopo il discorso a Castelbuono i fatti di Gangi”. “La manovra di accerchiamento in grande stile, ha costretto, nel territorio di Gangi, alla costituzione di intere bande di briganti”. Vengono elencati i nomi degli appartenenti alla banda Ferrarello Gaetano (dieci); alla banda Andaloro (quattro); alla banda Andaloro Giuseppe (cinque). “Le operazioni continuano (…)”. E naturalmente non poteva mancare “il telegramma di plauso” del Presidente del Consiglio dei Ministri on.le Mussolini al Prefetto Mori; il testo concludeva: “autorizzo V.S. rendere pubblico questo dispaccio nei giornali locali”.
Nel numero 3 del 31 gennaio 1926 il giornale tornò sull’argomento con l’articolo di fondo dal significativo titolo “Purificazione…”, inneggiando al Prefetto che era riuscito ad ottenere la resa senza condizioni dei mafiosi e dei gregari: «Cesare Mori, l’uomo che ormai è passato alla storia; che i paesi delle Petralie chiamano “il Padre della Sicilia”; che Palermo chiama “il Prefetto d’assalto”; che noi oggi definiamo “il Prefetto dalla bacchetta magica”. L’ordinanza salutare emessa il 3 gennaio 1926 strozza per sempre la piaga sanguinosa (…) ne abbatte l’intera rete (…)». (…) «Basta con il terrorismo, con le taglie, con le intimidazioni, con le soperchierie» (…) «Egregio Prefetto Mori, marciate sicuro; il combattentismo è con Voi; puntate deciso verso il Vostro santo obiettivo, distruggete l’erba infetta, calpestatela con il Vostro cavallo (…) ripetete le parole che avete ripetute a Castelbuono: solo ai lavoratori, agli onesti, ai galantuomini sarà permesso di circolare. Tenete duro, non allentate le viti, ma stringetele di più, noi siamo a Vostro fianco, pronti a tutto, per far risorgere la calunniata nostra splendente Isola gloriosa».
Nel numero 5 del 28 febbraio 1926, il giornale riportò la notizia della cittadinanza onoraria concessa “per acclamazione” dal Consiglio comunale di Castelbuono, al Prefetto Mori, sulla scia di quanto avvenuto (come riferito dal Sindaco Gugliuzza) nel corso “di una recente riunione di tutti i Sindaci del circondario tenutasi a Cefalù (…)”; “in quella stessa seduta, i Sindaci dei paesi più epurati e redenti della più volgare schiavitù, acclamavano il Prefetto Mori Cittadino Onorario delle Madonie”, per cui (continua il sindaco Gugliuzza) “Castelbuono non può restare estranea a tale grande meritato omaggio (…) onde io questa sera ho l’alto onore di portare al civico consesso la proposta del conferimento della nostra cittadinanza onoraria all’Ill.mo Prefetto Mori che (…) con pugno di ferro, con volontà di ferro (…) seppe chiudere la morsa della più spietata delinquenza rurale (…)”. Nel telegramma di ringraziamento il Prefetto scrisse: “Molto sensibile all’ambito onore accordatomi conferimento cittadinanza codesto forte Comune esprimo a V. Signoria Consiglieri e popolazione tutta mio fervido ringraziamento dicendomi fiero tale affettuoso vincolo generosa Castelbuono madre di eletti ingegni”.
Nel numero 6 del 14 marzo 1926, nell’intera prima pagina e in due intere colonne della seconda, fu trascritto l’intero lungo discorso del Prefetto tenuto al Teatro Massimo di Palermo, in occasione del Congresso provinciale fascista tenutosi il 21 febbraio precedente, presenti anche tutti i Sindaci della Provincia. “Le donne di Gangi formate in comitato gli hanno offerto uno scapolare (cappotto di panno). I comuni delle Madonie, ad iniziativa di un comitato sorto nella epurata Gangi, gli hanno offerto una grande medaglia d’oro con assieme una finissima artistica pergamena. Tutto il popolo lavoratore (…) si stringe sempre più all’uomo che ha dato prestigio alla nostra amata Isola sbarazzata ormai dalla mafia soffocatrice di ogni bene collettivo. (…)”.
Dal lungo discorso del Prefetto stralcio talune parti dedicate “Ai Gagliardi delle Madonie”. «A voi Gagliardi uomini delle già tormentate Madonie, che (…) avete voluto onorarmi del nome di Vostro concittadino (…). E il nome e la visione di vostri undici paesi semplici e forti, incastonati nell’aspra e severa bellezza delle Madonie, rimarranno indelebilmente incisi nel mio cuore. (…). A voi Signore elettissime che dalla provata e generosa Gangi qui veniste in atto di estrema gentilezza ad onorarmi di un gesto squisitamente femminile (…); a voi donne (…) che nel nome delle donne di Gangi veniste a portare in questa maschia adunanza (…), io affermo (…) che il tempo degli incubi, delle ansie, delle angosce, degli improvvisi lutti sanguinosi, è finito per sempre. (…). E vada il mio più caldo ringraziamento a quanti vollero qui onorarmi (…): a voi, cioè Onorevole Cucco, anima ardente (…). L’offensiva sferrata in pieno, sarà portata inesorabilmente, senza riguardi, fino alle sue estreme conseguenze. A quelli dell’altra sponda poche ma semplici parole: inutile illudersi che si tratti di un colpo di vento (…). Non resta quindi a voi sciagurati dell’altra sponda che l’inesorabile dilemma che io per l’ultima volta, con la spada in pugno, vi intimo da qui: rinnovarsi e cioè redimersi lealmente per le vie dell’onesto lavoro o morire. Ci pensi chi deve e presto. (…).».
Nel numero 12 del 20 giugno 1926 nella seconda pagina il giornale pubblicò il componimento del Sindaco di Gratteri, Giuseppe Ganci Battaglia: “Il canto della liberazione…”, che mi piace qui riprodurre in parte, a testimonianza dei diffusi sentimenti di sollievo delle nostre popolazioni: «Ove passò dominatore il vile, / il brigante, il malvagio, il barattiere / forte della sua forza e d’un fucile… / ora passa cantando il carrettiere. / Ove passò la folla dei predoni che nel sangue purissimo e innocente / si dissetò opprimendo i puri e i buoni: / torna ai lavori usati l’umil gente / (…) la mala bestia è vinta (…) / Gloria, sia gloria a Voi, Mori immortale / seminator di pace e di bontà. / (…)».
Nel numero 15 del 15 agosto 1926, il giornale diede notizia che a Petralia Soprana, “scelta come porto centrale e comodo ai paesi delle Madonie”, il Giudice Umberto Di Blasi stava conducendo l’istruttoria “dell’importante processo di associazione a delinquere, omicidi, rapine, estorsioni e furti qualificati, contro la banda Andaloro, Ferrarello, Albanese e C., già da mesi assicurata alla giustizia (…) con grande sollievo di queste popolazioni sopraffatte e martirizzate dalla delinquenza. (…)”.
Nel numero 20 del 19 ottobre 1926 il giornale ospitò, col titolo “Madonie Redente”, una lunga lettera del castelbuonese Liborio Cucco dell’8 agosto precedente, il quale, tornando dopo alcuni mesi in America, dov’era emigrato, volle esaltare l’arresto delle bande criminali, dopo aver ricordato un grave episodio da lui, pastore ai Monticelli di Castelbuono, vissuto ad opera di due delinquenti.
Mario Lupo