Visita ideale all’interno del Municipio Vecchio di Castelbuono
Come dovette essere il Municipio Vecchio di Castelbuono | Prima parte
Visita ideale all’interno del Municipio Vecchio di Castelbuono | Seconda parte
(Di Massimo Genchi) – Se la ricostruzione architettonica del Municipio Vecchio è stata resa agevole dai numerosi documenti fotografici disponibili, un po’ più improbo appare il tentativo di restituire gli ambienti interni e la loro disposizione spaziale, se non altro per la penuria di fonti iconografiche relative ad essi.
Per rendere più scorrevole la lettura, la ricostruzione sarà sincronica. In altre parole, non interesserà sapere quando l’ufficio postale si trasferì in via Sant’Anna e neppure che in origine avesse la sua sede ô Chianâ Matrici. Interessa, invece, che l’ufficio postale, al quale nel 1927 venne accorpato il servizio telegrafico, occupava l’ala di Sud-Est del piano terra, cioè la parte di edificio compresa fra il portone centrale, la via Sant’Anna e il vicolo che successivamente fu chiamato Discesa delle Poste. L’ingresso, infatti, era dal vicolo, come dimostra la targa POSTE E TELEGRAFI che si intravede sotto l’arco nella foto. Da lì ci si immetteva nella sala di attesa oltre che negli uffici e in direzione.
Chi faceva servizio allo sportello, era in una stanza diversa rispetto al pubblico, e comunicava con gli utenti attraverso finestrelle munite di scuretto ricavate nello spessore del muro, cosa questa che potrebbe essere all’origine del termine ‘sportello’ di un ufficio. Nella foto sopra vediamo che gli sportelli dell’ufficio postale erano due, in uno si nota Peppe Spallino, persona di grandissima verve, più volte consigliere comunale del Movimento sociale, amico di tutti, instancabile animatore di eventi turistici con la Pro Loco e nell’altro la signorina Pepe, che in molti ricordano per la sua particolare spigolosità di carattere. L’ufficio degli sportelli, grazie al balcone a petto adiacente alla lapide delle inique sanzioni, prospettava su via sant’Anna ma anche sul vicolo attraverso la finestra che si nota a sinistra nella foto. Da questa stanza si passava in quella del direttore, anch’essa prospettante su via sant’Anna, in corrispondenza del secondo balcone a petto, oltre che nel baglio del municipio, attraverso una finestra. Fra la sala d’attesa e la direzione era la stanza dei portalettere che prendeva luce da finestre prospettanti sul cortile interno.
Il grande portone d’ingresso si apriva su una larga rampa di scale, alla sommità della quale un ballatoio metteva in comunicazione con il baglio. Sul fianco sinistro di esso si affacciavano le finestre dei vari ambienti della Posta mentre di fronte, lungo il lato Ovest, si trovavano i due ampi locali concessi in affitto al Banco di Sicilia che, nell’aprile 1937, aprì una agenzia a Castelbuono in seguito alla crisi e alla chiusura delle banche locali: la Nebrodese, la Cassa Rurale e la Cooperativa degli Agricoltori. In questa foto del 1951 scattata all’interno della stanza del direttore Sicuro, seduto al centro, c’è tutto l’organico dell’Agenzia, con la sola eccezione di Lulù Alaimo, animatore di tutte le feste alla Nebrodese e, nonostante le origini palermitane, grande appassionato dello sci e della montagna. Seduto a destra, dietro una avveniristica macchina da scrivere col carrello lungo, Ciccio Palumbo, che più tardi sarà funzionario del Banco di Sicilia a Palermo. Il Banco di Sicilia certamente favorì investimenti nell’artigianato, nell’agricoltura, nella pastorizia ma soprattutto nell’amore visto che Lulù Alaimo, ma anche Nino Serio, il primo a sinistra, e Salvatore Falletta, dietro la lampada, furono felicemente sposati a tre ragazze di Castelbuono.
Girando verso il lato Nord del baglio, dove era la scala di accesso al primo piano, in prossimità dell’angolo, superata una graziosa ringhiera chiusa da un cancelletto, si apriva l’ufficio dell’anagrafe bestiame, a lungo retto da Eugenio Martorana che in precedenza aveva insegnato all’Istituto Sant’Anna. Come si è detto, durante il restauro degli anni Venti, nelle adiacenze del portone d’ingresso ne venne aperto un secondo, ad esso simile, ma leggermente più stretto, da cui si accedeva al Corpo di guardia.
Nella foto qui sotto una parziale veduta dell’interno del Corpo di guardia negli anni Cinquanta, durante una distribuzione di pacchi di beneficenza inviati da privati cittadini americani attraverso il C.A.R.E. (Cooperative for American Remittances to Europe). Nello stesso periodo, all’interno di un localino ricavato fra il Corpo di guardia e il baglio interno, trovò la sede il centralino telefonico al quale si accedeva dalle scale dell’ingresso centrale.
La parte dell’edificio più vicina al castello ospitava tre classi delle elementari. L’ingresso era da Discesa delle Scuole e la targa toponomastica del 1882, ancora affissa, dimostra, come supposto dal prof. Cancila, che nel Municipio Vecchio le classi vi furono trasferite fin dal 1871.
L’aula più vicina al Corpo di guardia, in corrispondenza del penultimo balcone a petto, chiuso da grate, in perfetto stile penitenziario, era la classe del terribile maestro padre Barreca, meglio noto con il soprannome di Abbruçia-pajjuni, a seguire quella del maestro Bonafede, sindaco dal 1944 al 1946, che pertanto non ha avuto diritto alla foto nell’aula consiliare che lo ricordi alla posterità, e la terza aula, che possiamo immaginare alquanto buia, dato che prospettava sotto l’arco, era la classe del maestro Giacomo Maggio, podestà dal 1940 al 1942, persona di rara mitezza.
Ogni mattina, don Pitrinu Ippolito, passava col suo carrabbuni pieno di inchiostro e banco per banco, classe per classe, rabboccava i calamai. Le BIC erano di là da venire. Le aule erano disposte in serie per cui gli alunni di padre Barreca per guadagnare l’uscita, o anche per andare in bagno, dovevano attraversare le altre due. Che è quanto dire. Una sciccheria che, per quanto vi abbiano provato, non si è mai riusciti a riprodurre neppure con gli ultimi mirabolanti progetti di edilizia scolastica attualmente in fase di realizzazione.
I bagni non erano proprio dietro l’angolo, essendo dislocati in un corpo a parte … â Chiazzannintra. Ai piedi della torre campanaria, infatti, nelle adiacenze del lato Nord della pinnata, allora chiuso da un muro, vi era stato edificato un casotto di ferro – a quanto pare detto a lòggia – dove, chi aveva necessità, poteva andare liberamente a cambiare l’acqua alle olive e non solo.
Ecco, non so perché, ma quei bimbi che, usciti dalle loro anguste aule, percorrevano quel tratto di strada a gambe levate per arrivare in tempo all’appuntamento col versamento tecnico mi fanno pensare ad altri bagni pubblici che si vorrebbero all’interno del teatro Le Fontanelle e ad altri locali circumvicini decisamente più angusti delle aule del Municipio.
Al primo piano, la parte retrostante a via sant’Anna era in larga parte occupata dalla pretura: la sala delle udienze con il maestoso scranno pretorile in palissandro, una stanzetta per l’ufficiale giudiziario, quindi l’ufficio di cancelleria, per tanti anni retto dal cancelliere Ciccio Raimondo, e naturalmente l’ufficio del pretore, dapprima col dott. Nicola La Ferlita che legò indissolubilmente il proprio nome al nostro paese e poi, nel secondo dopoguerra, il dott. Coci che, partito da Castelbuono, spiccò il volo per una brillante carriera che lo portò a presiedere la Corte d’appello di Palermo.
Per meglio chiarire la struttura del primo piano, fermo rimanendo qualche dubbio, bisogna pensare che tutte le stanze avevano uno sbocco sul corridoio che abbracciava quasi completamente l’area della corte e alcune di esse erano intercomunicanti.
In cima alle scale provenienti dal baglio, si apriva un disimpegno che immetteva nel corridoio percorrendo il quale le finestre sulla corte rimanevano a destra e sulla sinistra si aprivano gli uffici. Il primo che si incontrava era quello che faceva angolo tra la Discesa delle Scuole e la via Sant’anna sulla quale prospettava l’ultimo balcone di destra. Era questo l’ufficio di ragioneria il titolare del quale fu per lungo tempo il ragioniere Giovanni Barreca coadiuvato da Alfonsino Di Garbo e da Enza Gentile. Nello stesso ufficio o in uno adiacente, posto lungo il corridoio verso le scale, vi era l’ufficio economato con don Giovanni Mitra, figura di spicco dell’associazionismo cattolico, appassionato suonatore di violino, fra gli animatori, negli anni Trenta, del Martorio nel Teatro comunale e voce storica dei cantori dello Stabat mater nella processione del Venerdì Santo. Adiacente e comunicante con la ragioneria era l’ufficio del segretario che si affacciava su via sant’Anna sul secondo balcone da destra. Segretario capo fu per lunghissimo tempo il ragioniere Antonio Farinella, se si eccettua una parentesi durante la quale gli subentrò Nino Di Martino che più tardi sarebbe stato segretario al Comune di Palermo e quindi alla Provincia di Palermo. Vice segretario di entrambi fu Pietro Bonomo, persona affabile e fra i più stimati dipendenti comunali.
Questa foto, scattata attorno al 1962, nel giorno del commiato del segretario Di Martino immortala la quasi totalità della pianta organica del comune a quella data. Mancano veramente pochi impiegati. Evidentemente la burocrazia e la complessità della macchina amministrativa era ancora allo stato embrionale.
Ritornando alla sistemazione degli uffici, il balcone di centro, situato esattamente al di sopra del Corpo di guardia, era di pertinenza della sala di attesa dell’ufficio del sindaco. Nella stessa stanza era l’ufficio protocollo addetto al quale per tanti anni fu Peppino Gennaro.
Il grande balcone di sinistra, rispetto all’asse centrale del prospetto, corrispondeva all’ufficio del sindaco, che nel Municipio Vecchio fungeva anche da aula consiliare. Rispetto a questa inquadratura della parete Sud, dove si può notare che il tavolo di lavoro del sindaco è quello in uso ancora oggi, il grande balcone si trova a sinistra. Il drappo con lo stemma del Comune sulla parete Sud dimostra che da quel lato della stanzô sinnacu, benché vi fosse una porta, non era possibile accedere alle stanze che si affacciavano sui due balconi di sinistra del prospetto e dove erano gli uffici dell’Anagrafe e dello Stato Civile.
Confrontando la precedente foto con questa, scattata nella stanza del sindaco durante un consiglio comunale, e osservando bene l’orientazione delle maioliche si chiarisce più che bene il collegamento in serie delle stanze lungo la via Sant’Anna. Il balcone che si affaccia su via Sant’Anna perciò si trova a destra della foto e, in asse con esso, a sinistra, la porta che immette sul corridoio. In fondo, dove in piedi si riconoscono Santino Fiasconaro, Pietro Macaluso e il tecnico comunale Guido Schicchi, c’è la porta di collegamento con l’anticamera e l’ufficio protocollo mentre l’altra porta in fondo, con la targhetta in alto, è la segreteria.
Nel balcone a sinistra della stanza del sindaco vi era l’Ufficio anagrafe che comprendeva anche l’ufficio elettorale mentre nell’ultimo, che si sviluppava in profondità, vi era l’ufficio dello Stato Civile.
I registri sul tavolo e gli schedari all’angolo dove si legge “schede elettorali eliminate” dicono chiaramente che questa immagine, del due febbraio 1960, è stata scattata nell’ufficio anagrafe. La porta, con i tavoli di lavoro addossati, è quasi certamente non utilizzata per cui deve trattarsi di quella chiusa dell’aula consiliare, nascosta dal drappo con lo stemma. La porta che si intravede a sinistra è allora quella che immette nel corridoio. Gli impiegati ritratti, non tutti dello stesso ufficio, sono accorsi per questo significativo scatto fotografico che ci restituisce i meravigliosi dipinti posti alla sommità di tutti gli infissi interni del Municipio Vecchio. Dovevano essere almeno una dozzina, se ne sono salvati non più di tre. L’omino seduto a sinistra è l’addetto al protocollo Peppino Gennaro, l’omone seduto a destra è don Liborio Carollo che reggeva l’ufficio anagrafe ed era il factotum della chiesetta del Calvario. Negli anni Venti fu per diversi anni arruolato nei Carabinieri, prolungando il servizio militare. Deve essere stato nell’arma che apprese la particolare tecnica dell’anamorfosi, della quale divenne uno specialista, che gli consentiva di realizzare messaggi a prima vista criptati ma che si leggevano inclinando opportunamente il foglio.
Quello qui riprodotto è di sua produzione. Nessuno ci crederebbe, ma traguardando il cartoncino obliquamente lungo la freccia verticale si legge “prof. Gioacchino Genchi” e in direzione della freccia orizzontale “da Castelbuono”. Ma non divaghiamo e ritorniamo al Municipio.
Quest’altro scatto, effettuato – come il precedente – con la Rolleicord di Alfonsino Di Garbo lo stesso due febbraio, ci mostra una parte della stanza in cui era ubicato lo Stato Civile Per orientarsi, diciamo che il fotografo ha le spalle rivolte all’ultimo balcone di via Sant’Anna e quindi il lato lungo dell’ufficio corre lungo la Discesa delle Poste. L’ufficiale Paolo Raimondi, che di lì a poco sarebbe diventato un brillante professore di lettere, è al suo tavolo di lavoro attorniato da diversi suoi collaboratori. Rispetto all’immagine precedente si sono aggiunti il capufficio della ragioneria Giovanni Barreca, primo a sinistra, il segretario Farinella, con gli occhiali scuri e la stessa fisionomia che avrebbe conservato per i successivi quarant’anni, e l’usciere Vincenzino Fina in divisa con lo stemma di invalido di guerra. La sua menomazione alle gambe era però di nessun impedimento allorché si metteva alla guida dell’automobile, avendo rappresentato per anni il terrore di tutti i pedoni che si trovassero in qualche modo nelle vicinanze della sua imprevedibile traiettoria.
Sulla porta è affisso un “vietato l’ingresso”, probabilmente perché quella stanza era adibita ad archivio. La porta che si intravede in fondo, chiudeva l’ufficio tecnico diretto dal geometra Guido Schicchi, prima, e da Cristoforo Raimondi, successivamente. Occupando l’ufficio tecnico la parte Sud dell’edificio, era adiacente o comunque vicino alla pretura. Da qualche parte ci saranno stati anche dei bagni e degli sgabuzzini ma come si fa a localizzarli con esattezza? Abbiamo così concluso questo entusiasmante giro della morte, perché di questo purtroppo si tratta, a bordo di una macchina del tempo che, alimentata dalla forza della deduzione, ha permesso di acquisire la percezione di spazi che la realtà ci ha, invece, negato. Sia pure con pochi documenti a disposizione, ma col conforto della fiaccola del pensiero, della determinazione e dell’abnegazione si è riusciti a colmare, in qualche modo, questa lacuna della memoria collettiva. Ecco perché pensiero, determinazione e abnegazione fanno paura, soprattutto ai mediocri e a chi rimane morbosamente abbarbicato a qualsivoglia forma di potere.