Verso i 100 anni di uno storico avvenimento per Castelbuono

La demolizione della casa Palumbo che chiudeva la piazza Giacomo Matteotti e la realizzazione della via Principe Umberto

(Di Mario Lupo) – La piazza dedicata nel 1945 a Giacomo Matteotti (prima si chiamava Piazza del Popolo) da tutti era ed è chiamata “Supra ‘u ponti” per il ponte che fino all’ 800 consentiva ai cittadini di superare la fiumara d’acqua che specialmente con le piogge invernali confluiva dall’alto dell’abitato. Acque piovane che, assieme a quelle delle fognature del paese, passavano sotto la casa Palumbo, che era posta, all’incirca, nello spazio tra l’attuale casa Macaluso-Carabillò e l’attuale edificio Spallino-Pantano, chiudendo da quel lato la piazza.

La via d’accesso al paese dallo stradale allora in terra battuta che dalla Stazione ferroviaria porta a Geraci Siculo (dal 1965 strada statale 186), era costituito dalla sola via Enrico Bertola Gambaro (prima via Giardini -popolarmente anche via del Rosario- perché portava anche ai vasti terreni a valle adibiti alla coltivazione degli ortaggi).

Il giornale locale “il bancarello”, nato nel mese di maggio del 1921, fin dal primo numero pose la questione delle acque fognarie che scorrevano a cielo aperto subito dopo l’abitato e venivano utilizzate per l’irrigazione degli ortaggi, causando le febbri malariche cui per secoli la cittadinanza fu soggetta.

Fra i tanti interventi ricordo il componimento dell’ebanista Giovanni Carollo fu Luigi, “violinista bravissimo”, che nel numero dell’1 settembre 1921 così poetava: «…Tu t’avvicini ed un odore intenso / viene pel primo a stuzzicarti il naso, / odor non di viole e né d’incenso, / di grossi punti e virgol messi a caso / di letami e nauseanti torte / che gli uomini depongono alle porte. / A destra case e muri scorticati, / maiali collocati a portinai, / i parapetti, a manca, rosicchiati, / fetide acque d’orti… o Dio che guai. / Fino in paese proseguir ti tocca / lunghi passi…e il fazzoletto in bocca. /…».

E ricordo ancora il componimento di Vincenzo Baggesi pubblicato in prima pagina nel numero 4 dell’1 marzo 1922, che descrive l’inventato “Sogno del Prof. Coschera” (figura di artigiano talentuoso che il giornale scelse per intitolargli una rubrica dedicata, in modo ironico-satirico, ai tanti problemi locali, durata fino agli anni ’50). Il “Prof. Coschera” aveva fatto un sogno: la casa Palumbo era stata demolita, si era aperta una nuova via d’accesso nel terreno a valle, dove, eliminati gli ortaggi che erano innaffiati con le acque fognarie ormai incanalate, era sorta una grande piazza con al centro il Monumento ai Caduti della Grande Guerra:  “Ma in quell’istante casca giù il mio letto / con gran fragore e subito mi desto: / Ch’è stato? s’era rotto un cavalletto: / giro lo sguardo e trovo un buio pesto / era scomparsa quella visione, / e io rimasi come un gran minchione”.

La questione dell’igiene, dicevo, fu trattata dal giornale, si può dire, numero dopo numero (consultare anche sull’argomento il monumentale libro del prof. Orazio Cancila: “Pulcherrima Civitas Castriboni” –pagg. 502-504; e anche il libro di Franco Lupo “La Croce sul Pane” –pagg.28-31 con le note nn. 1 e 2 a pag. 447), finché, dopo un ultimo appello nel numero del 18 gennaio 1925, fu data notizia, nel numero del 15 febbraio 1925, del finanziamento, su progetto del Genio Civile, dello “sventramento” del Burrone Fontannelle, con la demolizione della casa Palumbo (nei pressi della quale c’erano due fontanelle, da cui il nome del “Burrone”). Nel numero del 12 aprile 1925 c’è la notizia del conferimento dell’appalto alla impresa Vazzana di Cefalù. Nel numero del 2 agosto 1925 c’è la notizia di una seduta del Consiglio comunale per chiedere una variante al progetto che consentisse la realizzazione, nell’area a valle, della nuova strada di accesso (realizzata e intitolata al Principe Umberto che il 21 giugno 1926 sfilò in paese). Nel numero del 13 settembre 1925, in un lungo articolo (“Un po’ di storia del Burrone Fontanelle”), c’è un’ampia ricostruzione della “ventennale vicenda”, mettendo tra l’altro in rilievo l’impegno sfortunato dell’on. Rienzi, deputato del Collegio di Cefalù, che non riuscì ad ottenere il finanziamento delle opere perché ostacolato dagli interessi dei privati, che gli avrebbero causato la mancata rielezione nel 1913. Anche l’on. Drago, succedutogli nel Collegio, non potè ottenere il finanziamento dell’abbattimento della casa Palumbo e opere connesse, anche se ottenne la copertura degli scarichi fognari per circa duecento metri fuori dall’abitato.

Finalmente, si legge nel giornale, il finanziamento avvenne: “Forse ciò dobbiamo, non solo alla buona volontà del Governo nazionale, ma alla risolutezza con cui Alfredo Cucco” (eletto deputato nelle elezioni del 6 aprile 1924) “ha perorato la causa presso il Ministero competente, fuori e al di sopra delle mene e delle camarille paesane”.

Mi piace, adesso, a conclusione del racconto dello storico avvenimento, riportare il componimento (tranne per brevità, le prime due strofe) che il solito Baggesi Vincenzo pubblicò nella prima pagina del numero 16 del 16 agosto 1925, numero che riporta anche la fotografia, purtroppo con pessima resa, dell’avvenuto abbattimento della casa Palumbo con la visione panoramica dalla piazza del “Rione Benedettini, del Castello e della Chiesa dell’Annunziata”. La sostituisco con la vignetta che apparve nel numero del 31 gennaio 1926 con il solito “Prof. Coschera” che col “serracolo” in mano procede nel taglio della casa Palumbo, aprendo così la visione panoramica che dalla piazza, da allora, è possibile ammirare. A parte la strada di accesso, la grande piazza e il Monumento ai Caduti non furono realizzati (il Monumento due anni dopo fu collocato nella Piazza Parrocchia).

La rimanente parte dei terreni a valle rimase in mano ai proprietari e, cessata la coltivazione degli ortaggi, fu per lo più destinata alla costruzione di edifici privati nei decenni successivi, completata negli anni ’50-’70.

Mario Lupo


                        FINALMENTE!

             Il sogno….Fontanelle è realtà

              3

Anche il paese nostro finalmente

Ha già trovato il suo benefattore

Il quale à ultimato fedelmente

Quanto non fece il suo predecessore.

Bisogna dargli lode, e lealmente

Senza guardar partito ossia colore,

Perché colui che non onora il merto

O non à cuore, o è malvagio certo.

                               4

Il tanto desiato sventramento

Non è più burla, e siam riconoscenti,

Però bisogna far l’allacciamento

Degli acquedotti, e poi sarem contenti.

Se questo non si porta a compimento

Avremo sempre acque puzzolenti

Nel cuore del paese, e la verdura

Sarà un impasto della fognatura.

               5

Quei tratti di ortaggi avvelenati

Che a mò di golfo pendon l’abitato

Dovrebbero restare abbandonati

Se non si vuole il popolo ammalato.

Cos’è il tornaconto dei privati

Di fronte ad un paese attossicato?

Perché pestare i diritti cittadini

Per interessi singoli e meschini?

                            6

Ormai che il sogno ambito s’è avverato

Scacciam da noi la lotta clandestina;

Mettiamo un velo al torbido passato

Per rinnovar la nostra cittadina.

E quando il lavoro è completato

Serrati insieme da ferrea disciplina

Continueremo per la dritta via

Ad abbellire la città natìa.

                        7

Possiamo espropriare quei giardini

Del semicerchio sopra lo stradale,

Facendo di quel suolo ai cittadini

Una gran piazza pubblica e centrale

Col tempo ornarla con monumentini

E piante, e fiori freschi al naturale,

E in mezzo come massimo ornamento

Porremo dei Caduti il Monumento.

                           8

O culla nostra cosa diverrai

Col nuovo corso diritto e spazioso?

E quale gran bellezza acquisterai

Con quell’ingresso largo e decoroso?

E quando dall’elettro ritrarrai

Per le tue strade il faro luminoso

Diventerai la prima cittadina

Della provincia, e ne sarai regina.

O caro Alfredo, o nostro deputato

Per te io scrivo l’ultimo sonetto,

Ti spetta, perché molto hai lavorato

Pel nostro paesello prediletto.

Il gran lavoro appena è incominciato

Per risanare l’aria e il suolo infetto,

Ma noi riconoscenti, il tuo operato

Lodiamo, ricambiandoti l’affetto.

E biasimando ogni rancor meschino

Ed ogni insidia trapiantata ad arte

Siamo orgogliosi averti a cittadino.

Ma se qualcuno per spirito di parte

Volesse fare ancora… il biricchino,

Sarebbe meglio starsene in disparte.

Baggesi Vincenzo

Iscriviti per seguire i commenti
Notificami

0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments
0
Cosa ne pensi? Commenta!x